Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1230, del 28 febbraio 2013
Rifiuti.Costruzione ed esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da “pollina”

L’avvenuta integrazione dell’elenco dei biocombustibili con l’indicazione della pollina, non esime l’Amministrazione dal pretendere la sussistenza dei requisiti generali previsti per la qualificazione di un scarto come “sottoprodotto” ai sensi dell’art. 184 bis del Codice dell’Ambiente. L’autorizzazione, da parte degli enti competenti per territorio, in ordine all’utilizzo della pollina quale biocombustibile, non è frutto di una previsione che consegna agli enti predetti un potere discrezionale senza limiti o confini in violazione del principio di legalità, ma è un requisito ulteriore poggiante sulla necessità di verifica in concreto, non solo che la combustione avvenga “nell’ambito del medesimo ciclo produttivo”, ma anche che la pollina abbia, in relazione al caso concreto, effettivamente le caratteristiche generali del sottoprodotto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01230/2013REG.PROV.COLL.

N. 05523/2012 REG.RIC.

N. 05524/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5523 del 2012, proposto da: 
Azienda Agricola Fattorie Menesello di Menesello Simone & C. s.s., rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Pellegrini, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via F. Confalonieri N.5;

contro

Gabriele Campiglio, Lino Campiglio, Bruna Miazzo, Emo Galantin, rappresentati e difesi dagli avv. Paolo Stella Richter, Michele Greggio, Vladimiro Pegoraro, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11; Gianni Menesello, rappresentato e difeso dagli avv. Vladimiro Pegoraro, Michele Greggio, Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11; Antonio Galantin, Lucia Caron, Antonietta Sturaro, Luca Galantin, Ermes Travaglia, Giampietro Boldrin, Lisa Boldrin, Sabrina Pavanin, Federico Boldrin, rappresentati e difesi dagli avv. Paolo Stella Richter, Michele Greggio, Vladimiro Pegoraro, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11; Gloria Parigi, Soprintendenza Per i Beni Archeologici Per il Veneto, Provincia di Padova, Arpav-Direzione Generale, Arpav-Direzione Provinciale di Padova, Comune di Este, Confagricoltura Veneto, Comitato Popolare "Lasciateci Respirare"; Regione Veneto, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Cusin, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

 

sul ricorso numero di registro generale 5524 del 2012, proposto da: 
Azienda Agricola Fattorie Menesello di Menesello Simone & C. s.s, rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Pellegrini, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via F. Confalonieri N.5;

contro

Comune di Este in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Franco Giampietro, con domicilio eletto presso Franco Giampietro in Roma, via Franco Sacchetti, 114; 
Regione Veneto, rappresentato e difeso dagli avv. Ezio Zanon, Luigi Manzi, Antonella Cusin, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri, 5; 
Regione Veneto Assessorato Alle Politiche dell'Ambiente, Regione Veneto Segr.Reg.All'Ambiente e Territorio Unita' Complessa Tutela Atmosfera, Provincia di Padova, Arpav, Arpav Dipartimento di Padova, Confagricoltura Veneto; 
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in persone del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

quanto all’ appello n. 5523 del 2012:

della sentenza del T.A.R. Veneto - Venezia - Sezione III, n. 00881/2012, resa tra le parti, concernente l’autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da “pollina”;

quanto all’ appello n. 5524 del 2012:

della sentenza del T.A.R. Veneto - Venezia - Sezione III, n. 00882/2012, resa tra le parti, concernente l’autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da “pollina”;



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gabriele Campiglio e di Gianni Menesello e di Lino Campiglio e di Bruna Miazzo e di Emo Galantin e di Antonio Galantin e di Lucia Caron e di Antonietta Sturaro e di Luca Galantin e di Ermes Travaglia e di Giampietro Boldrin e di Lisa Boldrin e di Regione Veneto e di Sabrina Pavanin e di Federico Boldrin e di Comune di Este e di Regione Veneto e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Vincenzo Pellegrini, Andrea Manzi, Michele Greggio e Andrea Reggio d'Aci (su delega di Luigi Manzi) Vincenzo Pellegrini, Andrea Manzi, Franco Giampietro (anche su delega di Alberta Milone) e Andrea Reggio d'Aci (su delega di Luigi Manzi);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con autonomi ricorsi e successivi motivi aggiunti, sia il Comune di Este, che alcuni privati ed associazioni, impugnavano davanti al TAR Veneto, la DGRV n. 2272/2009 recante indirizzi per la corretta applicazione delle procedura autorizzative relative agli impianti alimentati da fonti rinnovabili, ed in particolare da biomasse fecali; nonché la successiva DGRV n. 213/2011, avente ad oggetto l’autorizzazione regionale rilasciata alla “Fattorie Menesello” per la costruzione e gestione di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato da pollina e cippato di legno, da ubicarsi nel Comune di Este.

