Cass. Sez. III n. 11783 del 21 marzo 2023 (UP 2 feb 2023)
Pres. Ramacci Est. Pazienza Ric. Longo
Urbanistica.Ambito di applicazione articolo 38 TU Edilizia

La procedura di “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio prevista dall’art. 38 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, essendo finalizzata a tutelare l’affidamento di chi ha realizzato l’intervento edificatorio in base a un titolo successivamente annullato, non è applicabile agli interventi per i quali sia stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria dichiarato illegittimo dal giudice penale, in quanto in tal caso l’edificazione è avvenuta in assenza di titolo abilitativo

RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza del 23/09/2022, la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato l’istanza, proposta da LONGO Cesare, di annullamento o revoca (previa sospensione) dell’ingiunzione a demolire  emessa dalla Procura Generale della Corte di Appello palermitana: ingiunzione relativa ad un capannone sito in Partinico, per la cui realizzazione il LONGO era stato condannato nel 1997 dal Pretore di Palermo – Sez. dist. Partinico, con sentenza confermata dalla Corte territoriale (sent. in data 08/03/1999, divenuta irrevocabile).
    2. Ricorre per cassazione il LONGO, a mezzo dei propri difensori, deducendo:
    2.1.  Violazione di legge con riferimento alla mancata considerazione dei documenti prodotti, all’udienza camerale, in relazione alla produzione dell’effetto estintivo del reato di cui all’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001. In particolare, si richiama il contenuto della relazione tecnico estimativa redatta dall’Agenzia delle Entrate, in cui si era dato atto di quanto accertato dall’ufficio tecnico del comune di Balestrate sia in ordine alla parziale conformità dell’immobile ai parametri urbanistici della zona dell’epoca di realizzazione (maggiore edificazione mari a mq 61,29) e alla conformità in vigenza al P.R.G. redatto dal comune di Partinico e a quello del comune di Balestrate redatto dal commissario ad acta; sia in ordine al pregiudizio statico-sismico che deriverebbe dalla demolizione parziale del manufatto, per ridurre la superficie edificata. Su tali basi, la difesa deduce l’errore della Corte territoriale che aveva considerato irrilevante il procedimento ex art. 38, nonostante quest’ultimo si fosse già positivamente concluso, alla data dell’udienza camerale, per effetto del pagamento, da parte del LONGO, della sanzione pecuniaria quantificata dall’Agenzia delle Entrate. Ignorando tale documentazione, la Corte territoriale non aveva preso atto del verificarsi di effetti analoghi a quelli derivanti dalla sanatoria ex art. 36, con la conseguente illegittimità del mantenimento della demolizione.
    La difesa sottolinea altresì che era stato lo stesso consulente tecnico nominato dalla Procura Generale ad evidenziare il legittimo affidamento che si era prodotto, in capo al LONGO, per effetto della concessione in sanatoria rilasciatagli nel 1998 e successivamente annullata: era dunque emersa la buona fede del ricorrente, negata dalla Corte territoriale nel provvedimento impugnato.  
    2.2. Vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello totalmente obliterato il tema della fattispecie ex art. 38. Si censura il richiamo “anacronistico” al parere espresso dalla Procura Generale nel gennaio 2021, ovvero mesi prima dell’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria e della conseguente definizione del procedimento, con i medesimi effetti indicati nell’art. 36 d.P.R. n. 380.
    3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita il rigetto del ricorso, osservando che la motivazione dell’ordinanza appariva immune dai vizi denunciati e sottolineando il carattere fattuale delle questioni poste a proposito dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
    2. Emerge pacificamente dagli atti che l’ingiunzione a demolire, oggetto della richiesta di revoca respinta con il provvedimento oggi impugnato, riguarda un capannone sito in Partinico per la cui realizzazione il LONGO era stato condannato dal Pretore di Palermo – Sez. dist. di Partinico con sentenza del 03/10/1997, parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Palermo con sentenza del 08/03/1999 (irrev. il 23/09/1999), alla pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda in relazione al reato continuato di cui agli artt. 20 lett. c), l. n. 47 del 1985 e 13, 14 l. n. 1086 del 1971 (cfr. il certificato penale in atti). Nel confermare l'affermazione di penale responsabilità, la Corte d'Appello aveva in tale occasione dichiarato l’illegittimità della concessione in sanatoria ottenuta dal LONGO in data 19/10/1998, ovvero durante la pendenza del giudizio di secondo grado (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
     Altrettanto pacifico è il fatto che l’odierno ricorrente, dopo il rigetto nel maggio 2020 di un’istanza di revoca dell’ordine di demolizione, ha presentato nel successivo mese di giugno una richiesta ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n 380 del 2001, in forza della quale ha poi proposto, con incidente di esecuzione del 23/10/2020, una ulteriore “domanda al fine di ottenere l’annullamento e/o la revoca della ingiunzione a demolire, previa sospensione della medesima”: domanda che la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato, con l’ordinanza impugnata in questa sede.
    3. In particolare, la Corte d’Appello – esprimendo piena adesione al parere contrario del Procuratore Generale, ampiamente richiamato nel provvedimento – ha escluso la sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 38, in considerazione della mancanza, da un lato, della “buona fede” del condannato (che aveva proposto la relativa istanza oltre venti anni dopo aver avuto notizia della illegittimità della concessione in sanatoria ottenuta nel 1998).
