Cass. Sez. III n. 41089 del 11 novembre 2011 (CC 29 set. 2011)
Pres.Ferrua Est.Teresi Ric.Lucugnano
Urbanistica. Esecuzione di un soppalco nel corso di lavori di ristrutturazione

Integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la realizzazione di un soppalco nel corso di lavori di ristrutturazione interna di un edificio, in assenza del permesso di costruire o della cosiddetta super-D.I.A. alternativa al predetto titolo abilitativo, in quanto si tratta di intervento edilizio che comporta un aumento della superficie e la realizzazione di un edificio in parte diverso dal preesistente.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente - del 29/09/2011
Dott. TERESI Alfredo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 1673
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 01183/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Lucugnano Lucia, nata a Napoli il 9.01.1965;
indagata del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b);
avverso l'ordinanza del Tribunale di Napoli in data 8.10.2010 che ha rigettato l'appello proposto avverso l'ordinanza del GIP che aveva respinto la domanda di revoca del sequestro preventivo di un fabbricato sito in Napoli;
Visti gli atti, l'ordinanza denunciata e il ricorso;
Sentita nella Camera di Consiglio la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Teresi;
Sentito il PM nella persona del PG, Dott. Volpe Giuseppe, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Sentito il difensore del ricorrente, avv. Valanzuolo Amedeo che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
OSSERVA
Con ordinanza 8.10.2010 il Tribunale di Napoli rigettava l'appello proposto da Lucugnano Lucia, indagata del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (per avere realizzato in un appartamento di 150 mq, interessato da opere di manutenzione straordinaria, numerose zone soppalcate impostate a quota inferiore a mt 2,70 dal calpestio, addossate alle pareti finestrate, dotate d'impianto elettrico e collegate con una scala di ferro col piano di calpestio), avverso l'ordinanza del GIP che aveva respinto l'istanza di revoca del sequestro preventivo del fabbricato, sito in Napoli. Rilevava il Tribunale che l'esecuzione di soppalchi richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire o della DIA alternativa al permesso.
Proponeva ricorso per Cassazione l'indagata denunciando violazione di legge sulla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora non essendo ipotizzabile l'aggravamento del carico edilizio poiché la natura non residenziale dei soppalchi non comportava incremento dei servizi primari e secondari. Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza.
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.
Assume la ricorrente in termini del tutto generici che non sarebbe ravvisabile il fumus del reato ipotizzato e che i soppalchi, non avendo natura residenziale, non possono determinare aggravio del carico urbanistico.
Il tribunale ha rilevato la palese inconsistenza di tali asserzioni richiamando la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'esecuzione di soppalchi nel corso di lavori di ristrutturazione interna di un edificio comporta l'aumento della superficie e la realizzazione di un edificio in parte diverso, così che sussiste l'obbligo di richiedere il permesso di costruire, o in alternativa, la DIA, la cui mancanza integra gli estremi del reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 (RV. 235966; RV. 236058) e puntualizzando che, in tema di reati edilizi, è legittimo il sequestro preventivo di un immobile nel quale sono realizzate opere interne che ne abbiano comportato il mutamento della destinazione d'uso, realizzandosi in questo caso un'ipotesi di aggravamento del carico urbanistico (sezione 4, n. 34976/2010 RV. 248345). Pertanto non merita censura la decisione di rigetto per la necessità di ovviare al pericolo che la libera disponibilità dei beni da parte dell'indagata potesse portare a conseguenze ulteriori il reato mediante la prosecuzione dell'attività illecita.
Grava sulla ricorrente l'onere delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000, equitativamente liquidata, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011