Il TAR accoglieva in parte qua i ricorsi, dichiarando inammissibile l’impugnazione della DGRVn. 2272/2009, ed annullando la DGRV n. 213/2011 in ragione di un difetto di istruttoria e di motivazione (nella deliberazione impugnata si darebbe atto della sussistenza di un allevamento di polli in località Motta d’Este – oltre a quello già funzionante in Lozzo Atestino, che dalle risultanze istruttorie sembrerebbe invece dismesso).

Le sentenze sono appellate dall’azienda agricola “Fattorie Menesello” che deduce:

1. Vizio di ultrapetizione – Il ricorso originario non conterrebbe alcuna censura relativa al difetto di istruttoria nei termini stigmatizzati dal primo giudice, che pertanto avrebbe pronunciato oltre i limiti della domanda;

2. Error in iudicando in rapporto al rilevato difetto istruttorio. La carenza istruttoria neanche sussisterebbe atteso che, nel corso del procedimento autorizzatorio, Fattorie Menesello avrebbe presentato una revisione del Piano aziendale riportante il dato della dismissione dell’allevamento di Este, nonché il calcolo del potenziale energetico sui soli allevamenti operativi.

- Si sono costituiti in giudizio il Comune di Este e gli altri originari ricorrenti, i quali hanno altresi proposto appello incidentale riproponendo tutte le censure assorbite, sia la Regione Veneto promotrice di autonomo appello sorretto da motivi sovrapponibili a quelli già sopra esaminati.

In particolare, gli appellati contestano la sussistenza di un vizio di ultrapetizione, potendo a loro dire lo stesso profilarsi solo quando si vada oltre i limiti della domanda od oltre i limiti del singolo vizio dedotto; ma non quando, per converso, sia dedotto la specie del vizio (eccesso di potere) e l’annullamento rientri in quel tipo di vizio.

- Ripropongono, in ogni caso, gli originari motivi aggiunti (non quelli di cui al ricorso principale), che possono così riassumersi.

1) Già in sede di conferenza di servizi, il Comune d’Este aveva evidenziato che l’impianto della cui autorizzazione trattavasi, fosse da qualificare come impianto di trattamento rifiuti sottoposto alla disciplina in tema di gestione ed incenerimento di cui alla Parte IV del Codice ambiente, e non a quella di promozione degli impianti energetici da biomassa di cui al d.lgs 183/2003. E proprio nel tentativo di superare dette obiezioni, la Regione Veneto aveva emanato la DGRV n. 2272/2009, poi posta a fondamento dell’autorizzazione n. 213/2011. L’autorizzazione sarebbe illegittima per vizi derivati dalla DGRV n. 2272/2009;

2) Vizi propri – Illogicità e contraddittorietà della motivazione. L’autorizzazione impugnata, richiama la legge n. 96/2010 affermando che quest’ultima, all’art. 18, ha stabilito che la pollina destinata alla combustione nel medesimo ciclo produttivo è da considerarsi “sottoprodotto” e non rifiuto.

2.1) L’interpretazione sarebbe arbitraria, poichè l’art. 18 cit. comunque subordinerebbe l’utilizzo della pollina quale biomassa combustibile, alla “previa autorizzazione degli enti competenti per territorio”.

