Selezione (Trattamento meccanico) e gestione rifiuti. Andiamo alla sostanza!

di Alberto PIEROBON

 

Si leggono ancora interventi - anche recenti - sulla tematica dei rifiuti derivanti dalla selezione (trattamento meccanico) dei rifiuti urbani, trattasi di una questione che assilla ancora molti operatori (e funzionari pubblici). Sostanzialmente la domanda che ci si pone è se questi rifiuti siano qualificabili come rifiuti urbani oppure come rifiuti speciali.

Il tutto viene spesso ricondotto alla tematica della classificazione1. Il ragionamento, di cui alle predette ricostruzioni, trae le mosse dall’inquadrare la selezione meccanica entro (a seconda) il recupero o lo smaltimento, fin qui (come dire “all’ingrosso”)2 potremmo, forse, convenire (almeno finchè si tratta di appiccicare le definizioni del codice ambientale alle varie operazioni, rimanendo alla superficie).

La lett. “n” del comma 3, dell’art.184 del codice ambientale è stata abrogata ad opera del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n.4. La disposizione includeva nello elenco dei rifiuti speciali <i rifiuti derivanti da attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani>.

L’avvenuta, suindicata, <cancellazione> non può automaticamente significare, come afferma in modo invero perplesso taluno, l’inserimento di questi rifiuti nella classe dei rifiuti urbani. Infatti, in prima battuta, si nota come l’elencazione dei rifiuti speciali, per così dire si “contrappone” a quella dei rifiuti urbani, venendo così volutamente classificare i predetti rifiuti a seconda della loro collocazione o, al contrario, per il fatto di averli tolti senza però ricondurli ad una norma p.c.d. “residuale”.

Inoltre, è vero (anche qui in prima battuta) che la categoria dei rifiuti urbani segue, per la classificazione, il criterio della provenienza (meglio dell’origine) dei rifiuti, ma la classificazione rifiuti urbani/speciali ha ben altri riflessi e conseguenze, soprattutto in tema di disciplina gestionale (in particolare del dentro/fuori privativa).

Va subito evidenziato che i “rifiuti urbani” non sono “automaticamente” solo quelli provenienti dalle cosiddette “utenze domestiche” o dai nuclei familiari, essendo tali anche i rifiuti provenienti dai luoghi o dalle attività cosiccome indicate dall’art.184, comma 2.

Dal novero dei rifiuti speciali sono stati, invece, soppressi – come dianzi notato - in sede di “correzione” operata dal D.Lgs. 4/2008 <i rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani>.

Trattasi, solitamente, di sovvalli provenienti dall’attività di vagliatura in impianti di selezione (esempio impianti di compostaggio, impianti di selezione) i quali proprio perché considerati dei rifiuti speciali, consentivano di fuoriuscire dalla privativa (e dall’impiantistica obbligatoriamente prevista in A.T.O. per lo smaltimento), il tutto con forme meno vincolate e più agevoli per il gestore.

Come segnaliamo (invero da anni)3, siffatta classificazione maschera una ben altra distinzione (e classificazione) operata su una diversa esigenza che è principalmente preordinata alla gestione del rifiuto, per cui la classificazione per origine (o provenienza) dei rifiuti4 è in realtà una classificazione tra la gestione pubblica e la gestione non pubblica dei rifiuti, più esattamente per la titolarità (o meno) della gestione (posto che anche servizi riguardanti i rifiuti speciali potrebbero essere svolti dal soggetto pubblico jure privatorum5).

La classificazione rifiuto urbano/speciale non corrisponde a dei concetti specifici, piuttosto avviene con criterio di similarità, essendo le proprietà considerate dei rifiuti non valevoli solo per la classe di appartenza (e quindi escluse da altri classi), bensì plurime, tanto che si può così parlare più di <tipi> che di <classi>.

Inoltre, il criterio di distinzione (fundamentum divisionis), è frutto di una scelta giuridica che non evita difettosità classificatorie6, poiché, a nostro avviso, la distinzione sta nella gestione pubblica (e non) dei rifiuti, ovvero nella titolarità della gestione7.

