Cass. Sez. III n. 39735 del 12 ottobre 2009 (Ud 18 giu 2009)
Pres. Onorato Est. Amoresano Ric. Manzulli
Rifiuti. Materie prime secondarie e sequestro probatorio

Per accertare la natura di materia prima secondaria bisogna dimostrare che sono state eseguite le procedure di recupero di cui all’art.181 d.Lvo 152/2006, che rimanda in via transitoria al D.M.5.2.1998 ed al D.M. 12.6.2002 n.161. Si tratta di un accertamento che giustifica un sequestro probatori o.

Osserva
1) Con ordinanza in data 19.2.2009 il Tribunale di Taranto rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Manzulli Giuseppe avverso il decreto del P.M. del 6.2.2009, con cui veniva convalidato il sequestro probatorio eseguito dalla p.g. in data 5.2.2009 di circa 1.700 tonnellate di rifiuti non pericolosi e dell’area di circa 3.000 metri quadrati sulla quale gli stessi erano depositati.
Nel corso di servizi di controllo Ufficiali del Nucleo polizia tributaria accertavano che nel porto mercantile di Taranto, nell’area concessa all’Ilva spa, erano stati depositati bricchette di ferro e pani di ghisa. Ritenendo configurabile un’attività di stoccaggio non autorizzato di rifiuti e quindi la ipotizzabilità del reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) e 259, D.Lvo n.152/2006, procedevano d’urgenza al sequestro del sito e dei rifiuti al fine di assicurare le fonti di prova.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che sussistesse il fumus commissi delicti, applicandosi ai rottami ferrosi la disciplina dei rifiuti. Nonostante i pregevoli rilievi contenuti nella consulenza di parte prodotta dalla difesa, gli accertamenti svolti a campione dalla g.d.f., nonché le contraddizioni terminologiche contenute nei documenti commerciali e fiscali per la definizione della tipologia della merce, consentivano, allo stato, il mantenimento della misura cautelare. Vincolo che si rendeva necessario mantenere anche in vista degli accertamenti tecnici necessari per stabilire caratteristiche, provenienza e titolo di detenzione di quanto sequestrato.
2) Propone ricorso per cassazione Manzulli Giuseppe, a mezzo del difensore, per violazione di legge in relazione agli artt. 256, 259 e 137, D.Lvo 152/2006. La motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza del fumus dei reati ipotizzati è meramente apparente.
Pur non potendo il giudice del riesame accertare la concreta fondatezza dell’ipotesi accusatoria, non può esimersi dal verificare, alla luce delle deduzioni delle parti, la configurabilità del reato.
Il Tribunale errando sulla nozione di rifiuto, ha ritenuto i beni sequestrati “rottami ferrosi”.
Le bricchette metalliche non possono essere considerate rifiuto per una serie di considerazioni tecniche, che, pur ritenute pregevoli dal Tribunale, non sono state minimamente prese in considerazione.
La p.g. sbaglia nell’assimilare i processi di produzione a caldo con i processi di produzione per fusione.
Tali beni risultano utilizzati da anni in siderurgia come materia prima alla stregua del minerale ferroso.
Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3) Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi), nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una “plena cognitio” del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obbiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul “meritum causae”, così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento
L’accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di ragionevole probabilità- di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (ex multis anche Cass. pen. sez. 3 n. 40189 del 2006- ric. Di Luggo).
Il limite introdotto dalle sezioni unite non restringe il potere di valutazione in diritto, ma quello di accertamento in fatto. Il Tribunale del riesame è quindi tenuto a controllare, sulla base del fatto contestato dal P.M., l’astratta configurabilità giuridica del reato, ma non può accertare la concreta sussistenza del reato medesimo né tantomeno accertare la colpevolezza dell’indagato.
Secondo anche la già citata sentenza (sez. un. n. 23/1997), non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del cd. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli; Cass. sez. 3, 1.7.1996, Chiatellino; 30.11.1999, Russo; 2.4.2000, P.M. c. Cavagnoli; n. 5145/2006).
3.1) Il Tribunale si è attenuto a tali principi evidenziando la configurabilità del fumus commissi delicti.
