TAR Toscana Sez. II n.1491 del 28 agosto 2012
Rifiuti. Bonifiche e responsabilità

Gli artt. 240 e segg.dlv. 152\06 si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità

N. 01491/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01032/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1032 del 2011, proposto da:
Ediltecnica S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Natale Giallongo, Francesco Guidugli, con domicilio eletto presso l’avv. Natale Giallongo in Firenze, via Vittorio Alfieri N. 19;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Firenze, via degli Arazzieri 4;
Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Comune di Massa, A.R.P.A.T. Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia,

del decreto direttoriale 24 febbraio 2011, prot. 1176/tri/di/g/sp, notificato il 9 marzo 2011, e della nota di comunicazione, prot. 6228/tri/di, quale provvedimento finale di adozione, ex art. 14-ter l. 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale (s.i.n.) di Massa Carrara del 16 febbraio 2011 in parte qua ingiunge prescrizioni, fra le altre società, ad Ediltecnica s.r.l. e, in specie, la messa in sicurezza d’urgenza (m.i.s.e.) e la presentazione di un progetto bonifica per la parte dell’impianto Granital oggi di proprietà della ricorrente, sulla base delle prescrizioni di cui alla conferenza 10 febbraio 2009; nonché, per quanto occorrer possa, di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso, ancorché incognito, ove ritenuti lesivi, in particolare della conferenza dei servizi istruttoria del 22 gennaio 2010.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2012 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La società ricorrente impugnava l’atto ministeriale con cui erano state recepite le conclusioni di una conferenza di servizi relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara che aveva ingiunto ad essa, tra l’altro, onerose prescrizioni per la messa in sicurezza d’urgenza e per la prescrizione di un progetto di bonifica.

Faceva presente a tal fine di avere acquistato nel dicembre 2010 un’area all’interno del sito in questione da altra società che aveva già dimostrato come l’inquinamento sussistente nel sito non fosse conseguenza della sua attività, ma risalisse alle industrie chimiche che erano presenti in loco negli anni ottanta.

Tale lettura delle responsabilità ambientali era stata condivisa dal TAR Toscana che aveva già annullato precedenti provvedimenti di natura similare a quello impugnato in questa sede ( vedasi sentenze 762/2009 e 1397/2011).

Peraltro in passato erano stati compiuti dalla dante causa della ricorrente interventi di rimozione del materiale inquinato, con asportazione del terreno superficiale per la profondità di alcuni metri sostituito con materiale idoneo che veniva infine impermeabilizzato.

Fu richiesta poi una messa in sicurezza della acque di falda che risultavano inquinate, ma è stata posta in discussione l’idoneità delle soluzioni proposte per ottenere la bonifica delle acque, tanto che i provvedimenti in merito furono più volte sospesi e poi annullati da questo TAR.

In particolare, l’ultimo provvedimento è stato annullato con la sentenza 1397/2011, ma è stato riproposto senza modifiche sostanziali e privo del necessario approfondimento istruttorio con l’atto in questa sede impugnato.

In sintesi la società osserva che:

la contaminazione sia dei suoli che della falda acquifera non è imputabile alla società ricorrente in quanto la società ha acquistato in terreni in parola solo quattro mesi prima dell’emissione del provvedimento;

le sostanze inquinanti rinvenute in situ non sono riconducibili neanche all’attività della dante causa della ricorrente, che ha gestito l’impianto per trent’anni;

l’Amministrazione non ha svolto alcuna attività tesa ad individuare la responsabilità della società ricorrente, prescrivendo gli interventi di m.i.s.e. delle acque e dei suoli in ragione del solo criterio dominicale;

le opere di messa in sicurezza di emergenza prescritte per l’area Granital sono state oggetto di due misure cautelari del T.A.R. Toscana e di una pronuncia – non appellata – dello stesso Giudice che ha accertato l’illegittimità dei pregressi provvedimenti decisori di identico contenuto al decreto impugnato; il Ministero ha ritenuto quindi di “eludere” con la successiva attività la pronuncia giudiziale;

gli atti gravati non adducono alcuna motivazione tecnica a sostegno dell’utilità delle opere prescritte, la cui realizzazione era stata, peraltro, già superata dallo studio I.C.R.A.M. e dai pregressi accordi di programma;

l’accordo 18 gennaio 2011, recentemente sottoscritto, prevede – in sostanziale coerenza con quanto desumibile dallo stadio I.C.R.A.M.– la progettazione e la realizzazione di un intervento di contenimento idrico e di un impianto di trattamento: la previsione contrasta con l’ingiunzione a carico di Ediltecnica di adottare m.i.s.e. della falda acquifera e dei suoli;

le prescrizioni emergenziali recepite nel decreto ministeriale 24 febbraio 2011 reiterano – a distanza di quattro anni – le decisioni assunte le decisioni assunte già in principio (nel 2007) dopo un intervallo temporale tale da escludere la necessità di misure d’urgenza: i provvedimenti gravati con il ricorso r.g. n. 1293/2007, difatti, erano stati assunti circa due anni e mezzo dopo la conoscenza da parte della P.A. della pretesa contaminazione della falda (ottobre 2004); le prescrizioni di m.i.s.e. non trovano sostegno nel pur necessario requisito ex lege della repentinità (i.e.¸ subitaneità ed immediatezza) dell’inquinamento.