In questo risiede l’utilità operativa (e non solo) della classificazione in parola. Anzi, sembra preferibile qui usarsi, come già avvenuto in dottrina, al posto del termine <classificazione> quello di tassonomia8.

Continuando ad usare i termini per come indicati dal legislatore (si ripete: non in senso logico-scientifico, bensì come scelta e convenzione) nella classificazione per origine l’interesse tipologico tra i rifiuti urbani e quelli speciali non è qui (come avviene, invece, per i rifiuti pericolosi/non pericolosi) per la materialità (l’ontologia) dei rifiuti9, proprio perché la volontà segue l’attrazione ( o meno, con diverse intensità) all’orbita gestionale pubblica, e ciò quantomeno:

 

  • per comprensibili (storiche) questioni di igiene pubblica: rifiuti abbandonati, rifiuti da spazzamento, certuni rifiuti sanitari, rifiuti cimiteriali;

  • per questioni connesse all’obbligatorietà del servizio rifiuti per le famiglie: rifiuti domestici (anche pericolosi);

  • per fronteggiare i rifiuti comunque collocabili nelle aree pubbliche: per esempio i rifiuti vegetali (da sfalci del verde pubblico, etc.);

  • per (possibili) opportunità gestionali, di ottimizzazione, di controllo, di proventi (rifiuti assimilati).

 

Ecco che la scelta di espungere i rifiuti da selezione meccanica dalla categoria dei rifiuti speciali assume una altra spiegazione rispetto ai “sillogismi” che si “fabbricano” basandosi solo sulla provenienza o sulle definizioni giuridiche avulse da argomentazioni di sistema.

 

Ricordiamo e consideriamo che:

 

  • il rifiuto urbano è assoggettato - sicuramente se destinato allo smaltimento (vedasi oltre) - al principio dell’autosufficienza bacinale (cfr. l’art.182, comma 5);

  • ove il rifiuto urbano derivi dalla raccolta differenziata (ovvero, ove si tratti di rifiuto non indifferenziato) e venga poi avviato al recupero, esso rifiuto (salvo le tematiche della prossimità: peraltro tutte da “scavare”) può circolare “fuori” dalla predetta (obbligatoria o espressamente derogatoria) “bacinalità” (e dei suoi obblighi ed incombenti amministrativi);

  • Il rifiuto speciale non soggiace, invece, ai vincoli di cui sopra ( o ne presenta di diversi).

 

La domanda che ci si pone è se i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di impianti pubblici dove vengono trattati i rifiuti urbani (e quelli assimilati agli urbani) possono uscire “classificati” come rifiuti urbani o speciali.

Va detto, proprio per fare capire gli “interessi” che sottostanno alle diverse “classificazioni”, come oltre dieci anni fa al gestore pubblico conveniva considerare i rifiuti prodotti dalla selezione meccanica di rifiuti urbani (per es. i sovvalli) quali rifiuti urbani, proprio perché il medesimo gestore poteva conferire questi ultimi (sovvalli) nella propria discarica (comunale e/o pubblica) di RSU, a costi inferiori rispetto alle tariffe alternative di altre discariche che accettavano il rifiuto speciale, oppure sfruttando situazioni logistiche ed altre ancora.

Ora, la propensione (il vantaggio) è quella di considerare i medesimi rifiuti (nell’esempio sovvallo da impianto di selezione) come se fossero rifiuti speciali. Si spiega presto il perché.

La questione (originata dalla recente sentenza TAR Lazio –Roma, Sez.1-ter, 31 maggio 2011, n.4915, di cui all’ incipiente sentenza del Consiglio di Stato, oltre che di vari, appositi, interventi normativi di sapore emergenziale10) va contestualizzata nell’ambito dell’emergenza rifiuti in Campania.

Questi rifiuti urbani, trattati (come mera riduzione volumetria e “incerottamento” degli stessi) dagli impianti di tritovagliatura (STIR: Stabilimenti di trattamento, tritovagliatura ed imballaggio rifiuti) della Campania, ove conferiti nelle discariche allora apprestate avrebbero intasato (come rifiuti urbani: anche perché che senso aveva avviare i rifiuti dalla produzione agli STIR e non direttamente alle discariche?11) il sistema impiantistico (diretto e indiretto) campano12.

