Il tributo per discarica degli scarti dei TMB

di Mauro SANNA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Premessa

La Legge 28 dicembre 1995, n. 549, al fine di disincentivare lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in discarica, ha definito il tributo dovuto alle Regioni per chilogrammo di rifiuto solido urbano conferito in discarica, in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582, mentre per incentivarne il recupero ha stabilito che per gli scarti ed i sovvalli degli impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio, il tributo sia dovuto solo nella misura del 20 per cento dell’ammontare suddetto.

Al fine di quantificare l’ammontare dovuto, in definitiva, risulta fondamentale stabilire cosa si debba intendere per scarti e sovvalli e definirne la quantità prodotta nel trattamento dei rifiuti solidi urbani originari.

Riferimenti normativi

La Legge 28 dicembre 1995, n. 549 entrata in vigore il 1-1-1996, contenente le “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, con l’art. 3 ha istituito il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia.

I commi da 24 a 41 dell’art 3 quantificano e disciplinano le modalità di pagamento del tributo e le relative sanzioni per il suo mancato pagamento.

Il tributo è dovuto alle Regioni; una quota del 10 per cento, affluisce in un apposito fondo della Regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse.

L’ammontare dell’imposta è fissato, con legge della Regione, entro il 31 luglio di ogni anno per l’anno successivo e, specificatamente per chilogrammo di rifiuti conferiti: in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del decreto 13 marzo 2003.

La Guardia di finanza coopera con i funzionari provinciali per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle connesse violazioni, procedendo di propria iniziativa o su richiesta delle Regioni o Province nei modi e con le facoltà di cui all’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.

A norma del comma 40 dell’art 3 della legge n. 549/1995: P er i rifiuti smaltiti tal quali in impianti di incenerimento senza recupero di energia, per gli scarti ed i sovvalli di impianti di selezione automatica, riciclaggio e compostaggio, nonché’ per i fanghi anche palabili si applicano le disposizioni dei commi da 24 a 41 del presente articolo. Il tributo è dovuto nella misura del 20 per cento dell’ammontare determinato ai sensi dei commi 29 e 38.

La gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia

Un panorama attuale delle modalità di gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia è fornito dal Rapporto Rifiuti Urbani pubblicato dall’ISPRA nel 2021 del quale si riprendono i dati di seguito elencati utili in questa sede.

Nel 2020, il quantitativo di RSU avviato agli impianti italiani di trattamento meccanico biologico aerobico (TMB) è stato pari a 9,5 milioni di tonnellate.

Di questi rifiuti, quasi 7,6 milioni di tonnellate (79,7 %) erano costituiti da rifiuti urbani indifferenziati e circa 1,5 milioni di tonnellate (15,5%) da rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani.

Nel medesimo anno, gli impianti TMB operativi censiti in Italia sono risultati 132, di cui, in 30 impianti si effettuava solo il trattamento meccanico (TM) dei rifiuti indifferenziati o comunque non era effettuato il processo di biostabilizzazione della frazione organica.

La loro distribuzione sul territorio nazionale per aree geografiche era la seguente: nel Nord erano presenti 43 impianti (14 TM), nel Centro 38 (11 TM) e nel Sud 51 (5 TM).

Secondo ISPRA, in vari casi, il codice EER 191212 è stato utilizzato dai gestori degli impianti per identificare sia la frazione secca che gli scarti di trattamento e talvolta anche per indicare la frazione umida.

Dei rifiuti prodotti dai TMB, sono stati conferiti all’estero 337 mila tonnellate in particolare, dalla Campania (oltre 218 mila tonnellate), dal Lazio (oltre 36 mila tonnellate), dal Friuli-Venezia Giulia (oltre 30 mila tonnellate), dal Veneto (quasi 21 mila tonnellate) e dall’Emilia-Romagna (oltre 17 mila tonnellate). Conferiscono all’estero anche la Lombardia (7 mila tonnellate) e la Toscana (quasi 7 mila tonnellate)

Per quanto riguarda i rifiuti organici selezionati gestiti nel 2020, essi erano costituiti per un quantitativo di 4,7 milioni di tonnellate, da “rifiuti biodegradabili di cucine e mense” e i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi erano 1,8 milioni di tonnellate mentre circa 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti organici era gestito in impianti di compostaggio.

La quantità di rifiuti compostata nel 2020 per macro area geografica era:

– nel Nord 2.009.346 tonnellate (177 impianti), nel Centro 607.840 tonnellate (43 impianti) e nel Sud 1.345.748 tonnellate (73 impianti) ed in totale sul territorio nazionale, 3.962.934 tonnellate (293 impianti), comprendendo nel numero di impianti le linee di impianti di trattamento meccanico biologico aerobico dedicate al trattamento delle frazioni organiche provenienti dalla raccolta differenziata, per la produzione di compost.