Da ciò derivano i tre motivi di ricorso.

Il primo lamenta la violazione dell’art. 97 della Cost., dell’art. 17 d.lgs. 22/1997, degli artt. 239, 240, 242 e 245 d.lgs. 152/2006, degli artt. 1, 3 e 14 L. 241/90, nonchè eccesso di potere: carenza di istruttoria; difetto di motivazione; contraddittorietà; perplessità, manifesta illogicità; carenza dei presupposti; sviamento di potere.

L’art. 17 d.lgs. 22/1997, ormai trasfuso nella disciplina di cui agli artt. 239, 240, 242 e 245 d.lgs. 152/2006, richiede l’individuazione del responsabile dell’inquinamento in armonia con i principi e norme comunitari, con particolare riferimento al principio “chi inquina paga”.

Il proprietario incolpevole può essere onerato solo della facoltà, ex art. 245, comma 2, di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno inquinato gravato da onere reale.

Ai sensi dell’art. 242 citato il proprietario dell’area ha solo obbligo di comunicare agli enti locali territorialmente competenti la rilevata contaminazione e di attuare le misure di prevenzione affinché l’ente competente ( nel caso del S.i.n. il Ministero dell’Ambiente ) si attivi per l’individuazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi necessari.

Il Ministero ha omesso l’istruttoria finalizzata ad individuare il responsabile della contaminazione del suolo dello stabilimento Granital da R.S.U. e da ceneri di R.S.U. (alla cui rimozione Imerys ha già provveduto nell’agosto del 2004); né, tantomeno, per quanto qui più rileva, all’individuazione dei responsabili della contaminazione delle acque di falda dell’impianto Granital.

L’analisi di rischio predisposta dalla Imerys Minerali s.p.a. ha evidenziato che la contaminazione appare maggiore nello strato più profondo dell’acquifero ed inferiore nelle acque superficiali con ciò escludendo che la fonte dell’inquinamento – che dovrebbe essere rimossa con la m.i.s.e. prescritta – sia individuabile nelle aree di proprietà Ediltecnica (già Imerys).

Non diversamente, deve concludersi in riferimento alle prescrizioni di messa in sicurezza dei suoli per contaminazione del top soil dell’impianto Granital con arsenico, contenute nella (peraltro annullata dalla sentenza del T.A.R. Toscana n. 1397/2010) conferenza dei servizi del 30 ottobre 2007.

Le cause di tale contaminazione non sono quindi riconducibili alla società ricorrente (che non utilizza tali sostanze nelle sue lavorazioni) bensì alla massicciata dell’adiacente ferrovia realizzata in epoche pregresse con scorie e/o ceneri di pirite, come documentato dalle planimetrie allegate al piano di caratterizzazione: l’arsenico è stato, difatti, rinvenuto solo in adiacenza alla linea ferroviaria.

Altra possibile origine della rilevata presenza di arsenico, idonea comunque ad escludere la responsabilità della ricorrente, è da rinvenirsi nella circostanza (notoria) che nell’area, per tutti gli Anni Sessanta del secolo scorso, sono stati utilizzati materiali provenienti dallo stabilimento Montecatini Azoto (poi Montedison e quindi Farmoplant), nei quali era fortemente presente tale sostanza.

I provvedimenti impugnati risultano, quindi, non solo adottati in violazione delle norme che impongono al responsabile dell’inquinamento (e non ad altri soggetti) la bonifica dalla falda ma anche del procedimento previsto dall’art. 245 del d.lgs. 152/2006 per la carenza di indagine in ordine alla identificazione del responsabile e, quindi, della fonte dell’inquinamento.

Il secondo contesta la violazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 240, comma 1, lett. m), d.lgs. 152/2006 nonché l’eccesso di potere: per difetto di istruttoria; difetto dei presupposti; manifesta illogicità.

L’art. 240, comma 1, lett. m) del T.U. dell’ambiente stabilisce che per messa in sicurezza d’emergenza deve intendersi «ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente».

Il legislatore ha, dunque, precisato che è possibile ricorrere agli interventi di m.i.s.e. – soggetti a procedimento d’urgenza speciale – solo nell’ipotesi tassativa di improvvisi («repentini») eventi di contaminazione.