Ecco che, allora, diventa più “conveniente” considerare questi rifiuti come se fossero “speciali”, proprio per consentire che essi rifiuti si sottraggano alla dianzi cennata “privativa” e alla bacinalizzazione (regionale o meno), potendo quindi essere avviati fuori dal predetto sistema “pubblico” campano (anche fuori regione: non a caso la vicenda nasce con riferimento ad un impianto pugliese).

Per cui, quanto da taluno affermato circa la vincolatività qualificatoria della scelta dei CER, o, ancora,della classificazione col criterio dell’origine, non assume (in questo senso) interesse.

 

Solo come primo riepilogo (riservandoci di affrontare funditus l’argomento):

 

  • Il CER, come sappiamo, è solo un presupposto-condizione per la classificazione del rifiuto, non attribuendo ad esso la natura;

  • Il CER della famiglia “19” (come il CER della famiglia “15”: vedasi la nota questione del multimateriale13) non comporta l’automatica attribuzione della qualificazione di rifiuto urbano o speciale…

  • Il CER non comporta altresì una pacifica riconducibilità alla generazione (vedasi, ancora, il CER famiglia “15” – rifiuti di imballaggio,etc. - e il CER famiglia “20” per gli imballaggi i quali, pur provenienti dagli stessi utenti, spesso anche dal medesimo soggetto raccoglitore non sono automaticamente “pubblici”….. ;

  • Il CER si “spinge” nel processo di trattamento (vedasi la differenza tra il CER 190501 per i rifiuti che subiscono un trattamento aerobico anche parziale, mentre, ove si realizza la condizione del compostaggio il CER è 190503), ma i CER 191212 (rifiuti compresi materiali misti, provenienti da attività di trattamento meccanico dei rifiuti diversa da quelli di cui al CER 191211) dovrebbero applicarsi alla frazione non sottoposta a nessun processo, per esempio in assenza di riduzione volumetrica dei rifiuti da smaltire, in assenza (per la forsu), dei processi di abbassamento della fermentescibilità e del contenimento di fenomeni odorigeni, produzione percolato e biogas, etc.14;

  • L’art.184, comma 1, del codice ambientale, com’è noto opera una classificazione con criterio delle origini: urbano o speciale (e pericolosità o meno);

  • L’art.184, comma 3, lett “n” prevedeva che <i rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani> fossero rifiuti speciali (nella visione manichea, o duale che sia, tra rifiuti speciali art.184, comma 3 e rifiuti urbani del comma 2 del medesimo articolo). Il D.Lgs. n.4/2008 ha poi modificato (abrogato) il predetto comma 3, lett. “n”, dell’art.184. La lettera “g” del medesimo comma 3, art.184, considera rifiuti speciali <i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento dei rifiuti>;

  • Prime domande: perché si è voluto sopprimere la predetta disposizione di cui alla lettera “n”, del comma 3, dell’art.184? Forse si intende che la “selezione” possa sussumersi entro le nuove definizioni di recupero/smaltimento? E quindi così (per via inversa) si sono riportati i rifiuti ivi rinvenienti alla previsione dell’art.184, comma 3 lett.”n”? Ma, come va intesa questa selezione?

  • il termine “selezione” non sembra essere distinto (almeno ora: vedasi la precedente versione dell’ art.183, comma 1 lett. “n” e “o”) dal <trattamento>, mentre questo ultimo (lett. “s” cit. comma 3, art.183) consta delle <operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento>. Ma il <trattamento> nel D.M. 5 febbraio 1998 (introdotto dal D.M. 5 aprile 2006, n.186) è riferito a talune operazioni. Tra altro, se usciamo dall’etichetta giuridica, anche dei non rifiuti (tipo gli scarti), questi materiali ben potrebbero essere oggetto di selezione meccanica per essere riutilizzati, ma (trattandosi di beni o di sottoprodotti) non si tratta di operazioni di smaltimento o di recupero (donde non solo la nota questione della distinzione con le operazioni del <trattamento preventivo> che non è recupero, ma pure la conferma della necessità del criterio del caso per caso, senza ricorrere ai calchi giuridici buoni a tutte le occasioni);

  • La classificazione tra RU e RS rileva, come notato (non tanto ai fini della origine, che rimane il criterio, quanto) ai fini gestionali15.