I rifiuti prodotti dagli impianti di compostaggio, nell’anno 2020, sono risultati circa 613 mila tonnellate costituiti, per circa 241 mila tonnellate, da rifiuti misti prodotti dal trattamento meccanico (selezione, triturazione, vagliatura, ecc.).

La quantità di rifiuti in ingresso agli impianti TMB nel 2020 è stata pari a 9.519.934 tonnellate di cui 7.589.850 t erano costituiti da rifiuti urbani indifferenziati e 1.930.084 t da altri tipi di rifiuti.

I rifiuti trattati nel 2020 mediante trattamento meccanico biologico nelle diverse aree geografiche sono stati rispettivamente: nel Nord 2.137.871 t, nel Centro 2.733.840 t e nel Sud 4.648.223 t.

A fronte dei rifiuti trattati, i rifiuti prodotti in uscita dagli impianti di trattamento meccanico biologico e trattamento meccanico, nell’anno 2020, sono stati complessivamente pari a 8,4 milioni di tonnellate di cui 3.718.899 tonnellate sono stati conferiti in discarica (44,2% del totale dei rifiuti prodotti). Di questi rifiuti inviati in discarica, quasi 2,3 milioni di tonnellate erano costituiti dalla Frazione secca, per circa 817mila tonnellate dalla Frazione organica non compostata, per circa 543 mila tonnellate da Biostabilizzato e per circa 52 mila tonnellate da Frazione umida selezionata.

A questi si devono aggiungere 337 mila tonnellate di rifiuti prodotti dai TMB e conferiti all’estero.

Agli impianti di incenerimento con recupero di energia sono stati avviati circa 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti (26,7% del totale prodotto), costituiti, principalmente, da frazione secca (circa 1,1 milioni di tonnellate), da CSS (quasi 865 mila tonnellate) e da frazione organica non compostata (quasi 136 mila tonnellate).

Queste sono le quantità di rifiuti In uscita dagli impianti di trattamento nel 2020 da cui si dovevano ricavare le quantità di scarti e sovvalli realmente prodotte effettivamente soggette al tributo ridotto in misura del 20 per cento dell’ammontare previsto per gli RSU ai sensi del comma 40 della legge n. 549/1995.

Le sentenze della Corte di giustizia europea

Per calcolare la riduzione del tributo da applicare, se i dati sopra riportati definiscono le quantità di rifiuti smaltite in discarica nel 2020, unico possibile riferimento, per la corretta qualificazione delle caratteristiche dei materiali residui delle attività di trattamento dei rifiuti solidi urbani svolte negli impianti italiani, è il giudizio di sintesi, dato in due riprese dalla Corte di giustizia europea.

La Corte si è infatti espressa sia per quanto riguarda i sovvalli degli impianti di trattamento meccanico che gli scarti degli impianti di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti urbani, rispettivamente, con la Sentenza del 15/10/2014 n. C-323/13 della Sez. V della Corte di giustizia europea e con la sentenza del 11 novembre 2021, n C‑315/20 della Sez. VIII.

Con la prima sentenza ha condannato l’Italia per non aver sottoposta ad un trattamento di stabilizzazione la frazione organica degli RSU, mentre con la seconda ha stabilito che i rifiuti , a seguito di un trattamento meccanico che, sostanzialmente non altera le loro proprietà originarie, anche se classificati con CER 19 12 12, devono essere considerati rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica.

D’altra parte è bene sottolineare come questo ultimo trattamento, nel quale si può configurare quello svolto dai TMB, è previsto dalla normativa comunitaria esclusivamente per il recupero energetico dei rifiuti combustibili, e per questo scopo, come si rileva dal BRef di settore, è adottato negli altri Paesi della Comunità.

Quindi la normativa comunitaria come già evidenziato in altri scritti, non ha previsto la possibilità che l’attività del TMB sia finalizzata alla semplice separazione degli RSU in due frazioni: umida e secca bensì ha stabilito che essa sia finalizzata alla produzione di materiale combustibile dal secco e fertilizzante o comunque stabilizzato dall’umido.

Così la sentenza della Corte di giustizia del 11 novembre 2021 stabilendo che il trattamento meccanico svolto nei TMB non è idoneo a modificare le proprietà originarie di tali rifiuti, che perciò continuano a rientrare tra i rifiuti urbani non differenziati, stabilisce anche che il frazionamento svolto nei TMB non può essere considerato come un trattamento idoneo e sufficiente a permettere lo smaltimento degli RSU in discarica e tale da soddisfare quanto previsto dall’art 7 del D.Lgs. 36/03 riducendone il volume e le caratteristiche di pericolo.