2.2) In ogni caso la norma si porrebbe in contrasto con la disciplina comunitaria di cui all’art. 5 della dir. 2008/98 CE, atteso essa che non ammetterebbe soluzioni intermedie ed empiriche tra i “rifiuti” ed i “sottoprodotti” (riutilizzabili senza alcuna autorizzazione), individuando ex lege quest’ultimi a mezzo di stringenti requisiti tali da escludere dal loro novero gli scarti produttivi (questi ultimi, classificandosi quali rifiuti potrebbero essere bensì recuperati, ma solo attraverso l’applicazione dei procedimenti previsti dalla disciplina sui rifiuti).

2.3) Né la clausola normativa che fa salva la “previa autorizzazione” varrebbe a sanare il contrasto, essendo talmente generica da risolversi in un flatus vocis;

2.4) Comunque la stessa sarebbe incostituzionale per violazione del principio di legalità e di ragionevolezza;

2.5) L’autorizzazione regionale, nel caso di specie, sarebbe comunque sorretta da motivazione generica, oltre che incongruente, limitandosi al mero richiamo alla fonte (art. 18 cit.) ed interessando in concreto una miscela di materiale fecale e cippato di legno non definibile tecnicamente quale “pollina”, oltre che ad impatto ambientale più grave di quello prodotto dalle biomasse combustibili elencate dall’all. X alla parte V del Codice ambiente.

2.6) Nell’autorizzazione si farebbe riferimento, in funzione giustificativa, anche all’art. 185 del Codice ambiente – così come modificato dall’art.13 del d.lgs 205/2010 – che riproducendo il testo dell’art. 2 lett. f della dir. 2008/98 CE esclude dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti, le materie fecali, obliterando tuttavia che l’esclusione non opera ove il materiale fecale (rifiuti animali), rientri nell’ambito di applicazione del reg. 1774/2002 (oggi reg. 1069/2009) o sia destinato all’incenerimento.

3. La relazione tecnico agronomica deposita nel corso della Conferenza di servizi evidenzierebbe come “Fattorie Menesello” non produca pollina, ma semplici deiezioni animali, svolgendosi, l’allevamento intensivamente senza l’uso di lettiere di origine vegetale.

4. I valori limite all’emissione, previsti dal d.lgs 133/2005 per l’incenerimento di rifiuti, sarebbero violati dall’autorizzazione regionale, che contiene prescrizioni le quali, seppur conformi alla media giornaliera individuata dalla fonte normativa citata, violerebbero la media infragiornaliera (media di 30 minuti); nulla disporrebbero in ordine alla misurazione dell’acido fluoridrico; prevederebbero, ancora, una scansione temporale di controlli del tutto insufficiente.

5. Gli appellanti in proposito osservano che la questione nasce dalla direttiva 91/676/CE (cd direttiva “nitrati”) e dalla normativa interna di recepimento (art. 92 d.lgs 152/2006) in materia di protezione delle acque dai nitrati, che limita l’utilizzo a fini agronomici delle deiezioni animali.

Centrale sarebbe la definizione della pollina quale biomassa, sì da consentirne la combustione a fini energetici: in merito, la disciplina vigente al tempo del rilascio dell’autorizzazione sarebbe chiara nell’escludere le materie fecali dalla nozione di “rifiuti”. Né varrebbe ad attribuire siffatta qualifica la circostanza che la pollina sia menzionata nel Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) poichè alla luce della nuova definizione di rifiuto, tale sarebbe non quello inserito in elenchi, ma quello del quale il detentore si disfi o si voglia disfare. La miscela di pollina e cippato di legno non sarebbe, inoltre, fattore condizionante, trattandosi di due biomasse combustibili. Ancora, non potrebbe considerarsi impianto di smaltimento rifiuti un impianto nel quale le sostanze immesse, lungi dall’essere l’oggetto del trattamento, ne sono uno strumento operativo (combustibile). Quanto ai limiti all’emissione, la scelta di applicare i più restrittivi limiti previsti dal Codice ambiente per gli inceneritori, in luogo di quelli per gli impianti di combustione a fini energetici previsti dal d.lgs 387/2003, rappresenterebbe una scelta discrezionale animata da intento cautelativo.

6. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno scambiato memorie, ribadendo le rispettive posizioni ed ulteriormente approfondendo le argomentazioni già spese: in particolare, secondo gli appellati, il fatto stesso che l’azienda agricola voglia “smaltire” le deiezioni animali al fini di non incorrere nelle sanzioni contemplate dalla direttiva “nitrati”, costituirebbe indice della configurabilità di un rifiuto ai sensi del Codice ambiente. Secondo gli appellanti, invece, una definizione così ampia e generica di rifiuto finirebbe per imporre lo “smaltimento” persino quando il materiale, grazie alle sue potenzialità energetiche, potrebbe fornire un’occasione economica al detentore, prevenendo i costi dello smaltimento.

7. Le cause sono state entrambe trattenute per la decisione alla pubblica udienza del 12 febbraio 2013.

DIRITTO

1. Sussistendone tutti i presupposti oggettivi e soggettivi, le cause possono essere riunite ai fini di una loro trattazione congiunta.

2. Entrambi gli appelli principali sono fondati.

2.1. Non v’è, in effetti, alcun accenno nei ricorsi originari al difetto di istruttoria connesso alla segnalata dismissione dell’allevamento di Lozzo Atestino. Il Giudice di primo grado lo ha evidentemente rilevato d’ufficio, con ciò violando il principio di cui all’art. 112 cpc., richiamato dall’art. 39 c.p.a.

2.2. La norma rappresenta, proprio con riferimento al concreto esercizio della potestas judicandi, l'espressione precipua del potere dispositivo delle parti, inibendo al giudice di pronunciare oltre i limiti del petitum e della causa petendi, così come specificati, nel particolare ambito del processo amministrativo, dai motivi di ricorso, conferendo alla giurisdizione amministrativa una spiccata caratterizzazione soggettiva (Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2002, n. 4986).

2.3. Priva di pregio è la tesi offerta dagli appellati, secondo la quale a scongiurare l’ultrapetizione sarebbe sufficiente la deduzione della generica categoria di vizi nella quale è sussumibile quello in concreto ritenuto dal giudice sufficiente a giustificare la statuizione demolitoria.

E’ pur vero che la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la possibilità per il giudice di fondare la decisione anche su un percorso logico giuridico difforme da quello prospettato dal ricorrente, ma mai si è affermato, nemmeno per implicito, che detta difformità possa interessare anche i fatti nuovi, non ritualmente dedotti in giudizio, o le censure non dedotte dalla parte ricorrente. Sicchè non può ammettersi che un vizio di eccesso di potere conseguente alla rilevata omessa valutazione delle risultanze istruttorie, comportante l’allegazione di fatti (risultanze istruttorie) e censure giuridiche (specifico sintomo della presenza di eccesso di potere), possa traguardarsi come un “percorso logico giuridico” fra i tanti disponibili per il giudice nell’ambito del generale vizio di eccesso di potere: sol che si consideri che l’argomentazione logico giuridica è comunque un iter che si diparte da fatti per giungere a conclusioni, già ritualmente allegati e prospettate dalle parti.

2.4. Il vizio descritto è così radicale da determinare l’annullamento della sentenza, ma non il rinvio al primo giudice ai sensi dell'art. 105 c.p.a.

La situazione in esame, infatti, è da ritenersi del tutto analoga ai casi di erronea declaratoria, da parte del giudice di primo grado, dell' irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, situazioni che, come è noto, non comportano l'annullamento della sentenza con rinvio dell'affare al giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice di appello deve trattenere la causa e deciderla nel merito (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486).

3. Il Collegio può dunque pronunciare sui motivi di ricorso già completamente assorbiti dal giudice di prime cure, riproposti in sede di appello incidentale.

4. Una premessa di fondo si impone, in via preliminare, in ordine all’individuazione del quadro normativo applicabile: Non v’è alcun dubbio che debba aversi riguardo alla normativa vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione contestata.

Il principio del tempus regit actum governa ordinariamente il procedimento amministrativo e pretende che la legittimità del provvedimento finale, per qualsiasi aspetto che riguardi la sua essenza, la struttura o i requisiti, sia raffrontato al paradigma legale del tempo in cui è posto in essere.

Nel caso di specie, al momento dell’autorizzazione, erano già vigenti sia l’art.18 della legge 96/2010 modificativo dell’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171, sia il Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, modificativo dell’art. 185 del Codice ambiente.

