Cass. Sez. III n. 47085 del 19 dicembre 2008 (Ud. 4 nov. 2008)
Pres. Grassi Est. Squassoni Ric. Maiorana
Rifiuti. Sottoprodotti (requisiti)

La sussistenza delle condizioni indicate dall’articolo 183 D.Lv. 152-06 per la qualificazione di sottoprodotto deve essere contestuale per cui, in mancanza di una sola di esse, il residuo deve considerarsi un rifiuto.

Con sentenza 18 marzo 2008, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha ritenuto Maiorana Natale responsabile del reato previsto dall’art. 51 c. 1 D.L.vo 22/1997 (per avere effettuato un trasporto di rifiuti non pericolosi provenienti da residui di demolizione di un muro per conto terzi senza la prescritta autorizzazione) e lo ha condannato alla pena di euro tremila di ammenda.
Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che le prove esperite hanno dimostrato che il materiale era nella quasi totalità costituito da tufo e che doveva e poteva essere riutilizzato per eliminare un dislivello del terreno come hanno asserito i testi che avevano esperienza nel campo di costruzioni edili: i testimoni hanno, pure, chiarito che il Maiorana era l’appaltatore dei lavori dei quali committente era tale Lombardo Orazio;
- che, in base alle emergenze processuali, l’imputato doveva considerarsi il produttore dei rifiuti e, come tale, esonerato dallo obbligo di autorizzazione.
Il ricorso è meritevole di accoglimento, nei limiti in prosieguo precisati, per cui la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Il ricorrente dalla circostanza di essere il produttore dei rifiuti (la cui definizione è inserita nell’art. 6 c. 1 lett. b) D.L.vo 22/1997 ora 183 c. 1 lett. b) D.L.vo 152/2006) trae la conclusione della liceità del trasporto per cui è processo.
La provenienza dei rifiuti (proprio di terzi) non rileva per il perfezionamento della fattispecie di reato in esame. L’art. 51 c. 1 D.L.vo 22/1997, nella sua originaria formulazione, puniva penalmente chi privo di un provvedimento autorizzatorio ( iscrizione all’albo o comunicazione di cui all’art. 27) effettuava attività di trasporto, recupero, smaltimento, commercio, intermediazione di rifiuti “prodotti da terzi”; tale locuzione è stata eliminata dall’art. 7 c.6 D.L.vo 389/1997.
La tematica della provenienza dei rifiuti, cui è dedicata buona parte della sentenza e dei motivi di ricorso, si presenta rilevante sotto il diverso profilo, non esaminato dal Giudice di merito, della possibile qualifica del materiale come sottoprodotto.
Nel caso concreto, l’imputato sostiene che il residuo da demolizione non rappresentava un ingombro del quale intendeva disfarsi, ma un bene che possedeva un valore economico e intendeva riutilizzare, senza operazioni di trasformazione preliminari, per il riempimento ed il livellamento di un terreno.
L’assunto difensivo è corroborato da numerosi testi a difesa la cui deposizione è stata ritenuta non conforme a verità dal Tribunale il quale ha escluso che il Maiorana fosse l’appaltatore avendo come riferimento sostanzialmente la compilazione del formulano che accompagnava il materiale.
Il Giudice non ha preso nella dovuta considerazione le numerose dichiarazioni dei testi i quali hanno sostenuto come il materiale proveniente da demolizione fosse idoneo per realizzare una opera di riempimento e destinato a tale fine (questa precisazione in fatto, se conforme a verità, è di importanza fondamentale per la risoluzione del caso).
La Corte ritiene che la motivazione sulla confutazione delle prove che sostengono la tesi difensiva, non è sorretta da apparato argomentativo congruo, completo e corretto.
Sarà nuovamente affrontata dai Giudice del rinvio la problematica sulla attendibilità dei testimoni ed il controllo della prospettazione circa il riutilizzo del materiale “tale e quale” previa la sola cernita Questa verifica fattuale si pone prodromica per l’accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’esonero dalla disciplina dei rifiuti e per considerare il materiale come sottoprodotto. In diritto, poiché il reato è stata commesso in data 10 novembre 2005, si pone la questione di individuare quale sia la legge più favorevole in materia tra quella dell’epoca del commesso reato e la vigente. Sul punto, si rileva che, secondo la attuale definizione contenuta nell’art. 183 c. 1 lett. p) D.L.vo 152/2006 (modificata in seguito al correttivo introdotto con il D.L.vo 4/2008), per la qualificazione di sottoprodotto si devono rispettare le seguenti condizioni. Le sostanze ed i materiali - aventi un valore economico di mercato - devono essere originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; il loro riutilizzo deve essere preventivamente programmato, certo, integrale ed avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o utilizzazione; il materiale - senza necessità di trattamenti o di trasformazioni preliminari - deve soddisfare determinati requisiti merceologici e di qualità ambientale.
La sussistenza delle condizioni indicate deve essere contestuale per cui ,in mancanza di una sola di esse, il residuo deve considerarsi un rifiuto.
La vigente nozione inserita nel novellato art. 183 D.L.vo 152/2006 è sostanzialmente conforme alle decisioni della Corte di Giustizia la quale ha ammesso, a determinate condizioni, il riconoscimento dei residui di produzione come sottoprodotti invitando l’interprete ad valutare specifiche situazioni di fatto e non ipotesi astratte.
Differente era la disciplina all’epoca del commesso reato quando era vigente l’art. 14 D.L. 138/2002, convertito nella L. 178/2002.
La norma non considerava rifiuti le sostanze ed i materiali residuali di produzione se effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo ciclo produttivo o di consumo senza la necessità di preventivo trattamento e senza recare danno allo ambiente oppure previe operazioni di recupero diverse da quelle individuate nello allegato C del D.L.vo 22/1997.
Dal confronto tra le due normative emerge che quella pregressa non poneva tutti i requisiti per la operatività del regime derogatorio dalla disciplina dei rifiuti richiesti dall’art. 183 D.L.vo 152/2006 e, pertanto,essendo più favorevole all’imputato della vigente, deve regolare il caso ai sensi dell‘art. 2 c. 3 cp.
La previsione dell’art. 14 D.L. 138/2002 conv. L. 178/2002 (pur ponendosi in contrasto con la definizione comunitaria di rifiuto come affermato dalla Corte di Giustizia con sentenza 11 novembre 2004 C457/02, Niselli) deve, comunque, essere applicata. Il potere - dovere del Giudice di disapplicare la legge nazionale riguarda le ipotesi di contrasto con una norma comunitaria dotata di efficacia diretta nello ordinamento interno e tali non sono le direttive alle quali ha dato attuazione il decreto Ronchi; direttive che, tra l’altro, non possono avere come effetto, indipendente dalla una legge interna dello Stato membro adottata per la loro attuazione, di determinare o aggravare le responsabilità penali degli imputati (Corte Giustizia: 3 maggio 2005 procedimenti riuniti C-387102, C-391/02,C-403/02).
La ricordata sentenza interpretativa Niselli della Corte di Giustizia poteva costituire il presupposto per una questione di legittimità costituzionale della norma interna per violazione degli artt. 11, 117 Cost. (ex plurimis Cass. Sez. 3 sentenza 30 settembre 2008, Righi) questa Corte ha sollevato la questione e la Consulta, con ordinanza 14 luglio 2006 ha restituito gli atti per un nuovo esame stante la modifica del quadro normativo.