Cass. Sez. III n. 8968 del 2 marzo 2023 (UP 2 nov 2022)
Pres. Ramacci Est. Gentili Ric. Senses
Rifiuti.Parti usate di autoveicoli

Sebbene alle parti usate di autoveicoli possa applicarsi in linea di principio la disciplina prevista per il commercio dei beni di occasione, deve ritenersi che tale operazione sia realizzabile solamente dopo l’avvenuta realizzazione delle attività di bonifica e di eventuale rigenerazione  di tali prodotti, tali da riportare detti beni allo stato originario ovvero ad una piena funzionalità previa riparazione degli stessi; diversamente, ove cioè tali adempimenti non siano stati compiuti, ai medesimi deve intendersi applicabile in tutto e per tutto la disciplina riguardante i rifiuti, senza che, giova precisare, a ciò osti il fatto che, pur nella condizione in cui gli stessi si dovessero trovare, ai medesimi sia stata attribuita una qualche rilevanza economica, atteso che non vi è contraddizione fra la attribuzione ad un determinato oggetto di un dato valore commerciale e la sua qualificazione in termini di rifiuto


RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Trieste ha, con sentenza pronunziata in data 22 novembre 2021, confermato la sentenza con la quale, in data 8 novembre 2019 il Gup del Tribunale di tale medesima sede giudiziaria, in esito a processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di Senses Selahattin in ordine ai due reati a lui contestati, aventi, rispettivamente ad oggetto la violazione dell’art. 259 del dlgs n. 152 del 2006, per avere effettuato, in qualità di legale rappresentante della AS Srls, spedizione di rifiuti, realizzata attraverso l’importazione non autorizzata sul territorio nazionale di n. 14 casse contenenti parti usate di autoveicoli, prive della necessaria documentazione, e dell’art. 256, comma 1, lettera a), del medesimo dlgs n. 152 del 2006 perché, nello svolgimento dell’attività descritta, effettuava raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti, in assenza della necessaria autorizzazione.
Avendo il Tribunale inflitto all’imputato per tali condotte, unificate sotto il vincolo della continuazione e tenuto conto della diminuente per il rito prescelto, la pena di mesi 4 di arresto ed euro 5.000,00 di ammenda, oltre accessori, fra i quali la confisca del camion utilizzato per il trasporto dei rifiuti in questione, la Corte di merito, rigettando l’appello da questo presentato, ha integralmente confermato la condanna inflitta all’imputato.
Avverso la sentenza sopra indicata ha interposto ricorso per cassazione la difesa del Senses, affidando le proprie censure a 5 motivi di ricorso.
Il primo di essi ha ad oggetto il vizio di motivazione in punto di intervenuta impugnazione del rigetto da parte del Gup alla richiesta di ammissione del prevenuto al rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una perizia volta a verificare, onde escluderne la natura di rifiuto, la funzionalità o meno delle parti di autoveicoli di cui a<l capo di imputazione.
Il secondo motivo attiene alla violazione di legge per non avere i giudici del merito ammesso una prova decisiva quando la parte ne abbia fatto richiesta, prova che nel caso che interessa sarebbe stata, appunto, la perizia di cui sopra destinata a dirimere il dubbio in ordine alla qualificazione dei beni di cui al capo di imputazione quali rifiuti.
Il terzo motivo di ricorso concerne la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione siccome rifiuti dei beni oggetto del capo di imputazione.
Il successivo quarto motivo attiene alla violazione di legge ed al vizio di motivazione in punto di dimostrazione della sussistenza dell’elemento materiale dei reati contestati ed in relazione alla sussistenza del necessario elemento soggettivo.
Infine, il quinto motivo riguarda, quale eventuale conseguenza dell’accoglimento dei motivi che precedono, la necessaria eliminazione dei provvedimenti di confisca del camion con cui è stato effettuato il trasporto di cui al capo di imputazione e di smaltimento e distruzione dei beni oggetto della imputazione.                              

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è per una parte inammissibile e per una parte infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Il primo motivo di impugnazione è del tutto inammissibile; con esso, infatti, la ricorrente difesa si è doluta del fatto che la Corte di Trieste non abbia adeguatamente affrontato il tema avente ad oggetto la doglianza avverso il rigetto da parte del Gup triestino della istanza di celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato condizionato allo svolgimento di un’attività di carattere peritale.
Si osserva sul punto che la censura è in radice inammissibile stante l’avvenuta successiva richiesta, formulata dall’attuale ricorrente di fronte al giudice di primo grado, di celebrazione del giudizio con il rito abbreviato cosiddetto “secco”.
