Cass. Sez. III n. 32523 del 1 ottobre 2025 (UP 26 set 2025)
Pres. Di Nicola Est. Gai Ric. Mottola
Rifiuti.Sversamento sul terreno di effluenti zootecnici 

Configura la contravvenzione di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 l'aver fatto defluire effluenti zootecnici provenienti dai paddock di stabulazione di capi bufalini privi di idonei sistemi di raccolta e regimentazione nel terreno circostante e l'aver depositato direttamente sul suolo letame proveniente dall'allevamento.


RITENUTO IN FATTO 
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno con la quale Mottola Giovanni era stato condannato, alla pena di € 4.000,00 di ammenda, perché ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 256, comma 1 e 2 lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, perché quale legale rappresentante dell'omonima azienda agricola dedita all'allevamento di bufale, illecitamente smaltiva i rifiuti speciali non pericolosi (effluenti zootecnici) che fuoriuscivano da due paddok di stabulazione dei capi bufalini, paddok privi di cordolo di contenimento, disperdendosi per ruscellamento sul suolo circostante, e depositava in maniere incontrollata, nell’area a valle della vasca di stoccaggio e del paddok, rifiuti zootecnici pari a circa 100 metri cubi. In Altavilla il 12/02/2020.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, il difensore dell’imputato, articolando due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello sull’affermazione della responsabilità penale. Argomenta che la corte territoriale non avrebbe rilevato l’assenza di motivazione e l’erronea valutazione della prova del fatto che il materiale accumulato non fosse rifiuto, omettendo di valutare il contratto tra il ricorrente e la C&F Energy Società agricola s.r.l. in virtù del quale il letame veniva lavorato ed impiegato sul fondo come concime.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge per aver ritenuto, la corte territoriale, che il materiale accumulato fosse “rifiuto”, laddove il letame lavorato e riutilizzato ai fini della concimazione si sottrae a tale catalogazione (c.d. fertirrigazione).
3. Il difensore dell’imputato ha depositato memoria scritta con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso. Ha ribadito che la Corte di Appello di Salerno avrebbe ritenuto sussistente la responsabilità penale dell’odierno ricorrente sull’errato presupposto che i fatti storici contestati nel capo di imputazione, risultino provati dall’inesistenza di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento.  Ebbene, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici di merito, la mancanza di aree destinate alla coltivazione risulta assolutamente irrilevante e non idonea a smentire l’esistenza del contratto di fornitura, in forza del quale il ricorrente si impegnava a conferire alla “C. & F. Energy Società Agricola S.r.l.” circa 20 mc di letame a settimana ed a riprendere pari volumi di digestato liquido per la concimazione dei terreni, così come confermato dal legale rappresentante dell’anzidetta società e come provato dalla documentazione versata in atti. Ragion per cui, sarebbe chiaro, diversamente da quanto ritenuto dai Giudici di merito, in palese violazione all’art. art. 256 commi 1 e 2 lett. a) D.lgs n. 152/2006, che i reflui rinvenuti nell’azienda del sig. Mottola Giovanni rappresentavano un mero accumulo temporaneo di letame in attesa di essere sparso sui terreni di proprietà del predetto, e giammai in rifiuto.
4. Il Procurato generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Giova rammentare che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del12/06/2019, Rv. 277218 - 01).
Ciò è avvenuto nel caso in esame laddove la corte territoriale, ferma l’accertamento dei fatti come compendiato nel capo di imputazione, ha risposto alle censure difensive che si appuntavano sulla allegazione dei presupposti per l’esclusione dall’alveo della normativa sui rifiuti, delle deiezioni animali provenienti dall’allevamento di bufale.
2. Secondo le conformi sentenze di merito, il paddok dove erano collocati gli animali non era dotato di cordolo per il contenimento delle deiezioni, nella vasca di stoccaggio era praticato un foro che determinava il ruscellamento sul terreno circostante dei reflui, ruscellamento che percorreva parte del terreno dell’azienda agricola per poi perdersi nella vegetazione. A valle dell’allevamento vi era un cumulo di letame direttamente sul suolo non impermeabilizzato e agli atti non risultava alcuna autorizzazione agronomica dei reflui zootecnici.
I giudici del merito, pur dando atto della produzione del contratto, privo di data certa, con la ditta C&F di conferimento dei rifiuti, rilevavano che, ad escludere la pratica della fertirrigazione, militava la circostanza della assenza di colture per l’utilizzo agronomico dei reflui.
La motivazione resa è non solo presente, ma anche congrua, pertenente ed ancorata al dato probatorio, rispetto al quale ogni diversa valutazione (validità del contratto di conferimento dei rifiuti) non può avere ingresso in questa sede.
Da qui l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l'art. 185, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006, non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del medesimo d.lgs., rubricata "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati", «f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana, nonché la posidonia spiaggiata, laddove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all'interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana».
Nell'interpretare la disposizione normativa appena citata, plurime pronunce di legittimità hanno precisato che le materie fecali sono escluse dalla disciplina dei rifiuti di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 a condizione che provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività (cfr., in particolare in fattispecie analoga, Sez. 3, n. 45113 del 28/10/2022, Di Matteo, Rv. 283776 – 01; anche Sez. 3, n. 37548 del 27/06/2013, Rattenuti, Rv. 257686-01, la quale ha affermato la natura di rifiuto di rilevanti quantitativi di pollina provenienti da allevamento avicolo, ammassati e collocati in aree scoscese e prive di vegetazione, nonché Sez. 3, n. 8890 del 10/02/2005, Gios, Rv. 230981-01, la quale ha ritenuto la applicabilità della disciplina sui rifiuti alla gestione di materie fecali provenienti da un alpeggio di bovini in una malga).
In particolare, per quanto qui di rilievo, si è osservato che la pratica della fertirrigazione", che sottrae il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la "fertirrigazione", quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 40782 del 06/05/2015, Valigi, Rv. 264991-01, e Sez. 3, n. 15043 del 22/01/2013, Goracci, Rv. 255248-01).
4.  Nella specie, la sentenza impugnata espone compiutamente la situazione riscontrata sui terreni dell'azienda e segnatamente ha rilevato che il paddok dove erano collocati gli animali non era dotato di cordolo per il contenimento delle deiezioni, nella vasca di stoccaggio era praticato un foro che determinava il ruscellamento sul terreno circostante dei reflui, ruscellamento che percorreva parte del terreno dell’azienda agricola per poi perdersi nella vegetazione e valle dell’allevamento vi era un cumulo di letame direttamente sul suolo non impermeabilizzato e agli atti non risultava alcuna autorizzazione agronomica dei reflui zootecnici.
Correttamente l'imputato è stato ritenuto responsabile che della contravvenzione di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 per aver fatto defluire i liquidi provenienti dai paddock, privi di idonei sistemi di raccolta e regimentazione nel terreno circostante e per aver depositato direttamente sul suolo letame proveniente dall'allevamento.
Sulla base dei principi sopra richiamati e della situazione di fatto compiutamente descritta, le conclusioni della sentenza impugnata, nel ritenere la sussistenza del reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 risultano immuni da vizi quanto all’assenza di dimostrazione delle circostanze per escludere la responsabilità che, con specifico riferimento alla pratica della c.d. fertirrigazione, quale presupposto di sottrazione delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo. (Sez. 3, n. 5039 del 9 febbraio 2012. Conf. Sez. 3, n. 5044 del 2012, non massimata), spandimento mediante ruscellamento sul suolo che, come accertato nel caso in esame, esclude la ricorrente dei presupposti per sottrarre la disciplina dei rifiuti.
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 26/09/2025