Cass. Sez. III n. 17380 del 27 aprile 2015 (Ud 16 dic 2014)
Pres. Squassoni Est. Grillo Ric. Cavanna
Rifiuti. Materiali provenienti da escavazione o demolizione

Tutti i materiali provenienti da escavazione o demolizione vanno qualificati come rifiuti speciali e non materie prime secondarie o sottoprodotti in assenza della dimostrazione che detti materiali siano destinati, sin dalla loro produzione all'integrale riutilizzo per la riedificazione senza trasformazioni preliminari o compromissione della qualità ambientale

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 4 dicembre 2012 il Tribunale di Vigevano in composizione monocratica dichiarava C.L., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) (reato commesso il (OMISSIS)) colpevole del detto reato e lo condannava, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 6.000,00 di ammenda.

1.2 Per l'annullamento della sentenza ricorre C.L. a ministero del proprio difensore di fiducia deducendo specifici motivi a sostegno che qui si riassumono. Con un primo motivo si lamenta inosservanza della legge processuale penale (art. 533 cod. proc. pen.) per avere il Tribunale - nel riconoscere la penale responsabilità del C. - mancato di osservare la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Con un secondo motivo, collegato al precedente, la difesa lamenta violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.) per avere il Tribunale basato il proprio convincimento esclusivamente sulla base della testimonianza di tale F. C. (Sovraintendente del Corpo Forestale dello Stato), peraltro resa in termini di incertezza, omettendo di prendere i considerazione quanto riferito dai testi addotti dalla difesa; correlativamente lamenta vizio di motivazione sul punto. Con un terzo motivo la difesa lamenta carenza di motivazione in ordine alla qualità e tipologia del rifiuto asseritamente oggetto di stoccaggio e successivo smaltimento, omettendo di considerare che il materiale rinvenuto era costituito da ghiaia e sabbia non classificabile come rifiuto. Sotto tale profilo la difesa deduce inosservanza della legge penale per avere il Tribunale omesso di applicare le disposizioni contenute nel D.M. n. 161 del 2012 sostitutivo del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 in materia di riutilizzo di terre e rocce da scavo qualificate dal detto D.M. come sottoprodotti ed invoca l'applicazione del principio di retroattività della norma penale, risultando le disposizioni contenute nel detto D.M. più favorevoli. Lamenta infine, con l'ultimo motivo violazione della legge penale (art. 133 cod. pen.) in punto di trattamento sanzionatorio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile sia per la sua manifesta infondatezza, sia perchè contenente censure in fatto e sia perchè generico.

1.1 Osserva il Collegio quanto segue. Il rispetto della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio deve, come noto, guidare il giudice nel processo di ricerca della verità e nella affermazione della colpevolezza che va fatta solo quando questa sia accertabile in termini di certezza. La regola di giudizio predetta contenuta nell'art. 533 c.p.p., comma 1 come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 5 impone, infatti, al giudice il ricorso "ad un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero l'esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)" (in termini Sez. 1 24.10.2011 n. 41110, P.G. in proc. Javad, Rv. 251507).

Tale principio, però, non ha affatto innovato la natura del sindacato della Corte di Cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, "essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello" (Sez. 5A 10411, Viola, Rv. 251507).

1.2 La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, "in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile". (Sez. 4 17.6.2011 n. 30862, Giulianelli e altri, Rv.

250903). In altri termini, si richiede che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, sia esclusa in assenza di riscontri pur minimi nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (così Sez. 1 3.3.2010 n. 17921, Giampà, Rv. 247449).

1.3 Nel caso di specie le affermazioni contenute nella sentenza impugnata sono frutto di una valutazione approfondita che ha tenuto conto di tutti i dati probatori acquisiti e sulla base della quale è stato espresso un giudizio di certezza in termini incontestabili, laddove dietro l'asserito mancato rispetto della regola di cui sopra si cela una pretesa ricostruzione alternativa della vicenda processuale che - nei termini in cui è stata posta - è preclusa nel giudizio di legittimità.

2. Connesso al primo motivo di ricorso è il secondo nel quale si pone in discussione la ricostruzione dei fatti come operata dal giudice di merito e si prospetta una soluzione diversa attraverso censure in fatto non proponibili in sede di legittimità. Va evidenziato, in proposito, che le doglianze con le quali si lamenta, nella sostanza, una errata ricostruzione attraverso la rivisitazione di quanto riferito dai testi addotti dalla difesa ( T.B. L., B.G., D.M., V.P. in contrapposizione al teste dell'accusa (il ricordato F.C.) a agli elementi di riscontro (le fotografie) acquisite in dibattimento sono inammissibili, sottolineandosi che a questa Corte Suprema è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. Un., 31.5.2000 n. 12, Jakani, Rv. 216260).

