Cass. Sez. III n. 44072 del 23 ottobre 2014 (ud 25 set 2014)
Presidente: Teresi Estensore: Pezzella Imputato: Beltracchini
Tutela consumatori.Indicazione di una sede d'imbottigliamento diversa da quella indicata nell'etichetta

Integra il reato di cui all'art. 515 cod.pen. la commercializzazione di bottiglie d'olio extravergine di oliva con etichetta recante una mendace indicazione in ordine all'azienda che ne ha curato la produzione e l'imbottigliamento, essendo tale dicitura idonea ad ingannare il consumatore sul reale ciclo produttivo della merce e, di conseguenza, sulla sua provenienza e qualità. (In motivazione, la Corte ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato, è irrilevante la non obbligatorietà di fornire le indicazioni riportate).

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente BELTRACCHINI ROBERTA, con sentenza del 06/03/2014 depositata il 11/03/2014, confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Como sezione distaccata di Menaggio in data 25/11/2009, con condanna al pagamento delle spese processuali del grado.
La Beltracchini veniva tratta a giudizio innanzi al Tribunale di Como, Sezione distaccata di Menaggio, per il reato previsto dall'art. 516 c.p. per avere, nella qualità di legale rappresentante della sas
Sorsasso con sede in Domaso, posto in vendita 405 bottiglie di olio extravergine di oliva dell'annata 2006 recanti sull'etichetta indicazioni fallaci in ordine all'origine e alla provenienza ed in particolare attestanti che l'olio era "prodotto e imbottigliato dall'Azienza Agricola Sorsasso" in Domaso, laddove esso era in parte confezionato con olive abruzzesi e, inoltre, era imbottigliato da altra impresa, accertato in Domaso il 6/2/2007.
Il giudice di prime cure aveva dichiarato l'imputata responsabile del reato di frode nell'esercizio del commercio ai sensi dell'art. 515 c.p., come qualificato dal P.M. in udienza, condannandola, con le  attenuanti generiche, alla pena di Euro 600,00 di multa, pena sospesa e non menzione.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con l'ausilio del proprio difensore, l'imputata, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b): violazione per inosservanza o erronea applicazione della L. 3 agosto 1998, n. 313. La ricorrente deduce che la L. n. 313 del 1998 recante le disposizioni per l'etichettatura d'origine dell'olio extravergine di oliva, dell'olio vergine di oliva e dell'olio di oliva, prevede che può essere aggiunta l'indicazione della denominazione e dell'ubicazione dell'impianto di lavorazione, per cui l'indicazione del luogo di lavorazione è meramente facoltativa.
Sottolinea che l'etichetta indicava che l'olio era stato imbottigliato dalla Sorsasso e non presso la Sorsasso. Lo spirito della legge sarebbe, a detta della ricorrente, volto ad evidenziare il produttore e non il terzo presso il quale viene eseguita la lavorazione.
b. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b): violazione per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 2135 c.c., della normativa sui prodotti DOP e dell'art. 515 c.p.. L'imputata rileva che la garanzia assicurata dall'etichettatura è volta ad assicurare il consumatore circa la provenienza del prodotto non da un determinato luogo ma da un determinato produttore. L'individuazione del luogo di provenienza è prevista soltanto per i prodotti DOP, cui l'olio in questione non appartiene. Tale aspetto sarebbe sfuggito al P.M. ed ai Giudici di primo e secondo grado.
La Corte avrebbe erroneamente valutato le disposizioni di legge applicabili ed in particolare l'art. 2135 c.c., contestando che l'olio sarebbe stato prodotto con olive abruzzesi.
Tale contestazione sarebbe infondata perché l'etichettatura riguarderebbe solo l'avvenuta produzione in Italia, mentre, al di fuori di quanto previsto per i prodotti DOP, sarebbe vietato qualsiasi riferimento alla zona geografica. E, ancora, sarebbe stata mal valuta la testimonianza del Vanini, la cui contraddittorietà avrebbe dovuto portare all'assoluzione.