  • La classificazione dei rifiuti prodotti dalla selezione meccanica di rifiuti urbani come di rifiuti urbani, risponde, come visto, ad una scelta di “politica ambientale” per evitare una sorta di movimento “centrifugo” dei rifiuti urbani (con una sorta di deresponsabilizzazione del soggetto pubblico, creazione di vie di fuga dall’obbligatorietà del conferimento al sistema pubblico, etc.) anche di quelli con semplice selezione meccanica16;

  • Al contempo, andando alla sostanza, va ribadito come il rifiuto urbano che entra in un impianto di recupero e che esce senza venire effettivamente e prevalentemente recuperato, non è certo da considerarsi un rifiuto speciale: rimane un rifiuto urbano che va smaltito a cura ed onere del gestore pubblico che l’ha prodotto e gestito (o fatto gestire), pensando di allontanare il problema fuori dai confini comunali o bacinali. Tra altro, un siffatto impianto di recupero, non essendo considerabile tale, bensì di smaltimento (per fare un esempio,se entra un quantità di 100 di rifiuti urbani e viene recuperato solo un 40 di rifiuti, mentre il 60 viene avviato a smaltimento), peraltro questo rifiuto dovrebbe venire assoggettato (dalla Regione) all’ecotassa, come se si trattasse (come in effetti è) di un impianto di smaltimento. Ciò, ovviamente, al di là (rectius, in violazione) dell’autorizzazione che lo etichetta come impianto di recupero;

  • Ecco quindi che un criterio solutore - fuori delle classificazioni e/o del segno dei CER, che vanno lette assieme ad altro - è costituito dalle autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti agli impianti, dove nel concretamente (anche in contraddittorio tra le parti) si apprezzano e valutano tutti gli aspetti quivi rilevanti (trattamento per come effettivamente svolto come da progetto e da servizio esercitato, gestione dei flussi movimentati, attribuzione dei CER – al di là di quanto rappresentato – ma, più ancora, della qualificazione ai rifiuti derivanti,etc.), sciogliendo in modo pratico e completo le questioni di cui trattasi (salvo, ovviamente, ove ricorrano “patologie”). La procedura (autorizzativa) qui diventa la “vera” soluzione, senza cristallizzazioni nomenclatorie o contenutistiche;

  • Bene ha quindi fatto il Consiglio di Stato a …. togliersi d’impaccio sulla TAR Lazio –Roma, Sez.1-ter n.4915/2011, chiedendo, con ordinanza 28 dicembre 2011, n.6932, al Ministero dell’Ambiente che <ai fini del decidere, sia opportuno che l’organo istituzionale in materia, e cioè il Ministero dell’ambiente, acquisisca una relazione tecnico-scientifica in base alla quale possa valutarsi l’attuale situazione dei rifiuti derivanti da tritovagliatura alla luce del sistema complessivo della normativa comunitaria e nazionale, specificandosi in particolare se essi siano da considerasi rifiuti speciali ovvero rifiuti urbani>;

 

Insomma, ancora una volta, piaccia o non piaccia, ne esce confermata la validità del ricorso al criterio casistico, fuori dalle gabbie formalistiche (e definitorie), occorre, piuttosto analizzare le circostanze concrete delle situazioni di cui trattasi, senza invocare (e condurre) sillogismi giuridici (quali, per es., quello della fonte di provenienza) e/o appellarsi e/o creare astratte, alate, considerazioni, che a noi paiono essere lontane dall’esperienza “terrena”, non comprendendo la realtà dei fatti17.

 

1 Trattasi di classificazione, non di definizione (assente nelle precedenti versioni dell’art.183) anche se, per esempio, l’art.198, comma 2, lett.”g” sulle competenze comunali in tema di assimilazione conclude con <ferme restando le definizioni di cui all’art.184, comma 2, lett.c) e d)>.

