Cass.Sez. III n. 2617 del 21 gennaio 2014 (Ud 6 nov 2013)
Pres. Squassoni Est.Orilia Ric. Di Bianco
Tutela Consumatori.Consegna di prosciutto diverso da quello protetto da denominazione di origine

In tema di tutela degli alimenti, la consegna di un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell'etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall'art. 515 e 517 bis cod. pen. che, avendo per oggetto la tutela del leale esercizio del commercio, protegge sia l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa differente da quella richiesta, sia quello del produttore a non vedere i propri articoli scambiati surrettiziamente con prodotti diversi. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto la configurabilità del reato nell'ipotesi di confezioni riportanti sull'etichetta le denominazioni "Prosciutto di Parma" e "Prosciutto San Daniele, sebbene le attività di affettamento del prodotto fossero avvenute con modalità diverse da quelle previste nel Disciplinare D.O.P.).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 06/11/2013
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 3178
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 17078/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI BIANCO LUIGI N. IL 24/03/1968;
avverso la sentenza n. 755/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del 02/07/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D'Ambrosio che ha concluso per il rigetto;
Udito, per la parte civile, l'Avv. 1) (Ndr: testo originale non comprensibile) Luca - Udine (sost. process.); 2) Massimo Piazza - Parma.
RITENUTO IN FATTO
1- Con sentenza 2.7.2012, la Corte d'Appello di Salerno, riformando la pronuncia assolutoria di primo grado, ha dichiarato Di Bianco Luigi colpevole di tentata frode in commercio (artt. 56, 515, 517 bis e 99 c.p.) per avere posto in vendita in diversi supermercati SISA di Salerno confezioni di prosciutto affettato con la dicitura "Branchi Prosciutto di San Daniele" e "Branchi Prosciutto di Parma" contenenti prosciutto diverso da quello DOP San Daniele e Parma. La Corte di merito ha motivato la decisione osservando che le modalità di conservazione (in vaschette contenenti il marchio Sisa, previo affettamento nei laboratori dei Supermercati) faceva venir meno l'indispensabile requisito della tracciabilità, sicché il prodotto, ormai privo delle caratteristiche di prosciutto DOP, era da considerarsi diverso, proprio perché privato dell'ultima fase della lavorazione (affettamento e incarto), espressamente prevista dal Disciplinare (D.M. 15 febbraio 1993, n. 253, art. 25) secondo cui appunto le caratteristiche di particolare pregio vanno mantenute sino al consumo finale.
2. Per l'annullamento della sentenza, l'imputato - tramite il difensore - ha proposto ricorso per cassazione deducendo la mancanza di motivazione sull'elemento psicologico del reato osservando che la Corte d'Appello non ha proprio affrontato il tema del dolo, ricavando, invece, una sorta di responsabilità oggettiva in violazione dell'art. 43 c.p..
Le parte civile Consorzio del Prosciutto di Parma ha depositato una memoria difensiva insistendo per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la consegna di un diverso tipo di prosciutto integra il delitto previsto dagli artt. 515 e 517 bis cod. pen., in quanto la disposizione codicistica ha come oggetto la tutela del leale esercizio del commercio e conseguentemente l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa diversa da quella richiesta, così come quello del produttore a non vedere i propri prodotti scambiati surrettiziamente con prodotti diversi (Sez. 3, Sentenza n. 4351 del 04/12/2003 Ud. dep. 05/02/2004 Rv. 227560).
Si è altresì affermato in giurisprudenza che ad integrare il reato di cui all'art. 515 c.p. non è necessario uno speciale atteggiamento del venditore ne' l'uso da parte di questi di manipolazioni, raggiri o sotterfugi, ed il delitto, che richiede il dolo generico, sussiste anche quando il compratore avrebbe ben potuto accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella da lui richiesta (Sez. 3, Sentenza n. 23819 del 30/04/2009 Cc. dep. 09/06/2009 Rv. 244024 in motivazione; Cass. Sez. 6, 26/4/1974 n. 9381, Medaglia; Sez. 6, Sentenza n. 6436 del 13/11/1974 Ud. dep. 13/06/1975 Rv. 130234; conf. Sez. 5, sent. n. 1263/1967, La Marca). Nel caso di specie, appare allora ininfluente la dedotta impossibilità per l'acquirente di essere tratto in inganno per effetto della assenza, sulle confezioni, rispettivamente della Corona Ducale (che contraddistingue il Prosciutto DOP di Parma) e del Logo San Daniele (che distingue a sua volta l'omonimo prodotto DOP) e della presenza, invece, dell'indicazione della ditta produttrice (Branchi).
La Corte d'Appello ha invece accertato che le vaschette rinvenute nei supermercati recavano, accanto all'indicazione del nome della ditta di provenienza, anche l'utilizzazione delle due denominazioni protette "Prosciutto di Parma" e "Prosciutto San Daniele", individuanti caratteristiche di qualità affatto possedute o comunque irrimediabilmente perdute dal prodotto. Ha quindi evidenziato il dato oggettivo rappresentato dalla avvenuta lavorazione al di fuori delle condizioni del Disciplinare DOP, rilevando l'interruzione di una importante fase della catena di lavorazione, quella finale rappresentata dall'affettamento ed incarto, fase ritenuta necessaria sia per la tracciabilità sia per il mantenimento delle caratteristiche di particolare pregio del prosciutto, che deve permanere fino al momento del consumo finale.
Il percorso argomentativo si presenta giuridicamente in linea con le prescrizioni del Disciplinare che regola appunto le varie fasi di lavorazione del prodotto, tra cui quella dell'affettamento, che deve avvenire presso laboratori situati nella zona tipica, attrezzati in modo specifico e preventivamente riconosciuti dall'organismo abilitato (art. 25). Esso è altresì conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee secondo cui il fatto di subordinare l'uso della denominazione di origine protetta Prosciutto di Parma per il prosciutto commercializzato a fette alla condizione che le operazioni di affettamento e confezionamento siano eseguite nella zona di produzione può essere compatibile con la disposizione dell'art. 29 CE come interpretata dalla Corte (cfr. sentenza del 20.5.2003 proced. C-108/01 in causa Consorzio del Consorzio Prosciutto di Parma/Asda Stores Ltd).
La motivazione inoltre è esauriente e logicamente coerente in ordine alla individuazione dell'elemento psicologico del reato, perché la condotta, così come descritta, rivela senza dubbio proprio quella consapevolezza di consegnare al consumatore una cosa diversa da quella che le denominazioni "Prosciutto di Parma" e "Prosciutto di San Daniele" tendono invece a rappresentare (cioè un prodotto di pregio sottoposto a rigorose fasi di lavorazione che ne garantiscono il particolare sapore, colore e struttura organolettica). Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili che si liquidano come in dispositivo tenuto contro della rispettiva attività difensiva svolta.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili nel grado, liquidate, per il Consorzio del Prosciutto di Parma in Euro 3.500,00 e per il Consorzio del Prosciutto di San Daniele in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2014