Cass. Sez. III n. 41075 del 13 ott 2015 (Cc 1 ott 2015)
Presidente: Squassoni Estensore: Orilia Imputato: P.M. in proc. Lolliri
Rifiuti.Cessazione della qualifica di rifiuto e presupposti

La cessazione della qualifica di rifiuto di un materiale, anche a seguito dell'abrogazione dell'art. 181-bis del D.Lgs. n. 152 del 2006 e dell'introduzione dell'art. 184-ter del medesimo D.Lgs., ad opera, rispettivamente, degli art. 39 e 12 del D.Lgs. n. 205 del 2010, presuppone necessariamente una pregressa attività di recupero dello stesso. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la qualifica di rifiuto speciale pericoloso con riferimento al "pastello di piombo", in mancanza di accertamenti sulla sottoposizione del prodotto ad una operazione di recupero secondo i parametri previsti dalla specifica normativa in vigore, rappresentata dal D.M. n. 161 del 2002). (Conf. n. 41076 del 2015, non mass.).

 RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Cagliari, con ordinanza 17.2.2015, accogliendo la richiesta di riesame proposta nell'interesse di Lolliri Carlo, ha annullato il provvedimento di sequestro preventivo di un quantitativo di "pastello di piombo" (2.100 tonnellate) disposto dal GIP in data 22.1.2015 in danno della Portovesme srl in relazione all'ipotesi di reato di cui agli artt. 110 cp e 256 primo comma D. Lvo n. 152/2006 (illecita importazione dall'Australia di rifiuti speciali pericolosi in concorso con i legali rappresentanti della società fornitrice e dell'intermediaria) provvisoriamente contestata al Lolliri nella veste di legale rappresentante della predetta società (l'imputazione provvisoria contiene anche il riferimento all'art. 25 undecies del D.Lvo n. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

I giudici di merito - richiamando una precedente ordinanza emessa in sede di appello cautelare - ritengono che il pastello di piombo non costituisce un rifiuto, ma una materia prima secondaria in quanto destinata non già all'eliminazione, ma all'utilizzo nell'industria chimica per la produzione del piombo; rilevano inoltre che esso ha un suo valore di mercato (requisito, peraltro, non più necessario ai fini della perdita della qualità di rifiuto, come si evince dall'art. 184 ter T.U.A. applicabile al caso di specie, trattandosi di prodotto sottoposto a ciclo di recupero). Richiamano in ogni caso l'Autorizzazione Integrata Ambientale del 21.12.2012 rilasciata alla società Portovesme srl non solo per l'impianto Waelz, ma anche per l'impianto Kivcet nel quale viene impiegato il pastello di piombo.

2. Per l'annullamento della ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo l'inosservanza o erronea applicazione dell'art. 256, comma 1 T.U.A. e D.Lgs. n. 231 del 2001 , art. 25 undecies. Osserva il ricorrente che la stessa autorità australiana considera il prodotto esportato come rifiuto, in quanto - come risulta dalla documentazione acquisita - trattasi di materiale "solforato", a differenza dell'idrossido di piombo, che invece è "desolforato". Richiama la specifica normativa di settore e, in particolare il D.M. n. 161 del 2002, con i relativi allegati che disciplinano puntualmente le procedure da seguire per il recupero di detti materiali. Osserva inoltre che l'art. 184 ter T.U.A., richiamato dal Tribunale del Riesame, esige comunque - ai fini dell'esclusione della natura di rifiuto - il concorso di una serie di circostanze che nel caso di specie mancano sicchè non può parlarsi di End of Waste.

Sottopone infine a critica l'affermazione del Tribunale circa l'efficacia dell'Autorizzazione Integrata Ambientale osservando che - contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del Riesame - essa non riguarda l'impianto Kivcet (ove avviene il trattamento del pastello di piombo) e che pertanto dovrà essere anch'esso autorizzato.

3 Il difensore dell'indagato ha depositato una memoria con cui rileva preliminarmente che il ricorso contiene censure su valutazioni di merito. Richiama il contenuto dell'Autorizzazione Integrata Ambientale del 21.12.2012 e il parere istruttorie costituente parte integrante della stessa, osservando che l'impianto Kivcet attua un trattamento del pastello di piombo in conformità alle previsioni del D.M. n. 161 del 2002 punti 1.4 e 4.2. Osserva che il trattamento è conforme sia per provenienza che per caratteristiche del rifiuto, sia per i valori limite delle sostanze pericolose, sia per le caratteristiche delle materie primo e/o dei prodotti ottenuti.

Conclude pertanto per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del Pubblico Ministero è fondato.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 comma 1, sanziona "chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216".

Il GIP del Tribunale di Cagliari aveva ravvisato il fumus del reato nella forma di una illecita importazione di rifiuti speciali pericolosi, ritenendo tali il pastello di piombo acquistato in Australia presso la società australiana Hydromet Corporation Limited tramite l'intermediaria Clencore International e rinvenuto all'interno di alcuni container.