Nel caso che ci occupa non è sussistente alcuna delle ipotesi richiamate dall’elencazione sopra richiamata, né altre ad esse riconducibili in via analogica; l’inquinamento della falda acquifera è risalente nel tempo e ne interessa i livelli più profondi, restandone esenti invece gli strati superficiali. Il dato è stato documentato dalle analisi di rischio prodotte dalla società Imerys.

Analogamente, la presenza di arsenico nel top soil è imputabile alla costruzione della massicciata della strada ferrata che corre prossima all’impianto oppure all’attività di preesistenti industrie chimiche. Non si tratta, dunque, di una contaminazione né improvvisa, né recente.

Inoltre la realizzazione di un’estesa platea in cemento nell’area contaminata esclude qualunque rischio.

È del tutto carente, dunque, l’indefettibile requisito ex lege della subitaneità dell’evento contaminante (in quanto tutt’altro che improvviso e recente) cui è riconducibile l’iter speciale prescritto al fine dell’adozione delle misure (non a caso definite) d’urgenza.

Il decreto direttoriale impugnato, pertanto, nella parte in cui ingiunge alla società ricorrente la m.i.s.e. della falda e dei suoli è illegittimo in quanto adottato in carenza dei presupposti: l’Amministrazione ha inteso utilizzare l’istituto della m.i.s.e., non per far fronte ad un accadimento improvviso e grave, contenibile solo con interventi d’urgenza, bensì per surrettiziamente eludere il più complesso ed articolato procedimento di bonifica cui, in fattispecie quali quella che ci occupa, avrebbe dovuto ricorrere.

Il dato proposto è confermato dalla carenza di ogni riferimento, tanto nelle conferenze 22 gennaio 2010 e 16 febbraio 2011 quanto nel provvedimento 24 febbraio 2011 che le ha recepite, di specifica motivazione circa la repentinità della contaminazione e l’urgenza del suo contenimento.

Né, invero, analoghi riferimenti paiono rinvenibili nelle determinazioni delle conferenze dei servizi richiamate negli atti gravati con la presente impugnativa e già annullate con sentenza n. 1397/2010.

Il terzo eccepisce violazione dell’art. 97 della Cost., dell’art. 17 d.lgs. 22/1997, degli artt. 239, 240, 242 e 245 d.lgs. 152/2006, n., degli artt. 1, 3 e 14 L. 241/90, nonché l’eccesso di potere: carenza di istruttoria; difetto di motivazione; contraddittorietà; perplessità, manifesta illogicità; carenza dei presupposti.

L’Amministrazione ha sottoscritto un nuovo accordo di programma il cui contenuto contrasta con le prescrizioni del decreto ministeriale gravato.

L’accordo per il completamento degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel S.i.n. di Massa Carrara, individuato in Sogesid s.p.a. il soggetto attuatore, ha previsto:

a) la progettazione e realizzazione di intervento di un sistema unitario di confinamento idraulico e di di trattamento e riutilizzo delle acque (art. 3, comma 2);

b) l’onere a carico dei responsabili della contaminazione delle opere di messa in sicurezza e bonifica dei suoli e delle acque nelle aree private a destinazione industriale (art. 9, comma 2).

Il Ministero ha, dunque, adottato – pressoché contemporaneamente al decreto direttoriale gravato – un accordo che contiene disposizioni che contraddicono la m.i.s.e. ingiunta alla ricorrente.

Difatti, in coerenza con lo studio di fattibilità redatto da I.C.R.A.M. nel 2008, l’intesa assicura la messa in sicurezza della falda mediante un intervento coordinato che interessa l’intero s.i.n. di Massa e Carrara, concretizzantesi nella realizzazione di una rete di pozzi per l’emungimento delle acque di falda, del collettamento e del trattamento con unico depuratore per il riutilizzo a fini industriali.

L’accordo ha poi affidato alla società Sogesid s.p.a. la progettazione delle opere.

In altre parole, l’Amministrazione, nel mentre ha prescritto interventi di m.i.s.e. limitatamente alle aree di titolarità Imerys, ha convenuto sulla necessità di opere ben più estese (coinvolgente un’area coincidente con lo stesso s.i.n.) ancora in fase di progettazione.

Dal dato proposto è agevolmente desumibile la contraddittorietà dei provvedimenti che si sono susseguiti, nonché la carenza dell’istruttoria posta in essere dal Ministero: solo in conseguenza di una (almeno) incompleta attività istruttoria, infatti, avrebbe potuto essere deliberata dalla P.A., pressoché contestualmente, la realizzazione di interventi puntuali di m.i.s.e. e di bonifica sulle aree di proprietà Ediltecnica e l’affidamento della progettazione di un sistema unitario e coordinato che interessi l’intero sito.

