Cass. Sez. III n. 13310 del 30 marzo 2023 (UP 14 dic 2022)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. Longo
Rifiuti.Impiego mezzo di trasporto diverso da quello comunicato

Nel caso di impiego di un mezzo di trasporto diverso da quello comunicato, è configurabile il reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto il soggetto effettua un’attività in carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 febbraio 2022, pronunciata all’esito del giudizio abbreviato, il Gip del Tribunale di Ancona ha condannato l’imputata alla pena di 2.000,00 euro di ammenda, in quanto ritenuta colpevole dei reati di cui all’art. 81 cod. pen. e all’art. 256, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, perché, quale titolare della ditta “Adriametal”, in totale assenza di “F.I.R., formulari identificazione rifiuti”, effettuava attività di smaltimento di apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso presenti presso la sede della suddetta ditta e conferiva i menzionati rifiuti ad una società che, pur essendo iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali, utilizzava per il recupero ed il trasporto degli stessi un veicolo non autorizzato al loro trasporto nonché non iscritto all’Albo nazionale dei Trasportatori.

2. Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione di legge in relazione all’insussistenza del reato, contestato per aver conferito rifiuti su mezzo non autorizzato né iscritto all’albo. Sul punto, la difesa evidenzia come risulti provato documentalmente che sia la Adriametal di Longo Matilde che la CBW S.r.l. sono aziende autorizzate al trasporto e allo smaltimento di rifiuti. Nel caso di specie, quindi, l’antigiuridicità della condotta dovrebbe essere circoscritta al solo uso del mezzo non autorizzato né iscritto all’Albo. Quest’ultima circostanza, però, dovrebbe portare a qualificare il fatto ai sensi del comma 4 dell’art. 256, non già ai sensi del primo comma come avvenuto nel caso di specie. Inoltre, avuto riguardo alla responsabilità del conferente, la difesa evidenzia che: 1) il conferimento e trasporto di rifiuti non pericolosi senza FIR o con FIR inesatto è punito ai sensi dell’art. 258, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, come sostituito dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 116 del 2020, con sanzione amministrativa; 2) non sussiste alcun obbligo del conferente di verificare se il mezzo di trasporto sia o meno autorizzato. Secondo la difesa, la diligenza del conferente deve limitarsi all’acquisizione delle informazioni che sono ottenibili dal Formulario identificativo rifiuti debitamente compilato. Inoltre, per quanto concerne le modalità e il mezzo di trasporto da indicare nel FIR, si sottolinea la non necessità di specificare che il mezzo sia autorizzato al trasporto ed iscritto nell’albo, essendo al contrario sufficiente indicare la targa e il rimorchio utilizzati per il trasporto del rifiuto, il cognome e nome del conducente del mezzo, la data e l’orario dell’inizio del trasporto. Ogni responsabilità penale derivante dal mezzo di trasporto utilizzato, quindi, non può che ricadere secondo la difesa esclusivamente sul trasportatore e non anche sul conferente.
2.2. In secondo luogo, si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’imputata, sul rilievo che il fatto le sarebbe stato attribuito a titolo oggettivo.
2.3. Con un terzo motivo di doglianza, si lamenta il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen.
2.4. Con un quarto motivo, si lamentano il mancato riconoscimento della fattispecie attenuata ex art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 e l’erronea determinazione della pena, che avrebbe dovuto ammontare ad euro 1.000,00 di ammenda.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato.
1.1. Il primo e il quarto motivo di impugnazione – che meritano di essere trattati congiuntamente – sono entrambi fondati. L’articolo 193 (Trasporto dei rifiuti), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione antecedente al d.lgs. n. 116 del 2020, disponeva che il trasporto dei rifiuti, eseguito da enti o imprese, è accompagnato da un formulario di identificazione (FIR), dal quale devono risultare i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell’istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario. Il formulario di identificazione (FIR) deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmate dal trasportatore che in tal modo dà atto di aver ricevuto i rifiuti. In ordine alla definizione del modello e dei contenuti del FIR si applica il decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145 (regolamento recante norme di attuazione di direttive dell’Unione europea, avente ad oggetto la disciplina dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti). Quest’ultimo, all’art. 12 comma 3, prevedeva che nella domanda di iscrizione all’Albo dei gestori ambientali, le imprese intenzionate a svolgere attività di trasporto di rifiuti allegassero, tra l’altro, copia autentica della carta di circolazione dei mezzi di trasporto impiegati, documentazione attestante la loro disponibilità da parte del richiedente ed una perizia giurata, redatta da un professionista iscritto all’albo (ingegnere, chimico o medico igienista), attestante l’idoneità dei mezzi stessi in relazione ai rifiuti da trasportare. A norma del successivo art. 15, dopo