Cass. Sez. III n. 15895 del 18 aprile 2016 (Ud 24 feb 2016)
Pres. Amoresano Est. Andreazza Ric. Aldegani
Urbanistica.Abuso edilizio e dolo

Premesso che il dolo caratterizzante il reato di abuso di ufficio è quello "intenzionale", va rammentato che la prova dello stesso deve essere ricavata da elementi ulteriori rispetto al comportamento "non iure" osservato dall'agente, che evidenzino la effettiva "ratio" ispiratrice del comportamento dell'agente, giacché la condotta illecita deve essere posta in essere al preciso scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per altri

RITENUTO IN FATTO

1. A.M. ha proposto ricorso nei confronti della sentenza della Corte d'Appello di Milano di conferma della sentenza del Tribunale di Lecco di condanna per il reato (residuato all'esito del giudizio di primo grado) di cui all'art. 323 c.p. per avere, quale responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), emanando permesso di costruire in sanatoria in violazione di norme di legge, procurato ingiusto profitto alla Edilca s.r.l., risultando l'opera da sanare in contrasto con le N.t.a. del comune di Verderio Inferiore in quanto di altezza superiore a metri otto.

Dopo avere riassunto il contenuto dell'atto d'appello, lamenta con un primo motivo la contraddittorietà della motivazione in ordine all'applicazione della normativa comunale in materia di altezza e della L.R. n. 12 del 2005, artt. 63 e ss.. Deduce in particolare che nella sentenza impugnata manca alcun richiamo a quanto dedotto dall'imputato in ordine all'applicazione della normativa sull'altezza vigente nel comune e sull'applicazione della L.R. Lombardia. In altri termini nessuna motivazione è stata data in relazione alla funzione dell'elemento strutturale, alla non necessità del parere della commissione paesaggio; alla legittimità del recupero del sottotetto ai fini abitativi ed infine al calcolo dell'altezza del fabbricato.

Contesta inoltre la valorizzazione in senso sfavorevole al ricorrente della scomparsa dell'elemento strutturale nel progetto relativo al recupero dei sottotetto posto che tale eliminazione è prevista dalla norma che contempla la possibilità di alzare la copertura al fine di arrivare all'altezza media ponderale di metri 2 e 40 sicchè la rimozione dell'elemento strutturale diventa elemento essenziale del progetto di recupero stesso. E sotto tale profilo l'imputato, in quanto tecnico comunale, non era tenuto a controllare il progetto strutturale dell'edificio, e quindi la stabilità dello stesso, ma unicamente l'approvabilità del progetto architettonico rispettoso della normativa edilizia. Contesta inoltre il fatto che, secondo la sentenza impugnata, fosse necessario occultare la realtà delle opere che si stavano realizzando al fine di fruire della normativa relativa al recupero del sottotetto intervenuta nel frattempo, posto che la stessa risaliva in ogni caso al maggio del 1996. Inoltre la sentenza impugnata non avrebbe considerato che l'art. 3.8 N.t.a. prevede la possibilità di realizzare sottotetti con altezza inferiore od uguale a metri 2,20. Tanto più che il piano sottotetto non poteva essere considerato abitabile come affermato nella sentenza di primo grado ripresa da quella d'appello. In altri termini, con il piano sottotetto, non computabile volumetricamente, l'Edilca poteva comunque realizzare il recupero del sottotetto nel rispetto della legge regionale alzando il colmo e la gronda raggiungendo così l'intento di avere un terzo piano abitabile. Se è vero che con l'eliminazione dell'elemento strutturale si è effettuato il recupero del sottotetto, ciò è ugualmente avvenuto con la modifica dell'altezza di gronda e di colmo e il recupero volumetrico sarebbe intervenuto ai sensi della L.R. n. 12 del 2005, art. 63, comma 2 e non certamente a causa di un abuso o di un'errata interpretazione della normativa da parte dell'imputato. Inoltre la pratica di sanatoria non si è discostata da quanto rilevato dall'Arch.

A. in tale sopralluogo e non ha inteso sanare altre asserite violazioni al permesso di costruire che ad oggi risulta ancora legittimo e per il quale non è stato rilevato alcun vizio. Il lieve aumento del fabbricato sanato con il permesso di costruire non ha nulla a che vedere con l'altezza, il sottotetto e l'elemento strutturale divisorio ma ha sanato le difformità rispetto a tale permesso di costruire. In definitiva, la sentenza impugnata non ha provveduto ad una puntuale motivazione rimandando completamente alla sentenza di primo grado.