Sul piano fattuale, con argomentazioni immuni da vizi, come tali non sindacabili in questa sede, i giudici del riesame hanno evidenziato che, dagli accertamenti effettuati dalla p.g. e dalle stesse contraddizioni terminologiche contenute nei documenti commerciali e fiscali in ordine alla tipologia della merce, emerge che le bricchette di ferro ed i pani di ghisa sequestrati sono da considerare come rottami di ferro, con conseguente configurabilità del reato di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a) e 259, D.L.vo n. 152/2006. Ricorda il Tribunale che la p.g., proprio in considerazione delle contraddizioni esistenti nella documentazione, aveva proceduto “al taglio di due esemplari delle cd. bricchette verificandone lo stato fisico esterno (liscio ma irregolare) ed interno (compatto e liscio non poroso) e dunque caratteristiche apparentemente incompatibili con materiale proveniente da una procedura a freddo e tali da indurre i militari ad operarne una diversa classificazione, espressa in termini di verosimiglianza, di materiale costituito da rottami di ferro cioè da rifiuti destinati al recupero (attraverso la cosiddetta rifusione) per la produzione dell’acciaio da stoccare in aree dedicate alla messa in riserva secondo quanto previsto dall’art.183, lett. l), D.L.vo 2006 n. l52”.
I giudici del riesame hanno preso in considerazione anche la consulenza tecnica di parte, rilevando che i rilievi in essa contenuti, pur pregevoli sotto il profilo scientifico, non risultano assistiti da esperimenti sul materiale oggetto del sequestro, per cui allo stato non sono idonei a contrastare l’ipotesi accusatoria.
3.2) Quanto alle esigenze probatorie, le sezioni unite hanno già avuto modo di chiarire che, posto che è estranea al vigente codice di rito la previsione di una figura autonoma del sequestro del corpo di reato come quartum genus rispetto ai sequestri probatorio, preventivo e conservativo-, se il sequestro del corpo di reato è disposto a fini di prova, devono essere comunque esplicitate, così come avviene per le cose pertinenti al reato, le ragioni che giustificano in concreto la necessità della acquisizione interinale del bene per l’accertamento dei fatti inerenti al thema decidendum del processo; dovendosi convenire che l’apprensione del corpo di reato non sia sempre necessaria per l’accertamento dei fatti, perché trovi legittima giustificazione l’esercizio del potere coercitivo anche in sede di controllo da parte del giudice del riesame, tali fini almeno inizialmente, devono in ogni caso sussistere ed essere esplicitati nella motivazione del provvedimento con cui il potere si manifesta, ben potendo le esigenze attinenti al thema probandum essere altrimenti soddisfatte senza creare un vincolo superfluo di indisponibilità sul bene. E costituisce prerogativa autonoma dell’accusa enucleare il presupposto essenziale del sequestro a fini di prova, cioè la specifica esigenza probatoria funzionale all’accertamento del fatto reato per cui si procede; e nella inerzia del P.M., il tribunale del riesame non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse. (cfr. Cass. sezioni unite n.5876 del 28.1.2004- P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua).
Sicché hanno affermato le sezioni unite che in caso di mancanza radicale della motivazione in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che sebbene non integrato sul punto dal p.m. neppure all’udienza di riesame, sia stato confermato dall’ordinanza emessa all’esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti (Cass. sez. un. cit.).
3.2.1) Nel provvedimento di convalida il P.M., come dà atto il Tribunale, aveva evidenziato che il sequestro era stato legittimamente eseguito su cose costituenti corpo di reato, necessarie per l’accertamento dei fatti ed in particolare per stabilire la tipologia del materiale oggetto del sequestro medesimo.
Ed il Tribunale, a sua volta, ha ribadito che il sequestro è “..funzionale all’accertamento delle ipotesi criminose che ruotando proprio intorno alla nozione di rifiuto necessitano di quegli approfondimenti anche e soprattutto di natura tecnica…”.
Peraltro, per accertare la natura di materia prima secondaria (secondo l’ipotesi prospettata dalla difesa) bisogna dimostrare che sono state eseguite le procedure di recupero di cui all’art.181, D.L.vo 152/2006, che rimanda in via transitoria al D.M. 5.2.1998 ed al D.M. 12.6.2002, n.161. Si tratta di un accertamento questo cui è, evidentemente, finalizzato il sequestro probatorio.
3.2.2) In ordine all’area su cui risulta depositato il materiale, né il Tribunale, né tantomeno il provvedimento di convalida del sequestro evidenziano quali siano le finalità probatorie.
Si impone pertanto, sul punto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata nonché del provvedimento di convalida del sequestro probatorio. Ovviamente la restituzione materiale dell’area medesima potrà avvenire solo ove si provveda alla “separazione” e trasferimento in altra sede del materiale ivi depositato.