5. E’ alla luce dell’indicato quadro normativo che va affrontata la questione controversa, la quale ruota essenzialmente attorno ad un preliminare quesito di base: se cioè le deiezioni animali, ed in particolare la “pollina”, siano da considerare “rifiuti”, oppure possano essere considerati “sottoprodotti di origine animale”, ovvero direttamente “biomasse” ai sensi del d.lgs 183/2003.

5.1. Secondo i ricorrenti si sarebbe in presenza di un rifiuto, integralmente soggetto alla disciplina dello smaltimento di cui alla parte IV del Codice ambiente, con conseguente qualificazione dell’impianto progettato, tra quelli di smaltimento e non già di produzione energetica da fonti alternative: la pollina, in particolare, sarebbe specificatamente indicata quale rifiuto nell’elenco CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) con il codice 02106; le materie fecali in genere non rientrerebbero nell’ambito delle biomasse combustibili, previste dall’apposito allegato al Codice ambiente; neanche potrebbero essere considerati sottoprodotti ai sensi del disposto dell’art. 18 della legge 96/2010, atteso che seppur è vero che ivi la “pollina”, ai fini della protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, è stata espressamente qualificata come sottoprodotto utilizzabile quale biomassa, è stata tuttavia contestualmente prevista una “previa autorizzazione degli enti”, palesemente in contrasto con l’art. 5 della direttiva 2008/98/CE, incompatibile con l’art. 184 bis e ter del Codice ambiente, e comunque incostituzionale per violazione degli artt. 3 comma 1 e 97 Cost.; la pollina non potrebbe nondimeno rientrare tra le materie fecali, tout court escluse dall’applicazione della disciplina dei rifiuti ai sensi dell’art. 185 del codice ambiente (modificato sul punto dal Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205), poichè in tale norma è fatta salva l’applicazione del regolamento comunitario 1774/2002 che prevede una disciplina speciale per le deiezioni animali (finalizzata essenzialmente alla prevenzione sanitaria), che a sua volta ricede il passo alla disciplina dei rifiuti ove le deiezioni siano destinate all’incenerimento (come sarebbe nel caso di specie), secondo una schema di tipo circolare.

6. Conviene esaminare punto per punto gli snodi argomentativi prospettati.

6.1. Innanzitutto, nessun valore qualificatorio può avere il CER, a fronte di successive previsioni legislative che definiscono in generale il rifiuto, ed in particolare il sottoprodotto.

6.2. Nessuna efficacia ostativa può nondimeno avere la mancata espressa previsione della pollina nell’elenco dei biocombustibili di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del Codice ambiente, in presenza di apposita norma che intervenendo ab externo sull’allegato stesso, dichiara espressamente di volerlo integrare con la previsione della “pollina” (art. 18 legge 96/2010) a condizione che essa sia qualificabile in concreto come sottoprodotto.

L’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171, così come appunto modificato dall’art. 18 della legge 96/2010, in particolare prevede che “1. Le vinacce vergini nonche' le vinacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l'essiccazione, nonche', previa autorizzazione degli enti competenti per territorio, la pollina, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell'allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (trattasi dell’allegato cui si è già fatto riferimento per i biocombustibili).

6.3. La norma appare in linea con la direttiva 2008/98/CE: Essa, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non prefigura una perentoria esclusione di un determinato scarto produttivo dal regime dei rifiuti, a mezzo della sua classificazione come sottoprodotto, ma si limita a richiamare – e sempre che la combustione avvenga nel medesimo ciclo produttivo - la disciplina di cui all’allegato X nella parte citata.. Ed ivi è previsto, all’art 1-bis (invero inserito solo con Decreto Legislativo 29 giugno 2010 n.128, art. 3), che “Salvo il caso in cui i materiali elencati nel paragrafo 1 (ndr. ossia i biocombustili) derivino da processi direttamente destinati alla loro produzione o ricadano nelle esclusioni dal campo di applicazione della parte quarta del presente decreto, la possibilita' di utilizzare tali biomasse secondo le disposizioni della presente parte quinta e' subordinata alla sussistenza dei requisiti previsti per i sottoprodotti dalla precedente parte quarta”.