Questa Corte già ha avuto modo, con la sentenza Moraca n. 41942/14 non massimata, di affrontare il tema - oggi riproposto - della natura del pastello di piombo, pervenendo alla conclusione che, in mancanza di prove sulla sottoposizione del prodotto ad una preventiva operazione di recupero secondo i precisi parametri previsti dalla normativa in vigore, esso deve considerarsi un rifiuto speciale pericoloso e non già di una materia prima secondaria (oggi "rifiuto cessato", End of Waste).

La ricostruzione del quadro normativo riguardante la materia prima secondaria e poi, secondo la normativa successivamente entrata in vigore, la cessazione della qualità di rifiuto, ha formato oggetto anche di altra pronuncia di questa Corte (cfr. Sez. 3 sentenza 20.2- 15.4.2014 n. 16423, Di Procolo, anch'essa non massimata), i cui passaggi è opportuno richiamare: il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. q), (nella versione vigente fino al 12 febbraio 2008), definiva "materia prima secondaria" la sostanza o la materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell'art. 181.

L'art. 181, a sua volta, non forniva una definizione diretta di "materia prima secondaria" ma demandava a fonti di normazione secondaria il compito di individuare le procedure ed i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenerla, affermando al comma 12 che: "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perchè le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l'obbligo, di disfarsene". Il successivo comma 13 precisava: "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l'obbligo, di disfarsene". Il comma 14, così concludeva: "I soggetti che trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino o abbiano deciso, o abbiano l'obbligo, di disfarsene". Nella more di adozione di futuri regolamenti, il comma 6 dell'articolo in questione affidava ai preesistenti, e già vigenti, D.M. 5 febbraio 1998 e D.M. 12 giugno 2002, il compito di indicare le caratteristiche, che attraverso specifici metodi di recupero, le materie prime secondarie avrebbero dovuto possedere per poter esser ritenute tali. Detti decreti individuavano (ed ancor oggi individuano) gli specifici rifiuti, non pericolosi (D.M. 5 febbraio 1998) e pericolosi (D.M. 12 giugno 2002, n. 161), che, in considerazione delle loro caratteristiche, della loro provenienza, e delle procedure di recupero previste per ciascuna tipologia, danno luogo alle materie prime descritte in base alle loro caratteristiche intrinseche.

A seguito delle modifiche introdotte con D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, l'art. 183, comma 1, lett. q), nel definire le materie prime secondarie ha rimandato all'art. 181 bis, di nuova introduzione, che, a sua volta, ha così diversamente disciplinato la materia: "Non rientrano nella definizione di cui all'art. 183, comma 1, lett. a), le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni: a) siano prodotti da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre; c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse; d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato. 2. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008. 3. Sino all'emanazione del decreto di cui al comma 2 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai D.M. 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 161, e D.M. 17 novembre 2005, n. 269".

L'art. 181 bis, è stato successivamente abrogato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, che ha, altresì, definitivamente espunto dall'ambito definitorio dell'art. 183 le materie prime secondarie ed ha introdotto, nel D.Lgs. n. 152 del 2006, il nuovo art. 184 ter, intitolato "Cessazione della qualifica di rifiuto", che così recita:

"1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. 2.

L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1, sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto. 3. Nelle more dell'adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai D.M. Ambiente e Tutela Territorio 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 161 e D.M. 17 novembre 2005, n. 269 e il D.L. 6 novembre 2008, n. 172, art. 9 bis, lett. a) e b), convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione. 4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, dal D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151 e D.Lgs. 20 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. 5.

La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto". In parziale attuazione della norma è stato emesso il Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184 ter, comma 2, e successive modificazioni, di cui al D.M. 14 febbraio 2013, n. 22. Per le altre tipologie di rifiuto restano in vigore, e continuano ad applicarsi, i precedenti decreti ministeriali sopra citati.

Perchè dunque un rifiuto cessi di esser tale è necessario che sia sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i seguenti criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

1) la sostanza o l'oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici;

2) sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato;

3) la sostanza o l'oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

4) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non comporti impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

Le evidenti novità rispetto alla precedente definizione consistono:

1) nella modifica della terminologia, non esistendo più le "materie prime secondarie" ma solo prodotti che cessano di essere rifiuti (c.d. "end of waste"); 2) nella sufficienza della sola esistenza di un mercato e di una domanda per il prodotto, non essendo più ritenuto necessario anche il valore economico del prodotto; 3) nel fatto che l'operazione di recupero può consistere nel controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.

Non è venuta meno, però, la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero perchè possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 205 del 2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero. E' una costante che percorre, trasversalmente, tutte le definizioni e modifiche legislative sopra riportate. L'attività di recupero, come definita dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. t), e come articolata nelle operazioni elencate, ancorchè in modo dichiaratamente non esaustivo, dall'allegato C alla parte quarta del T.U. ambientale, nonchè disciplinata, per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, dal D.M. 5 febbraio 1998, costituisce, a sua volta, una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato (D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 208, 214, e 216). La necessità che risulti dimostrata la intervenuta effettuazione di attività di recupero (condotta nel rispetto di quanto previsto dai D.M. 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 16 e D.M. 17 novembre 2005, n. 269) da parte di un soggetto autorizzato a compiere le relative operazioni, è stata più volte ribadita da questa Suprema Corte (Sez. 3, n. 17823 del 17/01/2012, Celano; Sez. 3, n. 25206 del 16/05/2012, Violato).