2 ove si assuma adesivamente – e senza porsi problemi, diversamente a quanto accadeva fino a poco tempo fa - il “trattamento ricomprendente il recupero e lo smaltimento (cfr. art. 183, comma 3. lett.”s”: vedasi oltre), in realtà, anche oggi, come ben conoscono gli esperti del settore, sul “trattamento” ci sarebbe molto dire, per esempio (anche riferendosi agli scarti) si veda V.PAONE, I sottoprodotti e la normale pratica industriale: una questione spinosa (nota a Cass. n.16727/2011), Ambiente & Sviluppo, n.11/2011, pag. 909 e ss.

3 Ci si permette rinviare ai nostri capitoli nel volume (a cura di A.LUCARELLI-A.PIEROBON), Governo e gestione dei rifiuti. Idee, percorsi, proposte, Napoli, 2009, da ultimo si veda (a cura di A.PIEROBON), Nuovo Manuale di diritto e gestione ambientale, Rimini, 2012 e contributi ivi offerti.

4 Peraltro arbitraria considerando che si potrebbero stabilire molte più classi ove l’origine venga ad essere dettagliata maggiormente. Questa classificazione discende non certo da una operazione logica (applicabile a proposizioni descrittive), bensì di scelta giuridica (la quale sembra contraddirsi per le deroghe ed eccezioni che introduce) è cioè una <forma formata> cfr. V.ITALIA, Forme e regole giuridiche, Milano, 2005, pag.13.

5 Come servizi complementari, accessori, ulteriori, eccetera. Qui si apre un altro fronte tematico, quello dell’interesse pubblico e della estensione dei servizi (oltre le funzioni), della distorsione del mercato e dell’eventuale depressione dell’iniziativa economica privata (dovendosi fronteggiare, i due soggetti, sovente in una posizione diversa, perlopiù sbilanciata a favore del soggetto pubblico: come l’esempio chiovendano dei due pugili che si affrontano, uno dei quali ha un braccio legato), in proposito si rinvia al volume collettaneo (a cura di A.PIEROBON), Nuovo Manuale cit.

6 Dove, come accennato, i concetti appartenenti alle diverse classi possono essere scambiati tra loro e dove il livello di generalità scombina le classi. Insomma, si tratta, pur sempre, di categorie più intenzionali e di politica ambientale e dei servizi pubblici, più che di categorie logiche o scientifiche.

7 La classificazione, dal punto di vista adottato, potrebbe assumere rilievo anche sotto altri profili: dei proventi, delle funzioni, eccetera. Pare più fondato assumere il fundamentum della classificazione nella titolarità del soggetto preposto alla gestione, poiché la funzione riguarda infatti anche taluni aspetti programmatori e pianificatori relativi a tipologie di rifiuti fuori dalla gestione pubblica, quali i rifiuti speciali non assimilati, eccetera.

8 Di tassonomia giuridica in questa dualità rifiuto urbano/speciale si è già intrattenuto, in più occasioni, P. DELL’ANNO, sia nel notissimo Manuale di diritto ambientale, Padova, 2006 che, appunto, in molti altri scritti. La tassonomia, secondo le scienze sociali, dovrebbe ricorrere per le suddivisioni sull’insieme estensivo, con criteri di generalità decrescente.

9 Vedasi, sintomaticamente, la questione dei rifiuti abbandonati per i quali la funzione pubblica di provvedere impone la loro raccolta, indipendentemente dalla loro pericolosità, fermo restando il rispetto della disciplina dei rifiuti se pericolosi (o meno) ai fini del loro trasporto, stoccaggio, trattamento e smaltimento o recupero.

10 Tralasciando la dettagliata e continua decretazione emanata per tutto il periodo emergenziale (in particolare negli anni 2006-2009), più recentemente si veda l’art.1 del d.l. 26 novembre 2010, n.196 ove il comma 3 prevede l’impiego dei rifiuti trattati negli impianti STIR quale materiale di ricomposizione ambientale per la copertura di cave abbandonate o dismesse, di discariche chiuse ed esaurite, ovvero quale materiale di copertura giornaliera delle discariche in esercizio. A tal fine (sic!) viene attribuita una apposita codificazione in considerazione dei trattamenti operati presso gli impianti STIR sui rifiuti medesimi. Il comma 4 autorizza presso i medesimi STIR, la realizzazione di impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dai rifiuti. Ed eccoci al comma 7, attenzione: qualora si verifichi la non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti in Campania, si prevede la possibilità di raggiungere un accorto interregionale per smaltire i rifiuti campani anche in altre regioni.