In sostanza, l’avvenuta integrazione – ad opera del legislatore - dell’elenco dei biocombustibili con l’indicazione della pollina, non esime l’amministrazione e l’interprete dal pretendere la sussistenza dei requisiti generali previsti per la qualificazione di un scarto come “sottoprodotto”, per tale dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 184 bis del Codice, “1……….qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana”.

6.4. Possono del pari escludersi gli ulteriori dubbi di incostituzionalità profilati dai ricorrenti. L’autorizzazione, da parte degli enti competenti per territorio, in ordine all’utilizzo della pollina quale biocombustibile, non è frutto di una previsione che consegna agli enti predetti un potere discrezionale senza limiti o confini in violazione del principio di legalità, ma è un requisito ulteriore poggiante sulla necessità di verifica in concreto, non solo che la combustione avvenga “nell’ambito del medesimo ciclo produttivo”, ma anche che la pollina abbia, in relazione al caso concreto, effettivamente le caratteristiche generali del sottoprodotto. Trattasi dunque di un regime autorizzatorio fondato sulla verifica e non sulla discrezionalità.

6.5. Non ravvisabile poi è la ventilata incompatibilità tra l’art. 18 della legge 96/2010, e l’art. 185 così come modificato dal dlgs 3 dicembre 2010, n. 205.

La seconda delle norme citate esclude dal campo di applicazione dei rifiuti, in quanto soggetti a discipline speciali: (art. 185 comma 2 lett. b): i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio. Ai sensi del comma 1 lett. f) Sono altresì escluse …le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), ……. utilizzati per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana.

Le materie fecali sono evidentemente sostanze - in rapporto di genus a species con la pollina - il cui ulteriore utilizzo (per concimi od altro) può essere nocivo per la salute umana, e come tali restano disciplinate dalle previsioni cautelative di cui al regolamento n. 1774/2002 (“norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano”, oggi sostituito dal reg. CE n. 1069/2009), salvo che esse siano destinate all’incenerimento o allo smaltimento, nel qual caso è evidente che non ponendosi un problema di riutilizzo, debba trovare applicazione l’ordinaria disciplina sui rifiuti.

Il comma 1 dell’art. 185 aggiunge tuttavia un’altra previsione, che lungi dal contrastare con l’art. 18 della legge 96/2010, lo presuppone, implicitamente coordinandosi con esso, prescrivendo che a) se la materia fecale è la pollina, b) non è destinata ad un riutilizzo ed è invece utilizzata come biomassa combustibile ai sensi proprio dell’art. 18 cit., allora essa è esclusa dal campo di disciplina dei rifiuti.

6.6. In conclusione, la pollina deve ritenersi, quanto meno allo stato della normativa vigente al momento dell’autorizzazione contestata, biomassa combustibile utilizzabile ai fini della produzione di energia elettrica, ai sensi della parte V del Codice dell’ambiente, sempre che sussistano i presupposti e le condizioni per classificarla quale sottoprodotto avuto riguardo all’utilizzo fattone dal produttore, secondo le valutazioni fatte caso per caso dall’ente compente.

7. Tanto chiarito, può ora passarsi all’esame delle condizioni che hanno indotto la Regione a ritenere che, nel caso di specie, la pollina derivante dall’allevamento condotto dall’azienda agricola “Fattorie Menesello” potesse considerarsi biomassa, in guisa da giustificare la procedura semplificata di cui al d.lgs 183/2003.

7.1. I ricorrenti ritengono che, a ben vedere: 1) non si tratti di pollina ma solo di deiezioni animali, in quanto provenienti da allevamento intensivo senza utilizzo di lettiere vegetali; 1.1.) essa non sia peraltro “pura”, in quanto miscelata con cippato di legna; 2) la pollina subirebbe altresì, nel caso di specie, un trattamento di essicazione non compatibile con le previsioni di cui all’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171, o comunque con quelle di cui all’art. 184 bis lett. c) del Codice.

7.2. Anche queste censure meritano di essere disattese.

7.3. Quanto al primo punto, l’ampia definizione, che comprende la lettiera in truciolo di legno adagiata sul suolo dell'allevamento impregnata delle deiezioni polline, non pare essere sufficiente ad escludere la mera “deiezione pollina”, ove l’obiettivo sia quello della combustione.

