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Sez. 3, Sentenza n. 2768 del 21/12/2005 Ud. (dep. 24/01/2006 ) Rv. 233303
Presidente: Postiglione A. Estensore: Sarno G. Relatore: Sarno G. Imputato: Nardini. P.M. Siniscalchi A. (Diff.)
(Dichiara inammissibile, App. Firenze, 15 Aprile 2002)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Pertinenza - Subordinazione alle esigenze dell'edificio principale - Necessità - Autonomo valore di mercato - Possibilità - Esclusione.

In materia urbanistico-edilizia la nozione di pertinenza, sottratta al regime del permesso di costruire ed assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, deve essere preordinata ad una esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva, e non deve possedere un autonomo valore di mercato, non consentendo così una sua destinazione autonoma e diversa da quello a servizio dell'immobile cui accede.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 21/12/2005
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 2429
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 29134/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) NARDINI TIZIANO, N. IL 01/03/1955;
avverso SENTENZA del 15/04/2002 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. SARNO GIULIO;
udito il P.M. in persona del Dott. SINISCALCHI Antonio che ha concluso: annullamento senza rinvio per prescrizione. OSSERVA
Nardini Tiziano, imputato a) del reato p. e p. dalla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), per avere realizzato senza la prescritta concessione edilizia in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ai sensi della L. n. 431 del 1985, le seguenti opere: 1) porticato (tettoia) costituito da pilastri in mattoni faccia-vista e orditura con travi in legno, coperto con materiale plastico leggero e sovrastante cannucciato, delle dimensioni di m. 9 x 4,77, e 2) manufatto costituito da pilastri in mattoni faccia-vista, con pavimentazione in calcestruzzo, adibito a garage,delle dimensioni di m. 8, 25 x 8,60; b) del reato p. e p. dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163, per avere realizzato le - opere sopradescritte in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della L. n. 431 del 1985 senza la prescritta autorizzazione. - reati commessi nel mese di aprile 2000 -, propone ricorso per cassazione avverso la della Corte di Appello di Firenze, che in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lucca, Sezione distaccata di Viareggio, in data 11/10/2001, lo assolveva dal reato sub b) perché il fatto non sussiste e, quanto al capo a), ritenuta l'ipotesi di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b) lo condannava alla pena di giorni sei di arresto e di Euro 5.000,00 di ammenda, eliminando l'ordine di rimessione in pristino. 11 ricorrente eccepisce:
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione in punto di avvenuta abrogazione della normativa previgente a seguito dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2002;
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità della sentenza, omessa dichiarazione della nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza in relazione agli artt. 516, 520, 521, 522 c.p.p. riguardo al tempus commissi delicti; violazione della legge penale in relazione all'art. 597 c.p.p. per non avere il Giudice d'Appello qualificato correttamente il fatto anche quanto al tempus commissi delicti. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale - omessa ed erronea valutazione delle circostanze di fatto e delle prove assunte - carenza assoluta di motivazione in punto di sottoponibilità delle opere al regime concessorio. violazione di legge in relazione alla L.R. Toscana n. 52 del 1999, art. 3. Con memoria aggiunta il ricorrente ha eccepito l'intervenuta prescrizione del reato. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Per quanto concerne il primo motivo di ricorso è oramai consolidato l'orientamento di questa Corte nell'affermare che con l'entrata in vigore del D.L. 23 novembre 2001, n. 41, art. 5 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 31 dicembre 2001, n. 463, che ha prorogato il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che aveva avuto un primo periodo di vigenza dal 1 al 9 gennaio 2002, non si è verificato alcun vuoto normativo, in quanto detta proroga ha determinato anche la sospensione dell'efficacia del citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 136, contenente l'abrogazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, con la conseguenza che tale ultima disposizione è rimasta in vigore, medio tempore, con conseguente punibilità dei fatti commessi sotto la sua vigenza, (ex plurimis N. 12577 del 2005 Rv. 231316; N. 1572 del 2002 Rv. 223290, N. 38182 del 2002 Rv. 222641, N. 9534 del 2003 Rv. 224176). Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso la doglianza del ricorrente si sostanzia nel rilievo che, nonostante nel corso del dibattimento di primo grado l'epoca di ultimazione delle opere realizzate fosse risultata essere quella dell'aprile 1998 per il porticato e novembre 1998 per il garage e non, quindi, aprile 2000, come originariamente contestato, il Giudice non aveva provveduto a rimettere gli atti al P.M. per la mancanza di correlazione tra accusa ed accertamento effettuato in dibattimento o, comunque, a modificare l'imputazione.