La ricorrente offre una ricostruzione dei fatti a suo dire plausibile secondo la deposizione del Vanini.
c. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b): violazione per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 521 c.p.: violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Rileva l'imputa di essere stata processata per delitto di cui all'art. 516 c.p., mentre è stata poi condannata per la fattispecie prevista dall'art. 515 c.p.. Il mutamento dell'imputazione sarebbe avvenuto solamente in sede di discussione, allorquando tutta l'istruttoria dibattimentale sarebbe sta svolta sul presupposto di un imputazione diversa riguardante la genuinità del prodotto.
d. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b): violazione per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 515 c.p.. La ricorrente svolge un'ulteriore serie di rilievi di merito della questione, evidenziando che la ditta Sorsasso non svolge attività commerciale e pertanto non potrebbe aver posto in vendita le bottiglie di olio.
Nessun accertamento, a suo dire, sarebbe stato svolto nel corso del dibattimento circa l'avvenuta vendita delle bottiglie e sull'avvenuto confenzionamento delle stesse con olive prodotte nell'anno 2005, mentre tutta l'istruttoria sarebbe sta svolta sulle olive prodotte nel 2006, risultando del tutto inconferente.
Chiede, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, pronunciandosi sentenza di non doversi procedere ovvero mandandosi assolta l'imputata perché il fatto non costituisce reato o per non aver commesso il fatto, quantomeno ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, ovvero ancora che la sentenza venga annullata con
rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di cui sopra appaiono tutti manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Manifestamente infondate sono quelle che vengono lamentate come violazioni di legge.
La sentenza impugnata da atto, con motivazione logica e congrua, di come le emergenze processuali abbiano consentito di ritenere provato:
a) che solo in minima parte l'olio posto in commercio era stato prodotto con olive conferite dall'Azienda Agricola Sorsasso;
b) che il prodotto era imbottigliato da altra impresa (il frantoio Vanini).
Si tratta, a ben vedere, proprio di quanto contestato in fatto all'odierna imputata e che entrambi i giudici, in sentenza, hanno ricondotto all'ipotesi delittuosa di cui all'art. 515 c.p.. Già la Corte d'Appello (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) aveva risposto in maniera congrua alla doglianza, che oggi viene riproposta, laddove si assume la contestazione di un fatto diverso da quello per il quale è intervenuta la condanna. Il fatto, in realtà, è stato sempre lo stesso, essendone mutata - ed era legittimo che potesse esserlo - soltanto la qualificazione giuridica. La Corte territoriale correttamente richiama la giurisprudenza di questa Corte laddove si è affermato che l'art. 515 c.p. si riferisce alla condotta di colui che, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita (così questa sez. 3, n. 37508 del 28.9.2011, Putignano, rv. 251322). È come può evincersi dall'imputazione, in fatto, si tratta proprio di quanto contestato ab origine. Va ricordato che è peraltro pacifico che tra la previsione di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2, recante disposizioni in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari tali da attribuire al prodotto proprietà che lo stesso non possegga, e l'art. 515 c.p., che tutela il corretto svolgimento dell'attività commerciale, continua a non sussistere, anche successivamente alle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 181 del 2003, alcun rapporto di specialità stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni (così questa sez. 3, n. 2019 dell'8.11.2007 dep. 15.1.2008, Brezzo ed altro rv. 238589).
3. Le altre questioni sollevate, seppure rubricate come violazioni di legge, in realtà propongono una rilettura delle acquisizioni processuali non consentita in questa sede.
Peraltro, nemmeno le stesse possono essere interpretate come censure rivolte alla motivazione della sentenza.
Sul punto va ricordato, infatti, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene ne' alla ricostruzione dei fatti ne' all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere
ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Milano non solo alcuna violazione di legge, ma nemmeno alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
La Corte territoriale da conto in motivazione, coerentemente con il dictum di questa Corte Suprema di cui alla citata sentenza 37508/2011, di come la dicitura "prodotto e imbottigliato da..."apposta su un bene che si va a commercializzare sia un dato certamente significativo ai fini del corretto esercizio delle attività commerciali.
Al di là dei sofismi, leggere su un prodotto come l'olio che è prodotto e imbottigliato "da" una determinata azienda, in difetto di specificazioni contrarie aggiuntive (quale poteva essere "presso gli stabilimenti...") lascia chiaramente intendere al consumatore che il ciclo produttivo si è svolto presso quella azienda, con i prodotti della stessa.
In alcuni casi, come avviene ad esempio con alcuni prodotti alimentari mediante l'attribuzione dei c.d. "marchi di qualità", (Indicazione "prodotto da" contribuisce in modo determinante alla corretta identificazione di un prodotto proprio in ragione, tra l'altro, dell'origine e della provenienza.
