Cass. Sez. III n. 11552 del 20 marzo 2023 (UP 17 nov 2022)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Domenici
Rifiuti.Reato di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione

L’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 sanziona l’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, qualunque esse siano, non operando la fattispecie alcuna distinzione tra prescrizioni relative ai rifiuti e prescrizioni relative ad altro; la violazione di qualunque prescrizione infrange il precetto penale e ciò sul semplice rilievo che le prescrizioni (tutte) imposte con l’autorizzazione costituiscono le condizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi cui deve essere informata la gestione dei rifiuti (art. 208, comma 11, d.lgs. n. 152 del 2006, che richiama l’art. 178 dello stesso decreto); è infatti la gestione di rifiuti nel suo complesso che costituisce attività di pubblico interesse (art. 177, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006) e che legittima le limitazioni alla libertà dell’iniziativa privata consentite dall’art. 41, secondo comma, Cost.; dunque è l’intera attività di impresa che rileva, dal suo inizio fino alla sua fine, non sfuggendo alla valutazione di pubblico interesse nemmeno il quomodo ed il quando della sua cessazione (arg. ex art. 208, comma 11, lett. f, d.lgs. n. 152, cit.)


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

        1. Il sig. Francesco Domenici ricorre per l’annullamento della sentenza del 18/10/2021 del Tribunale di Livorno che l’ha dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 256, commi 1, lett. a), e 4, d.lgs. n. 152 del 2006 (capo A), e 674 cod. pen. (capo B), e, applicate le circostanze attenuanti generiche e ritenuto il concorso formale di reati, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 1.100 euro di ammenda.
            1.1. Con il primo motivo, che riguarda il capo A, deduce l’erronea applicazione dell’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, osservando che il Tribunale ha erroneamente applicato le disposizioni riguardanti i rifiuti alle materie prime secondarie. Ed invero, afferma, nell’autorizzazione presente in atti le disposizioni riguardanti le modalità di stoccaggio riguardano non le MPS (come affermato dal Tribunale), ma i rifiuti. L’autorizzazione, inoltre, esplicitamente attribuiva all’operatore la facoltà discrezionale di miscelare tra loro i rifiuti da costruzione e demolizione al fine di produrre una materia prima secondaria più aderente alle richieste granulometriche relative all’impiego cui la materia era destinata. Erra, dunque, il Tribunale allorquando imputa al ricorrente di non aver correttamente stoccato le MPS che non sono rifiuti.  
            1.2. Con il secondo motivo, che riguarda il capo B, deduce il vizio di motivazione nella sua triplice declinazione della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità.
Lamenta che la propria condanna si fonda solo ed esclusivamente sulla valutazione sensoriale dei vicini che avevano criticato l’eccessiva presenza di polveri e il relativo disagio, traendone la conclusione della loro intollerabilità. Sostiene, al riguardo, che nel caso di specie si trattava di polveri non convogliate ma diffuse che non potevano essere completamente eliminate perché insite nella tipologia di lavoro. Proprio per questo motivo l’autorizzazione prevedeva il contenimento delle polveri attraverso sistemi di bagnatura e il monitoraggio del vento mediante anemometro. Sicché il Giudice non poteva trarre dalle conseguenze riferite dai vicini automatiche conclusioni sull’integrazione del reato di cui all’art. 674 cod. pen.

        2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.

        3. Osserva il Collegio:
            3.1. il ricorrente risponde dei reati a lui ascritti per aver violato le prescrizioni imposte con l’autorizzazione al trattamento delle materie prime secondarie (MPS) derivanti dall’attività di stoccaggio e frantumazione di rifiuti provenienti da lavori edili (capo A) e per aver provocato, per effetto della propria attività, immissioni di polveri che avevano cagionato molestia ai numerosi vicini (capo B);
            3.2. il tribunale dà atto che l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti imponeva di tenere separate le diverse tipologie di MPS tramite apposite barriere e che l’imputato aveva violato tale prescrizione;
            3.3. l’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, sanziona, per quanto qui rileva, l’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, qualunque esse siano, non operando la fattispecie alcuna distinzione tra prescrizioni relative ai rifiuti e prescrizioni relative ad altro;
            3.4. la violazione di qualunque prescrizione infrange il precetto penale e ciò sul semplice rilievo che le prescrizioni (tutte) imposte con l’autorizzazione costituiscono le condizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi cui deve essere informata la gestione dei rifiuti (art. 208, comma 11, d.lgs. n. 152 del 2006, che richiama l’art. 178 dello stesso decreto);
            3.5. è infatti la gestione di rifiuti nel suo complesso che costituisce attività di pubblico interesse (art. 177, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006) e che legittima le limitazioni alla libertà dell’iniziativa privata consentite dall’art. 41, secondo comma, Cost.;
            3.6. dunque è l’intera attività di impresa che rileva, dal suo inizio fino alla sua fine, non sfuggendo alla valutazione di pubblico interesse nemmeno il quomodo ed il quando della sua cessazione (arg. ex art. 208, comma 11, lett. f, d.lgs. n. 152, cit.);
            3.7. in questo contesto, le modalità di stoccaggio delle MPS derivanti dalla attività di impresa costituiscono condizioni per il lecito esercizio dell’impresa stessa, non rilevando affatto la circostanza che oggetto della prescrizione non siano i rifiuti in senso stretto;
            3.8. quanto al reato di cui all’art. 674 cod. pen., il Tribunale (non contestato sul punto) dà conto del malfunzionamento degli irrigatori deputati all’abbattimento delle polveri provocate dall’attività di impresa, con conseguente irrilevanza (e genericità) delle deduzioni difensive circa l’impossibilità di impedire la diffusione delle polveri anche adottando gli accorgimenti previsti dall’autorizzazione.

            4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17/11/2022.