l’iscrizione le imprese avevano l’obbligo di comunicare alle sezioni regionali o provinciali, entro trenta giorni, ogni variazione delle specifiche tecniche inerenti all’iscrizione stessa, tra cui certamente rientravano – per le imprese di trasporto rifiuti – quelle relative ad eventuali nuovi mezzi di trasporto utilizzati. Sostituendo, con effetto dal 7 settembre 2014, il d.m. n. 406 del 1998, il nuovo regolamento approvato con d.m. 3 giugno 2014, n. 120 conferma sostanzialmente le previgenti statuizioni, prevedendo, all’art. 15, comma 3, lettere a) e b), per le imprese e gli enti che intendano effettuare attività di raccolta e trasporto di rifiuti su strada, che la domanda di iscrizione sia tra l’altro corredata da un’attestazione – redatta non più da un professionista, ma dal responsabile tecnico dell’impresa o dell’ente – circa l’idoneità dei mezzi di trasporto in relazione ai tipi di rifiuti da trasportare e della copia conforme all’originale della carta di circolazione dei veicoli unitamente all’eventuale documentazione che, in caso di intestatario della carta di circolazione diverso dal richiedente l’iscrizione, attesti la piena ed esclusiva disponibilità dei veicoli in capo a quest’ultimo. Il successivo d.m. n. 140 del 2014, assegna alle imprese ed agli enti il termine di trenta giorni per comunicare alla sezione regionale o provinciale competente ogni atto o fatto che comporti modifica dell’iscrizione all’Albo, specificando che, nel, caso di variazione per incremento della dotazione dei veicoli, le imprese, ai fini dell’immediata utilizzazione dei veicoli stessi, alleghino alla comunicazione di variazione una dichiarazione, sostitutiva dell’atto di notorietà resa ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, secondo il modello approvato con deliberazione del Comitato nazionale. Quest’ultima disposizione – non contemplata nel d.m. n. 406 del 1998 – ha l’effetto di consentire l’immediato utilizzo dei nuovi veicoli prima che l’autorità preposta deliberi sulla variazione, precisando il d.m. n. 140 del 2014, art. 18, comma 5, che, altrimenti, prima della delibera, le imprese continuano ad operare sulla base del provvedimento d’iscrizione in loro possesso. Questa regola era già esplicitata – senza eccezioni – nel d.m. n. 406 del 1998, art. 15, comma 4, il quale prevedeva che «le iscrizioni restano efficaci fino alla conclusione del procedimento di rinnovo». Dalla disciplina regolamentare – vigente al momento dei fatti e successivamente confermata – si ricava in modo chiaro, pertanto, che l’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali per le imprese che effettuano trasporto di rifiuti abilita allo svolgimento dell’attività soltanto con i mezzi di trasporto oggetto di specifica comunicazione. Pertanto, nel caso di impiego di un mezzo di trasporto diverso da quello comunicato, è configurabile il reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto il soggetto effettua un’attività in carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni (Sez. 3, n. 6739 del 28/11/2017, dep. 2018, Rv. 272316; in senso conforme, con riferimento alla previgente fattispecie di reato, Sez. 3, n. 5342 del 19/12/2007, dep. 2008, Rv. 238799; Sez. 3, n. 12374 del 09/03/2005, Rv. 231078). Inoltre, posto che dal FIR stesso emerge che il conferente ha l’onere di verificare la targa del mezzo di trasporto, ne deriva che ha anche l’onere di verificare che quest’ultimo sia tra i mezzi indicati nell’autorizzazione. Il fatto, quindi, deve essere riqualificato ai sensi del comma 4 dell’art. 256, del d.lgs. n. 152 del 2006 perché risulta incontestato che sia la Adriametal di Longo Matilde che la CBW s.r.l. sono aziende autorizzate al trasporto e allo smaltimento di rifiuti; con la conseguenza che l’antigiuridicità della condotta deve essere circoscritta al solo uso del mezzo, non autorizzato né iscritto all’albo.
1.2. Infondato è il secondo motivo di impugnazione, riferito all’elemento soggettivo della colpa, essendo evidente – secondo la ricostruzione operata dal giudice di merito – la mancanza di diligenza dell’imputata quanto all’obbligo di accertare l’appartenenza del mezzo alla categoria di quelli indicati nell’autorizzazione.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è inammissibile, sia perché l’applicazione di quest’ultima non era stata chiesta in primo grado, sia perché la prospettazione difensiva risulta generica, quanto alle ragioni della pretesa particolare tenuità del fatto.

2. Da quanto precede consegue che il fatto deve essere riqualificato ai sensi dell’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione alla pena, da determinarsi in euro 750,00 di ammenda. Partendo dalla pena individuata nella sentenza di primo grado in misura prossima al minimo (euro 3.000,00 di ammenda), devono essere operate la diminuzione della metà, ai sensi del richiamato comma 4 (euro 1.500,00 di ammenda), e l’ulteriore diminuzione della metà per il rito, ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., giungendo così alla pena finale di euro 750,00 di ammenda, inferiore a quella di euro 1000,00, indicata dalla stessa difesa. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M

Qualificato il fatto ai sensi dell’art. 256, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena, che ridetermina in euro 750,00 di ammenda. Rigetta nel resto in ricorso.


Così deciso il 14/12/2022.