2.1 Ciò porta ad affermare l'ulteriore principio del divieto di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, ancorchè altrettanto logica dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, 11.1.2007 n. 7380 Messina ed altro, Rv. 235716).

2.2 Come è noto, è preclusa a questa Corte Suprema la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. Un., 31.5.2000 n. 12, Jakani, Rv. 216260). Con l'ulteriore conseguenza del divieto di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, ancorchè altrettanto logica dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, 11.1.2007 n. 7380 Messina ed altro, Rv. 235716).

2.3 Ritornando alla censura mossa con il secondo motivo si pretende da parte della difesa di orientare il giudizio del Tribunale in merito alla natura dei prodotti qualificati nella contestazione come rifiuti, richiamando le indicazioni provenienti dai testi della difesa che avrebbero riferito di sabbia mista a ghiaia e non già di materiale proveniente da precedenti demolizioni come cemento e calcestruzzo. Non solo tale prospettazione è inammissibile per le ragioni anzidette, ma lo stesso giudizio in merito alla reale natura del rifiuto costituisce indagine di fatto preclusa a questa Corte.

2.4 Quanto al dedotto vizio di motivazione si tratta di censura palesemente destituita di fondamento posto che il Tribunale avvalendosi della dettagliata deposizione del teste di accusa (che ha riferito la composizione del materiale rinvenuto in sede di sopralluogo parlando di sfridi di calcestruzzo provenienti da pregresse demolizioni e frantumazione che avevano origine nel lavaggio delle betoniere dello stabilimento Valdata Laterizi Prefabbricati) ha espresso un giudizio sulla base di risultanze non solo di prove dichiarative, ma anche di prove documentali (fotografie) e logiche, sicchè non ha alcun senso parlare di carenza della motivazione o sua manifesta illogicità.

2.5 Così come non è applicabile la disciplina, invocata dalla difesa, sulle terre e rocce da scavo che sono escluse dall'applicazione della disciplina sui rifiuti D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 186, sempre che venga fornita da parte dell'imputato la prova della loro riutilizzazione secondo un progetto ambientalmente compatibile, competendo invece all'Organo dell'accusa provare la circostanza di esclusione della deroga, ovverossia l'esistenza di una concentrazione di inquinanti superiore ai massimi consentiti (Sez. 3 12.6.2008 n. 37280, Picchioni Rv. 241087): invero, come più volte ricordato da questa Corte Suprema, tutti i materiali provenienti da escavazione o demolizione vanno qualificati come rifiuti speciali e non materie prime secondarie o sottoprodotti in assenza della dimostrazione che detti materiali siano destinati, sin dalla loro produzione all'integrale riutilizzo per la riedificazione senza trasformazioni preliminari o compromissione della qualità ambientale (tra le tante, Sez. 3 19.1.2012 n. 7374, Aloisio, Rv. 252101; idem 17.1.2012 n. 17823, Celano, Rv. 252617; idem 4.12.2007 n. 14323, P.M. in proc. Coppa e altri, Rv. 239657; idem 2.10.2014 n. 3202, Giaccari).

3. Manifestamente infondato anche il terzo motivo con il quale si deduce l'inapplicabilità, comunque^del regime previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 in forza del principio della retroattività della legge più favorevole conseguente all'emissione del D.I. n. 161 del 2012 entrato in vigore il 6 ottobre 2012 (epoca successiva ai fatti oggetto del processo). La risposta offerta, sul punto, dal Tribunale è assolutamente in linea con l'orientamento di questa Corte Suprema (per vero contestato dalla difesa del ricorrente con argomentazioni ripropositive di quelle esposte in sede dibattimentale) secondo il quale l'abrogazione al D.Lgs. 152 del 2006, dell'art. 186 opera (come dispone il D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 39 comma 4 soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del Decreto Interministeriale in materia di sottoprodotti, con la conseguenza che la disposizione di cui al ricordato art. 186 va qualificata come norma temporanea sicchè ai sensi dell'art. 2 cod. pen. la relativa disciplina trova applicazione in ogni caso per i fatti commessi nella vigenza della normativa precedente in tema di terre e rocce da scavo, in quanto non è possibile attribuire la qualifica di sottoprodotto a materiali sulla base di disposizioni amministrative inesistenti al momento della loro produzione (Sez. 3 4.7.2012 n. 33577, Digennaro, Rv. 253662).

4. Assolutamente generico e sostanzialmente privo di argomenti il motivo, semplicemente enunciato nell'incipit del ricorso, dedicato alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio ed alla correlata inosservanza dell'art. 133 cod. pen..

5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al pagamento della somma di Euro 1.000,00 - reputata congrua - da versarsi alla cassa delle Ammende avendo il ricorrente dato causa alla inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2014.