Si costituivano in giudizio i Ministeri resistenti che chiedevano il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 1.6.2011 veniva respinta l’istanza cautelare poiché, pur riconoscendo il Collegio la possibilità di un accoglimento nel merito, non riteneva vi fosse un pericolo attuale; il Consiglio di Stato con ordinanza del 27.9.2011 accoglieva invece l’appello cautelare riconoscendo invece la gravosità sul piano economico degli intereventi imposti dal provvedimento impugnato.

All’udienza del 19.6.2012 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento.

La difesa erariale giustifica il provvedimento impugnato ricostruendo l’insieme di norme che presiedono agli interventi di messa in sicurezza e bonifica come non fondati sull’esistenza di una responsabilità diretta imputabile a titolo di dolo o di colpa al proprietario dell’area.

Secondo tale interpretazione dell’ordinamento la responsabilità del proprietario è riconducibile allo schema di cui all’art. 2051 c.c.; diversamente secondo questa lettura tutte le società che operano nelle aree dei siti da bonificare di interesse nazionale potrebbero invocare la loro estraneità all’inquinamento residuo su dette aree che notoriamente è stato causato da aziende che ivi operavano molti anni prima e che ormai sono estinte sul piano giuridico.

Chi acquista certe aree spesso ad un prezzo conveniente proprio in virtù della loro natura compromessa sul piano ambientale deve prevedere la possibilità di sostenere i costi relativi alla bonifica.

Questa lettura, ad avviso del Tribunale, contrasta con le previsioni normative che si applicano alla subiecta materia.

La sentenza 1397/2010, relativa ad una determinazione ministeriale sostanzialmente identica a quella impugnata in questa sede, ricostruisce i principi che devono trovare attuazione in questa materia; in merito è illuminante riportare un ampio stralcio della sua motivazione: “Come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; id., 6 maggio 2009, n. 762), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).

Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).

Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448).

Facendo applicazione dell’ora visto principio al caso di specie, emerge con tutta evidenza come in questo la P.A. non abbia proceduto ad alcuna verifica della sussistenza, in capo alla ricorrente, del requisito della responsabilità colpevole. Invero, in nessuna delle Conferenze di Servizi contestate si rinviene alcun approfondimento istruttorio finalizzato ad accertare un responsabilità colpevole della Imerys Minerali S.p.A nelle situazioni di inquinamento della falda e dei suoli per l’area di titolarità della stessa. Questa conclusione resta ferma anche analizzando i verbali della Conferenza di Servizi decisoria del 9 novembre 2004 (anteriore a quelle cui si riferiscono il ricorso ed i motivi aggiunti) e, soprattutto, della Conferenza di Servizi istruttoria del 26 giugno 2007, che contiene una descrizione analitica della situazione pregressa e di quella attuale del sito interessato, senza far emergere nessun elemento di responsabilità colpevole a carico della ricorrente. Ciò, quando al contrario le particolari vicende attinenti ai passaggi di proprietà per una parte di tale sito (permuta con il C.E.RM.E.C.), la condotta del medesimo consorzio e, per altro verso, le tipologie di produzioni realizzate nel terreno in discorso e nelle zone circostanti, avrebbero imposto un siffatto approfondimento, anche alla luce dell’ingente onerosità delle misure prescritte all’odierna ricorrente. È evidente, invece, che in tutte le Conferenze di Servizi considerate la Imerys Minerali S.p.A. viene in rilievo esclusivamente nella sua veste di proprietaria del terreno interessato ed in tale sua qualità viene evocata quale destinataria delle prescrizioni assunte con dette Conferenze. Così facendo, però, la P.A. utilizza illegittimamente – come si è sopra visto – il criterio dominicale, in luogo di quello della responsabilità colpevole, ai fini dell’individuazione del soggetto destinatario delle prescrizioni volte al risanamento del terreno contaminato”.

Il Collegio non ritiene di discostarsi da siffatta impostazione, anche tenendo conto che il provvedimento assunto appare in contraddizione con l’accordo per il completamento degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel S.i.n. di Massa Carrara, affidato a Sogesid s.p.a. come soggetto attuatore dello studio di fattibilità redatto da I.C.R.A.M. nel 2008, che prevede la messa in sicurezza della falda mediante un intervento coordinato che interessa l’intero s.i.n. di Massa e Carrara, concretizzantesi nella realizzazione di una rete di pozzi per l’emungimento delle acque di falda, del collettamento e del trattamento con unico depuratore per il riutilizzo a fini industriali.

Il provvedimento che, oltretutto appare sostanzialmente elusivo del giudicato già formatosi sulla precedente determinazione annullata con la sentenza 1397/2010, è in conclusione illegittimo e va annullato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna i Ministeri resistenti alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 4.000 oltre C.P.A. ed I.V.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Viola, Presidente FF

Bernardo Massari, Consigliere

Uo De Carlo, Primo Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/08/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)