Sul punto la corte di merito ha motivato sostenendo che la differenza della data di commissione del fatto non costituiva causa di nullità a norma dell'art. 522 c.p.p. perché l'errata contestazione della data non era tale nel caso di specie, da ridurre il diritto di difesa dell'imputato, che in effetti si era pienamente difeso anche sul punto, mediante l'indicazione di propri testi, che erano stati esaminati.
E la motivazione del Giudice di Appello appare senz'altro condivisibile in relazione ai principi più volte espressi da questa Corte e dai quali in questa sede non vi è ragione di discostarsi. Ed, invero, si è già affermato che l'immutazione del fatto di rilievo, ai fini della eventuale applicabilità della norma dell'art. 521 cod. proc. pen., è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l'elemento psicologico del reato, e, per conseguenza di essa, l'azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discolparsene (Sez. 1, Sentenza n. 6302 del 14/04/1999 Rv. 213459); che l'imputato non può essere giudicato e condannato per fatti relativamente ai quali non sia stato in condizioni di difendersi, fermo restando che la contestazione del fatto non deve essere ricercata soltanto nel capo di imputazione ma deve essere vista con riferimento ad ogni altra integrazione dell'addebito che venga fatta nel corso del giudizio e sulla quale l'imputato sia stato posto in grado di opporre le proprie deduzioni. (Sez. 6, Sentenza n. 21094 del 25/02/2004 Rv. 229021) ed, infine, che le previsioni di cui agli articoli 521 e 522 cod. proc. pen., hanno lo scopo di garantire il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, l'esercizio effettivo del diritto di difesa dell'imputato, con la conseguenza che non è possibile ipotizzarne una violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell'addebito specificamente formulato nell'imputazione e dalle possibilità di difesa che all'imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale (Sez. 5, Sentenza n. 46203 del 09/11/2004 Rv. 231169).
In ordine al terzo motivo di ricorso, premesso che la L.R. Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, alla lettera f), art. 3, menziona espressamente le addizioni volumetriche agli edifici esistenti non assimilate alla ristrutturazione edilizia, va ricordato che, come più volte affermato da questa Corte, in materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia e assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, ha peculiarità proprie e distinte dalla nozione civilistica, giacché deve avere una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale ed essere preordinata ad un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva, mentre non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Pertanto è priva di un oggettivo nesso di
"strumentalità funzionale" la costruzione di una parte di edificio in ampliamento e adiacente a quello principale, benché destinato ad autorimessa, in quanto è evidente che tale vano può mutare la sua destinazione o comunque è utilizzabile economicamente in altro modo (Sez. 3, Sentenza n. 5465 del 09/12/2004 Rv. 230846). Peraltro in materia edilizia, la natura pertinenziale deve essere desunta da inequivoci dati obiettivi, i quali devono al tempo stesso escludere che l'opera possa essere altrimenti utilizzata, se non per il servizio e o l'ornamento dell'edificio principale. Il che non è possibile ritenere per un vano realizzato in area discosta dall'edificio principale, finalizzato al servizio come garage solo in base alle intenzioni e alle dichiarazioni dell'interessato (Sez. 3, Sentenza n. 5652 del 15/03/1994 Rv. 199124). Ed anche per quanto concerne il porticato si è già escluso sulla base dei principi citati che possa rientrare nel novero delle pertinenze, poiché questo è opera accessoria, mancando di autonomia ed individualità (Sez. 3, Sentenza n. 4056 del 07/05/1997 Rv. 207609). L'inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., e, quindi, anche della prescrizione eventualmente maturata (Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Rv. 228349).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2006