2. Con un secondo motivo lamenta l'illogicità della motivazione della sentenza con riferimento all'eccepita mancanza del dolo intenzionale; segnatamente la sentenza non ha fatto sul punto alcun riferimento a quanto sollevato con l'atto di appello. Aggiunge come da un lato la attività del tecnico comunale al momento dell'approvazione del progetto sia meramente cartolare e dall'altro la sentenza abbia trascurato di considerare le conclusioni della sentenza del Tar che ha ritenuto assente ogni violazione della normativa urbanistica da parte dell'imputato. Non è stata raggiunta alcuna prova circa le pretese scorrette modalità delle verifiche condotte dall'imputato. Anche l'affermazione dei benefici economici ricavati dall'impresa edilizia destinataria del provvedimento sarebbe erronea posto che anzi è stata applicata la sanzione prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34.

3. Con un terzo motivo infine lamenta che la sentenza abbia fatto decorrere il termine di prescrizione non dal 17/7/2004 quale data di rilascio del permesso a costruire, rappresentativo in tesi accusatoria dell'abuso edilizio, bensì dal 13/3/2007 quale data del provvedimento in sanatoria, in tal modo escludendo la maturazione della prescrizione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, riportando estesamente, a pagg.8-11, in particolare i rilievi esposti dal consulente tecnico del P.M., ha diffusamente e motivatamente dato conto, in aderenza alla normativa comunale e a quella regionale, delle ragioni per le quali l'opera da sanare, di altezza superiore a metri otto, fosse in definitiva in contrasto con le N.t.a. del Comune, mentre le deduzioni del ricorrente, oltre a riproporre le argomentazioni già logicamente ed esaustivamente disattese dalla Corte territoriale, ha in realtà invocato una diversa lettura degli elementi tecnici già considerati dalla sentenza e delle conseguenti conclusioni cui se ne vorrebbero contrapporre altre; sennonchè, come già ripetutamente spiegato da questa Corte, il sindacato della Cassazione è quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa, pur dopo le modifiche introdotte con la L. n. 46 del 2006, quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893) 5. E' invece fondato il secondo motivo: premesso che il dolo caratterizzante il reato di abuso di ufficio è quello "intenzionale", va rammentato che la prova dello stesso deve essere ricavata da elementi ulteriori rispetto al comportamento "non iure" osservato dall'agente, che evidenzino la effettiva "ratio" ispiratrice del comportamento dell'agente (Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015, Adamo, Rv. 264280), giacchè la condotta illecita deve essere posta in essere al preciso scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sè o per altri (Sez. 3, n. 10810 del 17/01/2014, Altieri ed altri, Rv. 258893), La sentenza si è sul punto limitata a richiamare la "tutt'altro che trascurabile entità delle violazioni commesse" e "i rilevanti benefici economici procurati all'impresa edilizia", tra i quali quelli relativi agli oneri di urbanizzazione, senza chiarire perchè tali aspetti, lungi dall'essere compatibili con un dolo anche solo generico, dovrebbero essere univocamente indicativi dello scopo di favorire l'impresa costruttrice, sui cui eventuali legami o rapporti con l'imputato nulla è dato sapere.

La sentenza andrebbe dunque annullata con rinvio per nuova motivazione sul punto; sennonchè la prescrizione del reato, nelle more intervenuta per decorso del termine scaduto in data 13/09/2014 (anche a volere, come contestato dal ricorrente, considerare la data di consumazione del 13/03/2007 indicata in imputazione) osta all'annullamento posto che il conseguente rinvio all'esame del giudice di merito è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 c.p.p. (da ultimo, Sez. 3, n. 23260 del 29/04/2015, Gori, Rv. 263668); sicchè la sentenza impugnata deve essere, da un lato, annullata senza rinvio per essere il reato (unico residuato già all'esito del giudizio di primo grado) estinto appunto per prescrizione e, dall'altro, quanto alle statuizioni civili adottate (nella specie la condanna dell'imputato, confermata in appello, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile), annullata con rinvio ai fini civili al giudice civile competente per valore in grado d'appello (da ultimo, Sez. 5, n. 594 del 16/11/2011, Perrone, Rv. 252665; Sez. 5, n. 15015 del 23/02/2012, P.G. e p.c. in proc. Genovese, Rv. 252487).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il residuo reato di cui al capo a) è estinto per prescrizione e con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello in ordine alle statuizioni civili.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2016