Va, infatti, confermata e condivisa la giurisprudenza di questa Corte in forza della quale, una volta che sia stata respinta un richiesta di definizione del processo attraverso il rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una qualche attività istruttoria, la successiva istanza di trattazione nelle forme del rito abbreviato ordinario costituisce una forma di sostanziale acquiescenza alla precedente decisione di rigetto che, pertanto, non può più formare oggetto di doglianza (in tale senso si veda, da ultimo in ordine di tempo: Corte di cassazione, Sezione II penale, 30 aprile 2’20, n. 13368, nonchè, col medesimo orientamento: Corte di cassazione, Sezione I penale, 8 settembre 2014, n. 37244); di tale indirizzo è d’altra parte espressione anche il novellato comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen, introdotto a seguito della parziale riforma processuale derivante dalla entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, il quale conferisce efficacia in ampia parte sanante degli eventuali vizi pregressi in materia di prova alla susseguente richiesta di celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato.
Per ciò che attiene al secondo dei motivi di impugnazione, il cui oggetto è costituito dalla censura riguardante il mancato accoglimento da parte dei giudici del gravame della richiesta di apertura della istruttoria, onde far eseguire una perizia tecnica volta all’accertamento della natura di rifiuto dei pezzi di ricambio usati che erano il materiale meccanico del quale il prevenuto faceva traffico, si osserva, in primo luogo che una siffatta richiesta non può ritenersi già in linea astratta preclusa per effetto della originaria scelta processuale formulata dal ricorrente in favore del rito abbreviato; in effetti la possibilità che è data al giudice di primo grado - fermo restando il beneficio dell’abbattimento della pena da infliggere in esito alla eventuale condanna - di assumere, anche in caso di processo svolto nella forma contratta e laddove egli ritenga di non potere decidere allo stato degli atti, gli elementi necessari ai fini della decisione (id est: elementi probatori in esito ad attività istruttoria officiosa), rende palese che, anche in grado di appello, laddove il giudice - eventualmente anche su sollecitazione delle parti che, sebbene non siano titolari di un diritto alla riapertura della istruttoria (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione II penale, 17 febbraio 2022, n. 5629), hanno, comunque, un potere di sollecitazione nel senso indicato - ritenga di non potere decidere allo stato degli atti, ritenendo, pertanto, non applicabile la generale presunzione di completezza dell’istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado (o, mutatis mutandis, nel corso delle indagini preliminari trattandosi di processo condotto tramite il rito abbreviato), egli potrà riaprire (o, in realtà, aprire) la fase istruttoria del dibattimento.
Ciò costituisce, sebbene abitualmente si tratti di una mera facoltà, invece un obbligo laddove il giudice del gravame intenda ribaltare, sulla base della diversa valutazione data a prove assunte nel corso delle indagini preliminari e veicolate nel giudizio tramite il linguaggio verbale, la precedente sentenza di assoluzione resa in esito al primo grado di giudizio (Corte di cassazione, Sezione VI 18 maggio 2020, n. 15255).
Nel nostro caso, tuttavia, altre sono le ragioni che rendono inammissibile anche questo motivo di impugnazione formulato dalla ricorrente difesa.
In primo luogo, la natura sostanzialmente esplorativa del mezzo istruttorio formulato, essendo questo nell’occasione volto non a verificare, attraverso un’indagine tecnica, quali siano le caratteristiche di un determinato bene, ma teso ad accertare se questo bene sia - sulla base di una definizione normativa, indipendente evidentemente dalle sue caratteristiche tecniche - o meno da qualificare in guisa di rifiuto (è, infatti, noto che la nozione normativa di “rifiuto” non è una nozione ontologica ma finalistica; cfr. infatti l’art. 183 del dlgs n. 152 del 2006, secondo il quale costituisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi” senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero), compito quest’ultimo evidentemente di diretta competenza giurisdizionale ed esulante rispetto a quelli svolti dal consulente tecnico.
Vi è, peraltro, e definitivamente sul punto, da dire che il mancato espletamento di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. D), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove che abbiano il carattere della decisività (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 31 agosto 2017, n. 39746).
Sul terzo motivo di ricorso, con il quale è dedotta la violazione di legge o il difetto di motivazione in relazione alla qualificazione in termini di rifiuto degli oggetti indicati nel capo di imputazione, si osserva, quanto al difetto di motivazione che la sentenza impugnata deduce la predetta natura dalla obbiettiva circostanza che si tratta di parti usate di autovetture ammassati alla rinfusa all’interno di numerose casse spedite alla società commerciale gestita dall’imputato e che questo intendeva a sua volta commercializzare nei paesi del Nord Africa e sulle quali non risultava essere stata eseguita alcuna operazione di rigenerazione, attività per la quale, in ogni caso, la impresa gestita dall’imputato neppure risulta avere le necessarie credenziali amministrative; ciò posto si rileva che, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce "16 01" dell'allegato D alla parte quarta del dlgs n. 152 del 2006, richiamato dall'art. 184, comma 5, stesso decreto e che a norma dell'art. 184-ter comma 1, del medesimo testo normativo, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 febbraio 2018, n. 6939), operazioni tutte queste indicate che, come detto, non risultano essere state eseguite dal fornitore dei citati pezzi di ricambio e che neppure l’imputato sarebbe stato in condizione di eseguire.