Le due sentenze della Corte di giustizia nel loro insieme hanno perciò evidenziato che, mentre per la frazione umida il trattamento dei rifiuti solidi urbani si esaurisce solo con il trattamento biologico, per la frazione secca esso si realizza quando questa assume caratteristiche sue proprie ben distinte dai rifiuti solidi urbani originari trattati e, in forza delle conclusioni delle BAT, può essere destinato alla termovalorizzazione. Pertanto se con i trattamenti non si raggiungono questi due obbiettivi, il rifiuto che residua da essi non può essere qualificato come scarto.

Conclusioni

Risulta evidente pertanto l’assenza di coordinamento tra la normativa tributaria e quella ambientale che determina che l’attuale applicazione delle disposizioni relative al tributo per lo smaltimento in discarica rappresenti in molte regioni di fatto non solo uno strumento inadeguato per disincentivare l’invio dei rifiuti in discarica piuttosto che al recupero ed al riciclaggio ma costituisca altresì una palese violazione del principio comunitario “chi inquina paga”.

Infatti in alcune leggi regionali la disposizione premiale della riduzione al 20 del tributo speciale, quando non risulti solo ripetitiva della norma statale, si limita a considerare la presenza degli scarti solo in quanto derivanti da un trattamento, indipendentemente dalla efficacia del medesimo.

Infatti, secondo la sentenza del Consiglio di Stato Sez. V n.276 del 13 gennaio 2020 “ L’art. 3, comma 40, della legge n. 549 del 1995 va infatti, allo stato, interpretato nel senso che per il riconoscimento della riduzione al 20 del tributo speciale da applicare sulla porzione di rifiuto, anche proveniente da raccolta indifferenziata, smaltito in discarica, è necessario e sufficiente che sia conferito presso impianti di selezione automatica i quali effettuino trattamenti preordinati allo smaltimento, ma che consentano, come conseguenza secondaria, il recupero di sostanze o di energia, riducendo la frazione destinata alla discarica…..(omissis ) rileva che si tratti di processi di selezione automatica che soddisfino i requisiti per rispettare il vincolo del conferimento in discarica dei rifiuti in ottemperanza all’obbligo posto dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2003, nel rispetto dei parametri stabiliti dal D.M. 27 settembre 2010, come modificato dal D.M. 24 giugno 2015, consentendo il recupero di sostanze o di energia, senza che sia necessario che ne assicurino elevate percentuali.

Nella stessa direzione la medesima sentenza interpreta in senso restrittivo anche la risoluzione del Ministero delle Finanze – Dipartimento delle Entrate – Direzione Centrale per la Fiscalità Locale, n° 111/E/ II/3/ 1779 del 9 maggio 1997 che stabilisce che i processi di trattamento dei rifiuti da cui originano scarti e sovvalli ammessi a pagamento in misura ridotta, devono essere condotti in impianti a tecnologia complessa, escludendo, in tal modo, l’applicazione dell’aliquota ridotta al conferimento in discarica dei materiali di risulta derivanti esclusivamente dall’attività di cernita manuale e di semplice riduzione volumetrica dei rifiuti (pag.8):

Secondo la medesima sentenza “ Esclusa quindi la “cernita manuale” e la “semplice riduzione volumetrica dei rifiuti”, per impianti di selezione automatica non possono che intendersi letteralmente quegli impianti che, attuando processi automatici selettivi dei rifiuti, separano meccanicamente la frazione recuperabile da quella irrecuperabile, riducendo così quest’ultima, che va conferita in discarica, considerando così scarto tutto ciò che deriva da un trattamento indipendentemente dalla quantità di rifiuto effettivamente recuperata e quindi sottratta allo smaltimento in discarica, comprendendo perciò a pieno titolo tra gli scarti da assoggettare alla riduzione del 20% del tributo per discarica, non solo i residui degli impianti di trattamento TMB ma anche quelli di TM.

Il trattamento diviene una mera operazione formale, sia sotto l’aspetto strutturale che funzionale, in quanto, il trattamento selettivo come tale riduce i rifiuti destinati alla discarica ed è perciò sufficiente che solo una parte dei rifiuti, indipendentemente dalla loro quantità e qualità, sia conferita in discarica e non è quindi necessario che il trattamento produca, sia pure come conseguenza secondaria, il recupero di sostanze o di energia né che quella conferita in discarica, per essere considerata “scarto”, costituisca una frazione residua non altrimenti o non assolutamente recuperabile.

Diversamente, altre legislazioni regionali riconoscono il beneficio della riduzione del tributo del 20% soltanto per determinate tipologie di impianti ovvero per particolari operazioni di recupero definendo non solo i requisiti degli impianti ma anche le percentuali minime di recupero che in tali impianti devono essere ottenute perché la frazione residua di rifiuto non recuperata inviata in discarica possa essere definita effettivamente scarto o sovvallo e possa godere del pagamento del tributo speciale in misura ridotta.

