Cass. Sez. III n. 21625 del 1 giugno 2007 (CC. 20 apr. 2007)
Pres. Vitalone Est. De Maio Ric. De Filippis
Rifiuti. Scarti di lavorazione del legno

Gli scarti della lavorazione del legno costituiti da truciolato e addensato ovvero da scarti di legno sminuzzati a varie granulometrie e forme e successivamente compattati con l’utilizzo di collanti sono da considerarsi rifiuti e non sottoprodotti
C.C. del 20.4.2007
SENTENZA N. 387
REG. GENERALE N. 003973/2007


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE
 



Composta dagli Ill.mi Sigg.:


Dott. VITALONE CLAUDIO                     PRESIDENTE
1.Dott.DE MAIO GUIDO                         CONSIGLIERE
2.Dott.TARDINO VINCENZO LUIGI

3.Dott.GENTILE MARIO
4.Dott.SARNO GIULIO


ha pronunciato la seguente


SENTENZA / ORDINANZA


sul ricorso proposto da :
1) DE FILIPPIS FRANCESCO N. IL 15/08/1934 avverso ORDINANZA del 21/11/2006 TRIB. LIBERTA' di LECCE
sentita la relazione fatta dal Consigliere DE MAIO GUIDO
l
sentite le conclusioni del P.G. Dr. G. Izzo - rigetto del ricorso -

Uditi i difensori  Avv. Luigi Rella (Lecce) e Luigi Capone (Lecce).


MOTIVAZIONE


Con decreto in data 2.11.2006 il GIP del Tribunale di Lecce convalidò il sequestro preventivo operato dagli agenti di P.G. ex art.321 co.3 bis cpp e dispose il sequestro preventivo di tre forni a timo verticale per la produzione di calce e di rifiuti costituiti da scarti di lavorazione del legno trattato, facenti parte dell'azienda La Calcaria srl, nei confronti del legale rappresentante di tale società, Francesco De Filippis venivano ipotizzati i reati di cui agli artt.279 co.1 e 2, 256, co.1 e 4 d.l.vo 152/06 e all'art.674 cp.


Avverso tale decreto la difesa dell'indagato propose istanza di riesame, che il Tribunale del Riesame di Lecce ha rigettato con ordinanza in data 21.11.2006, a sua volta impugnata con ricorso per cassazione.


Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt.111 co.6 Cost, 191-244-246 -247-250-321-352 e 354 cpp, in relazione alla inutilizzabilità del verbale di PG dei CC di Lecce in quanto atto probatorio formato in violazione dei divieti di legge. Si sostiene che "l'intero ciclo procedimentale del sequestro, eseguito dalla PG... trova il suo presupposto essenziale nell'inspicere e nel perquaerere compiuto di iniziativa dai militari della PG senza il titolo di legittimazione costituito dal decreto di ispezione e/o perquisizione emanato dal PM ai sensi degli artt.244 e 247 cpp e altresì in assenza dei presupposti di cui all'art.352 cpp (flagranza del reato, evasione, esecuzione di provvedimenti restrittivi)"; nella specie si verserebbe in una "ipotesi di utilizzazione della ispezione e perquisizione come mezzi di ricerca della notitia criminis". Il motivo è infondato, dovendosi, innanzi tutto, puntualizzare che nella specie la PG ha proceduto, non a un sequestro probatorio, come sembrano ritenere il ricorrente e, in parte, lo stesso Tribunale del Riesame, i quali hanno fatto entrambi ricorso a principi e norme proprie per l'appunto alla disciplina del sequestro probatorio; si tratta, invece, di un sequestro preventivo d'urgenza effettuato di iniziativa dalla PG ex art.321 co.3 bis cpp. La legittimità dell'intervento degli operanti, quindi, deve essere parametrata su tale norma che faculta, oltre il PM, anche ufficiali di P.G. a procedere di propria iniziativa al sequestro preventivo "nel corso delle indagini preliminari, ...prima dell'intervento del PM", quando sussista una situazione di urgenza. Risulta, quindi, un fuor d'opera lamentare, come fa il ricorrente, la mancanza del "titolo di legittimazione costituito dal decreto di perquisizione emanato dal PM ai sensi degli artt.244 e 247 cpp", dal momento che la legittimazione della particolare attività della P.G. discende dalla norma citata dell'art.321 co.3 bis, quando sia ravvisabile il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso e sussista la situazione d'urgenza nella norma stessa prevista. I giudici di merito, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità in quanto sorretta da adeguata motivazione, hanno affermato la sussistenza di entrambi i requisiti menzionati, rilevando che "all'atto del sopralluogo i forni sequestrati sono risultati in funzione con l'immissione in atmosfera di sostanze che, sulla base dei preliminari accertamenti, devono ritenersi, allo stato, superiori ai livelli consentiti secondo il parametro di valutazione...che in questa sede è condizione sufficiente e necessaria per la legittimità del provvedimento". Del resto, il ricorrente, che si è limitato a contestare la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, non ha parlato affatto dell'altro requisito dell'urgenza; deve, peraltro, essere osservato al riguardo che è pacifico che l'eventuale insussistenza delle ragioni d'urgenza rimane assorbita dalla convalida del sequestro (nella specie, effettuata dal GIP con il decreto impugnato), potendosi nell'eventuale giudizio di riesame fare questione solo della legittimità del sequestro stesso. In base a quanto precede e a quanto sarà anche in seguito precisato, da un lato, risulta inconferente anche l'ulteriore deduzione del ricorrente, secondo cui ispezione e perquisizione si sarebbero nel caso in esame trasformati in mezzi di ricerca e acquisizione della notitia criminis perchè effettuate prescindendo da un'ipotesi di reato "sufficientemente determinata nei suoi elementi fattuali"; dall'altro, è, invece, pertinente ed esatta, l'affermazione sopra sottolineata del Tribunale del Riesame circa "l'urgenza di provvedere ai sensi dell'art.321 co.3 bis cpp".