11 Salvo considerare, come peraltro è avvenuto, gli STIR (e financo gli auto compattatori) come dei polmoni di stoccaggio per spostare i rifiuti dagli spazi e luoghi pubblici ad un impianto, evitando (per quanto possibile) il degrado e fenomeni odorigeni,a tacer d’altro, subiti dalla comunità locale. Una spiegazione pratica al fatto di conferire comunque i rifiuti indifferenziati agli STIR e poi avviare i medesimi rifiuti (solo compressi e in balle avvolte in film di plastica) potrebbe desumersi leggendo le vicende giudiziarie che hanno affollato in questi anni le cronache campane (con iniziative editoriali non ancora placatesi) sul famoso sistema gestionale pubblico, per come congeniato e programmato a suo tempo. In particolare, circa il ruolo degli STIR nell’ambito dello stesso sistema integrato di gestione, si vedano i contratti anzitempo stipulati con la cordata Impregilo in sede di affidamento, ma soprattutto le loro modifiche ed “evoluzioni”. Anche qui più che una occhialuta lettura normativa, occorre una lettura focalizzata su altri elementi (per esempio quello economico-organizzativo, il quale – spesso - si serve delle forme giuridiche).

12 Perlomeno le discariche campane in via di esaurimento o comunque da tenere come riserva futura, considerando che il sistema impiantistico per venire realizzato, a regime, richiede tempi medio lunghi per la sua realizzazione.

13 Anche qui si rinvia ai nostri scritti, in parte leggibili anche nel sito www.pierobon.eu.

14 Si rammenta come la problematica della lavorazione dei rifiuti solidi urbani avviati all’impiantistica (non solo intesa come effettiva lavorazione svolta, ma – ancor prima - del loro macchinismo idoneo concretamente a svolgere queste lavorazioni) sia emersa proprio per gli impianti campani che non producendo CDR e FOS sono stati sequestrati. Da allora la frazione secca non è stata più considerata come CDR (191210) ma come rifiuto prodotto dal trattamento meccanico dei rifiuti (191212), lo stesso dicasi per la frazione umida dove non veniva effettuato il trattamento aerobico, in proposito si veda la ricostruzione fattane da P.RABITTI, Ecoballe. Tutte le verità su discariche, inceneritri, smaltimento abusivo dei rifiuti, Roma, 2008, pag.136. Difatti i decreti via via adottati (su ispirazione della Protezione Civile o dei vari Governi succedutesi nel tempo) per fronteggiare l’emergenza, hanno “imposto” (più che chiarito) determinati CER, proprio per evitare che eventuali accertamenti (od opinamenti) giudiziali e/o dei controllori potessero come dire “inceppare” il sistema (prolungando od ostacolando l’uscita dalla crisi). Anche qui sarebbe da aprire un altro capitolo, basti rinviare ai nostri scritti dell’epoca leggibili nel sito www.pierobon.eu e nel volume (a cura di M.MONTALTO), La guerra dei rifiuti, Roma, 2008.

15 Ex multiis, P.FERRARIS, in (a cura di R.GRECO), Codice dell’ambiente, Napoli, 2009, pag. 748.

16 Si veda il nostro <I rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani sono ancora rifiuti urbani o rifiuti speciali> in “Il cammino della gestione dei rifiuti”, 20120, pag.270 ss anche in www.pierobon.eu.

17 Altro discorso è se intenzionalmente (come sovente avviene in certuni luoghi di produzione di potere) si è deciso di imboccare questo percorso argomentativo, per giustificare una scelta di obiettivi, o di risultato, altrimenti non supportabili. Ecco che la forma, costì infarcita e aggrovigliata, lascia intravvedere altri interessi.

pubblicato in Gazzetta enti locali on line. Si ringraziano Autore ed Editore