Esemplificativo di tali tipi di regolamentazioni è la D.g.r. 25 ottobre 2012 – n. IX/4274 della Regione Lombardia, “Determinazioni in merito al tributo in misura ridotta per il deposito in discarica di scarti, sovvalli e fanghi (art. 53 l.r. n. 10 del 14 luglio 2003) “che al fine di definire gli scarti ed i sovvalli da assoggettare alla disciplina premiale della riduzione del 20% del tributo dovuto per discarica prevede che:

• il recupero debba essere certo ed effettivo e non soltanto teoricamente realizzabile in base alle caratteristiche del rifiuto o del materiale;

• gli impianti siano ammessi al pagamento del tributo in misura ridotta sulla base dell’efficienza di recupero raggiunta nell’anno solare precedente a quello in cui viene effettuata la richiesta;

• il pagamento del tributo in misura ridotta decorra a partire dall’anno in cui viene effettuata la richiesta e l’impianto viene inserito nell’elenco dei soggetti agevolati;

La medesima D.g.r. ha stabilito le tipologie impiantistiche e le percentuali minime di scarto ai fini dell’applicazione del tributo in misura ridotta come riportate di seguito in stralcio (Allegato 1 alla D.g.r.).

TIPOLOGIE IMPIANTISTICHE E PERCENTUALI MINIME DI RECUPERO AI FINI DELL’APPLICAZIONE DEL TRIBUTO IN MISURA RIDOTTA

CATEGORIA 1 Impianti con linee di selezione meccanica e/o recupero di materia dedicati ad una sola frazione omogenea di rifiuto costituito prevalentemente da:

carta e cartone 85

vetro 85

rottami metallici e loro leghe 70

materie plastiche 50

legno e sughero 80

cuoio e tessili 70

gomma 70

ingombranti 55

inerti da demolizione e costruzione 70

terre di spazzamento 60

frazioni di rifiuti urbani da raccolta multimateriale 70

CATEGORIA 2 Impianti di selezione meccanica con linee di selezione

che trattano diverse frazioni 80

CATEGORIA 3 Impianti dedicati alla produzione di CDR/CSS 50

CATEGORIA 6 Impianti di recupero che trattano rifiuti speciali provenienti dai

settori minerario, estrattivo, lapideo e metallurgico. 50

In relazione alla emanazione ed applicazione della determina della Regione Lombardia, a chiarimento dello stato di applicazione disomogeneo delle norme in Italia, è utile evidenziare che nella determina della Regione Lombardia si fa riferimento alla Risoluzione del Ministero delle Finanze – Dipartimento delle Entrate – Direzione centrale per la Fiscalità Locale, n. 111/E/II/3/1779 del 9 maggio 1997, in cui si specificava che i processi di trattamento dei rifiuti, da cui originano scarti e sovvalli ammessi a pagamento del tributo in misura ridotta, devono essere condotti in impianti a tecnologia complessa, escludendo, quindi, l’applicazione dell’aliquota ridotta al conferimento in discarica dei materiali di risulta derivanti esclusivamente dall’attività di cernita manuale e di semplice riduzione volumetrica dei rifiuti. Dando però di essa un’interpretazione del tutto opposta a quella del Consiglio di Stato sopra illustrata.

Da tale lettura della risoluzione da parte della Regione Lombardia deriva che vengono stabilite le condizioni per poter usufruire del pagamento del tributo in misura ridotta, pari al 20% dell’aliquota intera, individuando le relative categorie impiantistiche nonché le percentuali minime di recupero degli impianti suddetti.

In conclusione quindi non vi è alcun dubbio che anche se alcuni impianti di TMB ed a maggior ragione di TM hanno una scarsa efficacia nel recupero e quindi nel sottrarre con il loro impiego una parte dei rifiuti solidi urbani allo smaltimento in discarica e non perseguono così l’obiettivo previsto dalla Legge 28 dicembre 1995, n. 549, tuttavia i residui del loro impiego sono comunque qualificati come scarti e sovvalli ed assoggettati ad una riduzione del tributo dovuto.

Conseguentemente è certo che a tutt’oggi, nell’applicazione del tributo previsto per lo smaltimento in discarica esiste un notevole divario, a seconda della regione in cui si colloca l’impianto di trattamento, del tipo di impianto e della operazione di recupero svolta.

Unico dubbio riguarda come sia possibile che dopo ben ventisette anni permanga ancora una tale situazione nella quale, non solo l’applicazione della normativa tributaria non favorisce la tutela ambientale, riducendo l’impiego delle discariche ma addirittura la contrasti continuando a premiare il mancato recupero di materia e di energia dai rifiuti con l’impiego di pratiche di trattamento del tutto discutibili.