Possono essere esaminati congiuntamente il secondo e il terzo motivo, concernenti entrambi la ravvisabilità del fumus dei reati ipotizzati.

In particolare, con il secondo motivo si denuncia violazione o erronea applicazione della legge penale perchè nel caso specifico il fatto addebitato non è stato valutato in base al d.l.vo 152/2006 (legge vigente nel tempo in cui il fatto è stato commesso), in quanto "mentre da una parte per le norme sanzionatorie si è tenuto conto del nuovo Testo Unico Ambientale..., dall'altra, per quanto attiene alle norme precettive, atti e fatti sono stati vagliati al lume delle previgenti normative, ora non più in vigore".

La censura investe, innanzi tutto, il procedimento logico in base al quale i militari operanti hanno ritenuto il concetto "scarti della lavorazione del legno" equivalente al concetto di "rifiuto", essendo tale equivalenza, in base alla speciale normativa ambientale vigente, del tutto errata; non sarebbe stato considerato che "gli scarti della lavorazione del legno" sono in realtà "sottoprodotti industriali" legalmente commercializzati dall'impresa che li produce, la quale, nell'esercizio legittimo di tale attività commerciale, ha venduto con regolare fatturazione direttamente a La Calcaria"; inoltre, "sottoponendo il combustibile rinvenuto nei depositi de La Calcaria a verifica di legalità secondo i parametri della vigente legislazione si accerta che...nella categoria dei combustibili consentiti, la cui conversione energetica può essere effettuata attraverso la combustione diretta ...rientrano la legna da ardere e le biomasse combustibili".

Secondo il ricorrente, in base alla legislazione vigente, "risultano pienamente rispettati i valori-limite di emissione gabellati dal legislatore e perciò si rivelano destituiti di fondamento i rilievi dei CC operanti, sia riguardo alla concentrazione-limite delle polveri da rispettare, sia anche riguardo alla concentrazione delle polveri riscontrata con l'analisi dei fumi a suo tempo eseguita da La Calcaria e di cui riferisce la relazione tecnica". Il ricorrente conclude censurando anche "il passaggio del verbale di sequestro dei CC...in cui viene dichiarata "inesistente/decaduta" l'autorizzazione regionale", la quale "è invece pienamente legittima, essendo stata espressamente prevista con l'art.13 co.1 dpr 203/88"; inoltre, l'art.281 co.1 lett. a) NCA ha legittimato gli impianti autorizzati in via provvisoria o in forma tacita, al punto "da consentirne la prosecuzione di esercizio con termine entro il 31.12.2010 per la domanda di autorizzazione definitiva ai sensi delle vigenti disposizioni, quando, come nel caso in esame, si tratti di impianti anteriori al 1988".


Con l'ultimo motivo si denuncia "il difetto dei presupposti del vincolo e, quindi, della configurabilità dei reati ipotizzati dagli operatori della PG", in relazione in particolare all'ipotesi di cui all'art.674 cp che non sarebbe ravvisabile "in assenza di puntuale motivazione in ordine alla sussistenza concreta dei relativi elementi costitutivi, considerato che, per quanto è desumibile dallo stesso verbale dei NOE CC di Lecce, il terreno cui si riferisce l'imputazione è ubicato in zona agricola del tutto isolata, distante dal più vicino insediamento abitativo, non soggetta a pubblico transito e destinata ad uso strettamente privato;...nel caso in esame, il GIP prima e il Giudice del Riesame poi hanno ritenuto sussistenti le condizioni per la ravvisabilità dell'art.674 cp non solo senza indicare quale delle ipotesi in esso contemplate sia in concreto attribuibile all'indagato, ma senza neppure dar conto, mediante congrua motivazione, dell'esistenza degli elementi integranti l'illecito contestato".