E' vero che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 ter, comma 2, estende l'operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicale nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione (questione priva di rilevanza nel caso concreto), si tratta pur sempre di operazione di "recupero" che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato (cfr. Sez. 3 sentenza n. 16423/2014 cit.).

Venendo alla specifica questione della natura dal attribuire al pastello di piombo, prodotto derivante dalla frantumazione delle batterie al piombo esauste (che sono rifiuti pericolosi), occorre rilevare che l'attività di recupero delle batterie al piombo esauste e di scarto e di loro parti è disciplinata il D.M. 12 giugno 2002, n. 161 (Regolamento attuativo del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e 33, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate). Detto decreto, come si è visto, è richiamato espressamente dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 ter, comma 3.

In particolare, l'allegato 1, sub-allegato 1 "Norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti pericolosi", al Capitolo 1.

METALLI NON FERROSI, elenca una serie di tipologie e, tra esse, la tipologia 1.4, ove per il recupero delle batterie al piombo esauste si dispone quanto segue:

"1.4 Tipologia: batterie al piombo esauste e di scarto e loro parti (160601) (200133).

1.4.1 Provenienza: raccolta finalizzata di batterie al piombo esauste; selezione di qualità da industria produzione accumulatori.

1.4.2 Caratteristiche del rifiuto e valori limite delle sostanze pericolose: batterie al piombo esauste e di scarto e loro parti, con un contenuto di Piombo fino al 90% e contenenti: Sn - 1%, As - 0,5%, Sb -10%, Se -0,05%; contenenti soluzione acquosa di H2SO4 - 25% con Pb -1%, Cd -0,1%, Cu, Zn, As, Sn e Sb -0,1% per ciascun elemento.

1.4.3 Attività di recupero: recupero al ciclo termico o idrometallurgico delle componenti metalliche a base di piombo ottenute mediante pretrattamento di frantumazione e vagliatura per la separazione delle componenti plastiche (R4; decantazione, filtrazione e/o concentrazione dell'acido solforico (R5).

1.4.4 Caratteristiche delle materie prime e/o prodotti ottenuti: piombo e sue leghe e soluzione diluita di acido solforico nelle forme usualmente commercializzate".

La caratteristica di "rifiuto cessato" ex art. 184 ter cit. viene assunta dunque solo all'esito di tutte le attività di recupero indicate dal citato Regolamento (di cui si deve dare conto in sede di controllo) e pertanto solo le materie che risultino corrispondenti a quanto indicato al suddetto punto 1.4.4 possono acquisirla e, conseguentemente, essere poste in commercio come prodotti e non come rifiuti.

Nel caso di specie, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare la natura del pastello di piombo sulla scorta del panorama normativo sopra ricostruito e, quindi, per escludere la sussistenza del fumus del reato ipotizzato dal pubblico ministero procedente, accertare se il materiale fosse stato sottoposto a preventiva operazione di recupero, riciclaggio e preparazione per il suo utilizzo, secondo quei precisi parametri di cui al citato regolamento, anche perchè - come sottolinea il Pubblico Ministero ricorrente - dalla stessa dichiarazione del Dipartimento dell'Ambiente Australiano datata 18.10.2013 risultano le indicazioni dirette alla società esportatrice Hydromed riguardanti le procedure da seguire nell'esportazione del solo idrossido di piombo, ma non del concentrato di piombo (che è il materiale oggetto dell'esportazione di cui si discute). Su tale rilievo - tutt'altro che secondario - il Tribunale non ha però svolto alcuna considerazione, limitandosi (v. pagg. 5 e 6) a prendere atto dell'esistenza del documento.

Il tema riguardante il contenuto dell'autorizzazione integrata ambientale concessa alla società Portovesme ed in particolare la sua estensione anche all'impianto Kivcet ubicato nel nuovo polo industriale, su cui si registrano contrastanti opinioni tra l'organo dell'accusa da una parte e il Tribunale del Riesame dell'altra (con adesione della difesa dell'indagato) riguarda la fase successiva, quella del recupero del prodotto all'interno dello stabilimento e in particolare nell'impianto Kivcet che però - secondo quanto affermato dal prof. Valentini (CT del Lolliri e della società Portovesme) nella sua relazione richiamata proprio dal Tribunale del Riesame - è alimentato con "non rifiuti".


Appare dunque rilevante anche sotto tale profilo l'esatta qualificazione del pastello di piombo in sequestro e poi, sulla scorta del materiale probatorio acquisito (sempre compatibilmente con la natura cautelare del procedimento) la verifica della conformità dell'attività di recupero alle previsioni del citato D.M. n. 161 del 2002, che, a dire dell'indagato, sarebbero puntualmente osservate (v. memoria difensiva).

Le considerazioni che precedono comportano l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al Tribunale di Cagliari che, in diversa composizione, riesaminerà la questione sulla scorta degli esposti principi di diritto.

P.Q.M.

annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Cagliari.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2015.