Cass. Sez. III n. 51004 del 9 novembre 2018 (UP 15 giu 2018)
Pres. Cavallo Est. Mengoni Ric. Cucco
Rifiuti. Scarti di origine animale

Gli scarti di origine animale sono sottratti all'applicazione della normativa in materia di rifiuti, e soggetti esclusivamente al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'art. 183, comma primo, lett. n), d. lgs. n. 152 del 2006; diversamente, in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, restano soggetti alla disciplina generale sui rifiuti


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/11/2017, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa il 6/2/2017 dal Tribunale di Termini Imerese, con la quale Natale Cucco e Paolo Cucco erano stati dichiarati colpevoli del delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 6, comma 1, lett. b), d.l. 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 dicembre 2008, n. 210, e condannati ciascuno alla pena di due mesi di reclusione; agli stessi era contestato di aver abbandonato - presso un sito non autorizzato - residui di macellazione clandestina di un bovino adulto, da considerare rifiuto speciale non pericoloso.
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due Cucco, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- inosservanza dell’art. 63 cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe utilizzato contro i ricorrenti le dichiarazioni confessorie dagli stessi rese innanzi ai Carabinieri, in assenza del difensore e degli avvertimenti di cui all’art. 63 cod. proc. pen.; quel che non sarebbe consentito, atteso il divieto assoluto di legge;
- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. n), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 182. La sentenza non avrebbe considerato che gli scarti di origine animale sono sottratti all’applicazione della normativa in materia di rifiuti, e sottoposti al Regolamento CE n. 1774/2002 nel caso in cui siano qualificabili come sottoprodotti; esattamente come nel caso di specie. Il luogo di abbandono, inoltre, non potrebbe qualificarsi come aperta campagna, almeno se fosse rispondente al vero la circostanza – di cui alla pronuncia – per la quale il sito sarebbe di proprietà di Paolo Cucco ed in uso allo stesso ed al figlio;
- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. c), d.l. n. 172 del 2008. Il Giudice non avrebbe considerato che l’eventuale condotta illecita sarebbe stata comunque commessa con colpa, dovendosi così applicare la più favorevole norma richiamata.
Si chiede, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi risultano parzialmente fondati, quanto alla prima doglianza.
Al riguardo, rileva il Collegio che, in effetti, le dichiarazioni indizianti (rectius: confessorie) rese dagli imputati sono sottoposte alla disciplina di cui all’art. 63 cod. proc. pen., a mente della quale se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese (comma 1). Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate (comma 2).
4. Orbene, atteso che, nel caso di specie, i ricorrenti hanno reso le dichiarazioni in esame presso la caserma dei Carabinieri, in assenza degli avvertimento indicati e del difensore, le stesse affermazioni risultano assolutamente inutilizzabili nel corso del processo.
5. Inutilizzabilità che, peraltro, vige anche per le dichiarazioni spontanee che la polizia giudiziaria possa ricevere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ai sensi dell’art. 350, comma 5, cod. proc. pen.
Inutilizzabilità patologica, dunque, che, peraltro, in nessun modo può esser sanata dal consenso – prestato dagli imputati – all’acquisizione della comunicazione notizia di reato nella quale le stesse dichiarazioni erano state inserite; per costante indirizzo di legittimità, infatti, gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero ed acquisiti, sull'accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all'art. 514 cod. proc. pen., salvo che detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta "patologica" qual è quella derivante da una loro assunzione "contra legem" (Sez. 6, n. 25456 del 4/3/2009, Agosta, Rv. 244589, a mente della quale non possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, neanche a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed affetti da inutilizzabilità cd. "patologica", per essere stati assunti in violazione del principio di garanzia espresso dall'art. 63 cod. proc. pen. Tra le altre, per tutte, Sez. 6, n. 48949 del 7/10/2016, Guarnieri, Rv. 268213).
6. Tutto quanto premesso, e rimosse dal compendio utilizzabile le dichiarazioni in esame, occorre quindi sottoporre la sentenza impugnata ad una prova di resistenza, ossia verificare se il tessuto motivazionale possa congruamente sostenere una sentenza di condanna anche in assenza delle medesime affermazioni; ebbene, la risposta appare all’evidenza affermativa, risultando dalla decisione – in assenza di qualsivoglia elemento contrario – che: a) in un terreno di proprietà di Paolo Cucco, utilizzato anche dal figlio Natale, erano stati rinvenuti resti di un bovino macellato (testa, arti inferiori e viscere); b) la riferibilità del terreno ai ricorrenti era riscontrata dall’esser stati – gli stessi – visti sul sito, intenti ad accudire i loro bovini; c) i ricorrenti gestivano una macelleria in Castelbuono.
Dal che - con argomento del tutto logico, che i ricorsi neppure menzionano, tamquam non esset – la conclusione della Corte di merito secondo cui la macellazione clandestina dell’animale, con abbandono dei relativi residui, doveva per certo, e comunque, esser riferita agli odierni ricorrenti, anche a prescindere dal contenuto delle dichiarazioni sopra menzionate.
7. Infondata, di seguito, risulta poi la seconda doglianza, concernente la natura degli scarti in oggetto.
La Corte di appello, infatti, pronunciandosi sulla medesima questione, ha correttamente ribadito che gli scarti di origine animale sono sottratti all'applicazione della normativa in materia di rifiuti, e soggetti esclusivamente al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'art. 183, comma primo, lett. n), d. lgs. n. 152 del 2006; diversamente, in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, restano soggetti alla disciplina generale sui rifiuti (tra le altre, Sez. 3, n. 2710 del 15/12/2011, Lombardo, Rv. 251900; Sez. 3, n. 12844 del 5/2/2009, De Angelis, Rv. 243114). Orbene, in assenza di qualsivoglia elemento che giustifichi l’applicazione dell’art. 183 richiamato in tema di sottoprodotti, non individuabile neppure nel presente ricorso, ecco dunque che non appare censurabile la decisione del Giudice di appello che ha qualificato detti scarti come rifiuti, atteso il loro pacifico abbandono sul fondo agricolo di cui sopra.
8. Da ultimo, non può neppure accogliersi la richiesta riqualificazione della condotta in termini colposi, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. c), d.l. n. 172 del 2008. Come ben affermato dalla Corte di merito, infatti, il carattere stesso della condotta – macellazione abusiva di un bovino, con abbandono dei resti in loco – esclude ex se un’ipotesi colposa, tanto più in considerazione della professione svolta dai ricorrenti e, pertanto, dalla presumibile conoscenza della disciplina di settore.
9. I ricorsi, pertanto, debbono essere rigettati; peraltro, alla luce del tempus commissi delicti (21/6/2010) e degli artt. 157-161 cod. pen., il reato in esame deve esser dichiarato ormai estinto per prescrizione (al 21/12/2017), così annullandosi senza rinvio la sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2018