Le censure citate sono infondate dovendo ritenersi che il fumus dei reati ipotizzati è stato esattamente ritenuto sussistente sulla base dei rilievi seguenti:

I) i rifiuti utilizzati per la combustione dei forni sono costitutiti da truciolato e addensato, ovvero da scarti di legno sminuzzati a varie granulometrie e forme e successivamente compattati con l'utilizzo di collanti. Tale ultimo rilievo infirma le deduzione del ricorrente secondo cui si tratterebbe non di rifiuti, ma di sottoprodotti industriali "legalmente commercializzati dall'impresa che li produce"; infatti, come esattamente osservato dal Tribunale la presenza di collanti (che non può essere ridiscussa in questa sede, trattandosi di un accertamento di fatto) fa sì che non si tratti di "rifiuti della lavorazione del legno non trattato a base esclusivamente di legno verde o componenti di legno vergine". Risulta quindi chiaro che attiene a una diversa valutazione delle risultanze processuali la contraria deduzione del ricorrente, secondo cui (pag.14 ric.) "nessun oggettivo elemento di giudizio è stato acquisito circa la contaminazione da inquinanti esistente negli scarti della lavorazione del legno rinvenuti nell'azienda de La Calcaria"
II) dalla verifica preliminarmente compiuta (e che deve ritenersi sufficiente ai fini dell'attuale fase cautelare) è risultato che "gli impianti della ditta De Filippis non hanno, allo stato, le caratteristiche tecniche per poter utilizzare i rifiuti, costituiti da scarti vegetali e scarti di legno con la conseguente emissione in atmosfera di polveri superiori ai limiti prescritti";
III) il recupero energetico dei rifiuti avrebbe superato il limite di emissioni di polveri di 50 mg/nm3; per contro, i limiti presi a riferimento del consulente di parte (150 mg/m3, v.relaz. tecnica allegata all'istanza di riesame) sono da ritenere, sempre allo stato, erronei, perché non riguardano l'utilizzo di rifiuti, verificatasi nella specie, in alternativa ai combustibili tradizionali;
IV) di conseguenza, "gli impianti risultano sprovvisti di un qualsivoglia sistema di abbattimento delle emissioni". Al riguardo è vero che, come sostenuto dal ricorrente, in base all'art.281 co.1 lett.a) divo 152/2006, per gli impianti anteriori al 1988 le domande di autorizzazione devono essere presentate tra la data di entrata in vigore del decreto stesso e il 31.12.2010, ma la norma stessa precisa che "il gestore deve adottare, fino alla pronuncia dell'autorità competente, tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni". E ciò non può certo dirsi nel caso in esame in cui va considerata sostanzialmente esatta la conclusione del Tribunale secondo cui l'autorizzazione provvisoria concessa dalla Regione Puglia "è da considerarsi inesistente/decaduta", sia per l'utilizzo di rifiuti quale combustibile, sia per la tanto più necessaria propter hoc presentazione del progetto di adeguamento.


Deve, infine, essere tenuto nel debito conto che, per giurisprudenza assolutamente consolidata fin dalla sentenza delle Sez. Un. di questa Corte 4.5. 2000 n.7, Mariano, rv. 215840) la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o dalla Corte di Cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi. In adesione a tale principio, devono ritenersi sufficienti, ai fini dell'attuale fase cautelare e quindi della astratta configurabilità dei reati ipotizzati, gli elementi sopra citati individuati dal Tribunale del Riesame. La lunga discussione del ricorrente (da pag.17 a 21) circa il progetto di adeguamento e il sistema di abbattimento nonché la differenziazione dei valori di emissione minimi e massimi "a seconda della tipologia degli impianti, della potenza termica da essi sviluppata e della tipologia dei combustibili in essi utilizzati integra una discussione nel merito dell'accusa che andrà prospettata al giudice della plena cognitio"; oltre tutto, la discussione stessa è fondata sul presupposto (di cui a pag.20 ric.) che le emissioni non contengano sostanze inquinanti (ipotesi, quanto meno allo stato, astrattamente non condivisibile in ragione, soprattutto, della già segnalata presenza di sostanze collanti nel combustibile).


Deve, pertanto, concludersi che, non potendo essere accolte le censure mosse, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.


P . Q .M .


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato il 20.4.2007