In altri termini, appare di tutta evidenza l'affidamento che il consumatore può rivolgere all'indicazione del luogo di produzione e confezionamento di un prodotto e come tale indicazione possa, in definitiva, condizionarne la scelta, specie nei casi in cui, come avviene per l'olio, le diverse modalità di estrazione e la provenienza delle olive possono incedere in modo determinante sulla qualità del prodotto finale.
La Corte territoriale rileva in maniera logica ed esaustiva come cosa diversa sia far credere al consumatore che l'olio sia prodotto sul lago di Como, all'interno di un'azienda agricola che è parte di un consorzio che tutela "Sapori di terra-Sapori di lago" (costituito per la tutela dei prodotti tradizionali della provincia di Como), piuttosto che altrove, in un'azienda di ben più grandi dimensioni e con olive, almeno in parte, provenienti da tutt'altra parte d'Italia. 4. Va sottolineato, peraltro, che tale assunto trova riscontro nella normativa di settore, che contiene precise indicazioni in tal senso. Il Regolamento CE del 13 giugno 2002 n. 1019, che negli anni ha subito diverse modifiche (l'ultima delle quali ad opera del Reg. CE 596 del 7 luglio 2010) fornisce norme specifiche in materia di
etichettatura, complementari a quelle previste dalla direttiva 2000/13/CE del 20 marzo 2000 e succ. mod., concernente
l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari e la relativa pubblicità che non escludono, comunque, il riferimento alle disposizioni generali in materia di etichettatura degli alimenti, quali il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 "Attuazione delle direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari" oltre ad altre disposizioni nazionali, anche di attuazione della normativa comunitaria, che disciplinano specifici settori (ad es. gli alimenti "biologici").
Nell'art. 3 del D.Lgs. figurano, tra le indicazioni che devono essere obbligatoriamente presenti sulle etichette dei prodotti alimentari, il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea, la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, mentre l'indicazione del luogo di origine o di provenienza, pure indicato nel medesimo articolo, per gli oli di oliva è regolata dal menzionato art. 4 Reg. CE 1019/02 che disciplina la designazione dell'origine, intesa come la zona geografica nella quale le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l'olio. Il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2 specifica, in modo inequivocabile, che l'etichettatura, così come la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, non devono indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla durabilità, sul luogo di origine o di provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto stesso. Si tratta, dunque, di informazioni che la menzionata normativa mantiene tra loro distinte, cosicché l'indicazione "Prodotto e imbottigliato dall'Azienda Agricola Sorsasso", utilizzata nella fattispecie, assume - come correttamente rileva la Corte milanese - un significato inequivocabile che può essere interpretato dal consumatore esclusivamente nel senso che tanto la estrazione dell'olio dalle olive quanto l'imbottigliamento del prodotto finito avvenga all'interno dello stabilimento indicato, venendo così il consumatore finale ad essere indotto in errore.
Condivisibile, inoltre, è l'assunto secondo cui non assume alcun rilievo la obbligatorietà o meno dell'indicazione riportata che, una volta apposta sulla confezione, non può comunque contenere indicazioni fuorvianti sull'origine o provenienza del prodotto. Tutte le altre doglianze oggi riproposte hanno natura meramente fattuale - e perciò non sono proponibili in questa sede- avendo in ogni caso la Corte territoriale dato conto in maniera logica e congrua, in motivazione, di come le emergenze processuali abbiano consentito di appurare che l'Agriturismo Sorsasso non aveva impianti per la molitura delle olive, che lo stesso aveva conferito alla Vanini olive atte a produrre solo 30 dei 200 litri di olio imbottigliati, essendosi perciò provveduto ad integrarle con olive di provenienza abruzzese.
Logico appare, peraltro, il giudizio di inverosimiglianza, formulato dai giudici del gravame dei merito anche alla luce delle deposizioni dei testi Pressi e Corti, circa il fatto che una così ingente quantità di olio, per giunta confezionato ed etichettato, fosse destinato ad un uso familiare.
Quanto alla destinazione al commercio si ricorda, peraltro, nella sentenza impugnata che "certamente la Sorsasso è un'impresa agricola e commerciale (agriturismo pubblicizzato anche sul sito internet www.sorsasso.com) a conduzione familiare, produttrice di vino, olio e carne essiccata, destinati alla vendita sul posto ed anche al mercato estero".
I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2014