7.4. La circostanza, poi, che insieme alla pollina il produttore dichiari di utilizzare il cippato di legno non è influente ai fini per cui è causa: il cippato di legna è sicuramente una biomassa combustibile prevista dalla sezione 4 parte II dell’allegato X cit., che, nel caso di specie, si aggiunge, miscelandosi, alla pollina, senza che ciò possa indurre ad uno stravolgimento della materia e della relativa disciplina.

7.5. Quanto, infine, al trattamento di pre-essicazione mediante ventilazione forzata, esso può ragionevolmente considerarsi un trattamento - che non muta o trasforma le caratteristiche del prodotto, salvo che in relazione alla percentuale d’umidità - sicuramente non qualificabile come eccedente la “normale pratica industriale” (l’essicazione è del resto espressamente richiamata ed ammessa, dall’art. 2 bis del DL 3 novembre 2008, n.171 con riferimento alle vinacce, con ratio che non può non estendersi anche alla pollina).

8. Non ci si può esimere da un’ultima osservazione di carattere generale che attiene all’impostazione di fondo del Codice ambiente.

8.1. Ai sensi dell’art. 179 di quel Codice, la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto di una gerarchia di azioni che al suo apice trova la “prevenzione”, espressamente considerata la migliore opzione ambientale, proprio perché, intervenendo prima che una sostanza diventi rifiuto, evita in radice il l’esigenza di disfarsi della stessa ed il conseguente sorgere della problematica ambientale.

Con ciò può rispondersi alla contestazione di fondo che il ricorrente rivolge al progetto della “Fattorie Menesello” tesa ad evidenziare come l’obiettivo ultimo per quest’ultima sia comunque disfarsi della pollina, non più utilizzabile nei campi in forza della cd direttiva Nitrati.

L’utilizzo come biomassa dimostra piuttosto il contrario: il detentore della sostanza, grazie alle potenzialità energetiche alla sua combustione, non ha più l’esigenza di “disfarsi” della pollina a mezzo dell’incenerimento, ma può sfruttarla economicamente senza danni per l’ambiente (è appena il caso di osservare come la combustione del sottoprodotto a fini energetici, sia cosa ben diversa dall’incenerimento di un rifiuto).

8.2. In conclusione, nel caso di specie non v’è elemento alcuno che possa profilare un esercizio manifestamente improprio o erroneo del potere autorizzatorio.

9. Acclarato che l’oggetto della richiesta fosse la costruzione di un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse, correttamente l’amministrazione regionale ha seguito, nella procedura autorizzativa, l’iter semplificato dettato dal d.lgs 183/2003, con cautelativa adozione, tra l’altro, dei valori limite previsti dal d.lgs 133/2005 per l’incenerimento di rifiuti (più rigorosi rispetto a quelli fissati per i biocombustibili dalla parte V del Codice ambiente).

9.1. Non meritevoli di approfondimento sono le osservazioni che interessano, infine, le prescrizioni da osservare nella conduzione dell’impianto, le quali pur riconosciute conformi alla media giornaliera individuata dalla fonte normativa citata, secondo i ricorrenti violerebbero la media infragiornaliera (media di 30 minuti) e nulla disporrebbero in ordine alla misurazione dell’acido fluoridrico. Trattasi, come detto, di prescrizioni che già innalzano i parametri di verifica, rispetto agli impianti di combustione, anche in assenza di un obbligo di legge, in virtù di un principio di precauzione che tuttavia non può giungere a giustificare il sindacato tecnico della scansione infragiornaliera dei controlli o di altre circostanze tecniche specifiche in assenza di concreti indizi di pericolosità per l’aria e per la salute umana.

10. In conclusione, gli appelli principali sono accolti, con conseguente annullamento delle sentenze gravate; sia gli appelli incidentali che i ricorsi originari sono invece respinti.

11. La complessità del quadro normativo e l’assenza di precedenti giurisprudenziali, giustificano la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riunite preliminarmente le cause e

definitivamente pronunciando sugli appelli principali, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla le sentenze gravate.

Decidendo definitivamente sugli appelli incidentali, li respinge, così come respinge i ricorsi di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)