Scarso e comunque non decisivo rilievo ha il riferimento segnalato dalla ricorrente difesa a quanto previsto dall’art. 311 della direttiva Ce n. 112 del 2006 in tema di commercio dei “beni di occasione” posto che, come d’altra parte è stato anche puntualizzato dalla Corte di giustizia europea nella decisione con cui è stato definito nel gennaio 2017 il giudizio rubricato come C-471/15, Sjelle Autogenbrug I/S contro Skattenministeriet, “il disinquinamento e il trattamento dei rifiuti derivati da tali veicoli (…costituisce…) il prerequisito per avere il diritto di procedere al prelievo dei pezzi di ricambio”; per cui deve concludersi che, sebbene alle merci di cui ora si tratta possa applicarsi in linea di principio la disciplina prevista per il commercio dei beni di occasione, deve ritenersi che tale operazione sia realizzabile solamente dopo l’avvenuta realizzazione delle attività di bonifica e di eventuale rigenerazione  di tali prodotti, tali da riportare detti beni allo stato originario ovvero ad una piena funzionalità previa riparazione degli stessi; diversamente, ove cioè tali adempimenti non siano stati compiuti, ai medesimi deve intendersi applicabile in tutto e per tutto la disciplina riguardante i rifiuti, senza che, giova precisare, a ciò osti il fatto che, pur nella condizione in cui gli stessi si dovessero trovare, ai medesimi sia stata attribuita una qualche rilevanza economica, atteso che non vi è contraddizione fra la attribuzione ad un determinato oggetto di un dato valore commerciale e la sua qualificazione in termini di rifiuto, (si veda, infatti, in argomento: Corte di cassazione, Sezione III penale 18 novembre 2019, n. 46586; idem Sezione III penale, 6 febbraio 2017, n. 5442).
Riguardo al quarto motivo di impugnazione, riferito alla violazione di legge ed al vizio di motivazione in ordine alla sussistenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo dei reati in discorso ed alla sussumibilità delle condotte da lui poste in essere all’interno del paradigma descritto dalla norma incriminante, si rileva che si tratta di censure infondate posto, quanto alla prima , la natura contravvenzionale dei reati ascritti al Senses, fa sì che degli stessi l’imputato debba rispondere anche sulla base del semplice atteggiamento colposo da lui assunto non avendo adeguatamente verificato il fatto che la società che aveva a lui venduto e trasmesso i beni in relazione ai quali vi era il programma della loro successiva esportazione, essendosi lui reso intermediario di tale operazione, verso l’Africa mediterranea, avesse regolarmente provveduto alla loro bonifica e rigenerazione.
Con riferimento al secondo profilo, erra il ricorrente allorchè  postula la irrilevanza penale della condotta da lui posta in essere trattandosi di “un semplice fatto isolato ed episodico” ciò in quanto, anche a volere dare credito alla circostanza che le numerose precedenti spedizioni ricevute dalla AS Srls, società della quale il Senses è ed era il legale rappresentante, e poi instradate verso i paesi esteri avessero avuto ad oggetto beni cui non si sarebbe potuta assegnare la qualifica di rifiuto, deve, in ogni caso, considerarsi che la violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006 è penalmente rilevante anche se realizzata con una sola condotta, trattandosi di reato che, dogmaticamente, è da collocare non fra quelli abituali, per i quali la rilevanza penale presuppone una pluralità di comportamenti, ma, semmai, fra quelli eventualmente abituali, in relazione ai quali è sufficiente, ai fini della integrazione del reato, la commissione anche di un solo fatto tipico, senza che la sua eventuale ripetizione comporti la commissione di tanti singoli reati quanti sono le condotte ripetute, costituendo la reiterazione delle condotte una delle possibili forme di manifestazione del singolo reato (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 settembre 2021, n. 33420).
Infine, quanto all’ultimo motivo di impugnazione, il destino di esso è indirizzato verso la dichiarazione di manifesta infondatezza, trattandosi di doglianza relativa alla confisca sia dell’automezzo con il quale era stato operato il trasporto delle casse contenenti i rifiuti meccanici sia di questi ultimi, posto che lo stesso è segnato, sfavorevolmente, dall’avvenuto rigetto delle precedenti lagnanze, costituendo le confische delle conseguenze ineludibili della affermazione della penale responsabilità dell’imputato rispetto ai reati da lui commessi.   
Il ricorso presentato da Senses Selahattin deve, per quanto precede, essere rigettato ed il ricorrente va condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen,. al pagamento delle spese processuali.       

PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
   Così deciso in Roma, il 2 novembre 2022