    D’altro lato, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente anche l’altro presupposto costituito dalla “impossibilità della riduzione in pristino”, non essendo stato prospettato – a tale specifico riguardo - alcun tipo di impedimento o di rischio, da parte del consulente nominato dalla Procura Generale, nell’ambito del procedimento volto a dare attuazione all’ordine di demolizione (cfr. pagg. 2-3 dell’ordinanza impugnata).
    Ritiene il Collegio che le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’Appello, imperniate sulla radicale inapplicabilità dell’art. 38 alla fattispecie in esame, debbano essere condivise, con le precisazioni che, qui di seguito, verranno esposte.
    4. Com’è noto, l’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 prevede, al comma 1, che “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”. Ai sensi del successivo comma 2, “l'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 (comma 2)”.
    Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, si è chiarito che con le disposizioni dettate dall’art. 38 «il legislatore ha inteso salvaguardare l'affidamento del soggetto che ha realizzato la costruzione in forza di titolo poi annullato» (Sez. 3, n. 37401 del 26/04/2012, Lodeserto, § 6.1 della motivazione).  In altri termini, il tenore letterale della locuzione “in caso di annullamento del permesso di costruire”, con cui si apre il comma 1, impone di ritenere che, nell’ambito applicativo dell’art. 38, rientrino le sole fattispecie in cui l’intervento edilizio sia stato realizzato in forza di un titolo abilitativo all’uopo precedentemente richiesto da un soggetto che abbia confidato sulla sua legittimità, ma che ne abbia successivamente subìto l’annullamento. Del resto, la stessa rubrica dell’art. 38 appare significativa nel riferirsi agli “interventi eseguiti in base a permesso annullato”.
    4.1. Tali conclusioni hanno ricevuto una definitiva conferma da un recente intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale «il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria» (Cons. Stato, Ad. Pl. 15/07/2020, n. 17, § 4 della motivazione).
    A tale ultimo proposito, il massimo organo della giustizia amministrativa ha ulteriormente precisato – tracciando una netta distinzione tra l’istituto in esame e quello dell’accertamento di conformità, di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 -  che «l’equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi» (§ 4.1 della motivazione).
    Su tali basi, l’Adunanza Plenaria ha risolto la questione controversa che le era stata prospettata, concernente la portata applicativa di uno dei presupposti per l’operatività dall’art. 38, costituito dalla impossibilità della “rimozione dei vizi delle procedure amministrative”: questione risolta nel senso che «i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione».
    Nel disattendere l’opposta linea interpretativa, volta a ricomprendere nella rivalutazione ex art. 38 anche i vizi di natura sostanziale che abbiano determinato l’annullamento di un permesso di costruire, l’Adunanza Plenaria ha tra l’altro precisato che «la tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito» (§ 7.1 della motivazione).
    Gli insegnamenti dell’Adunanza Plenaria sono stati ribaditi dalla successiva elaborazione della giurisprudenza amministrativa: cfr. nello stesso senso, da ultimo, Cons. St., Sez. VI, sent. n. 136 del 04/01/2023.
    5. Applicando i principi fin qui esposti alla fattispecie in esame, appare evidente l’impossibilità di ricondurre quest’ultima nell’alveo dell’art. 38, non solo per il “difetto di buona fede” del LONGO posto in evidenza dalla Corte d’Appello - secondo cui l’odierno ricorrente ha inteso “reagire” all’avvio del procedimento per l’esecuzione della demolizione presentando una richiesta ex art. 38 oltre venti anni dopo aver avuto notizia, dalla decisione ormai irrevocabile del giudice penale, della illegittimità della concessione in sanatoria (cfr. supra, § 2) – ma anche, ed anzi prima ancora, per l’assoluta estraneità della fattispecie all’ambito applicativo della norma invocata, se correttamente individuato alla luce degli insegnamenti giurisprudenziali precedentemente richiamati.
    È invero pacifico che il manufatto non è stato realizzato in forza di un titolo abilitativo successivamente annullato, ma comunque idoneo a fondare nel LONGO un affidamento sulla legittimità del proprio intervento: situazione che avrebbe reso ammissibile, ed anzi giustificato, il ricorso a quel che l’Adunanza Plenaria ha definito, nella sentenza già più volte citata, una «eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi» (sent. n. 17 del 2020, cit., § 4.2.1. della motivazione).
    Al contrario, è stata l’edificazione sine titulo ad aver determinato nel 1997 la condanna in primo grado del LONGO, e la definitiva affermazione della sua responsabilità penale in grado d’appello, con una sentenza del 1999 che ha sancito l’illegittimità della concessione in sanatoria ottenuta medio tempore (nel 1998) dall’odierno ricorrente (cfr. supra, § 2).
    6. Le considerazioni fin qui svolte rendono ultroneo ogni ulteriore approfondimento in ordine, anzitutto, all’ulteriore rilievo della Corte d’Appello relativo all’insussistenza di ragioni ostative alla demolizione. Rilievo che peraltro appare immune da censure qui deducibili, essendo stato formulato valorizzando l’insussistenza di condizioni ostative da parte del consulente dell’accusa nell’ambito del procedimento per l’esecuzione della demolizione, e che non potrebbe ritenersi vulnerato dalle censure difensive imperniate sul pregiudizio statico-sismico che deriverebbe dalla demolizione della parte eccedente i parametri urbanistici dell’epoca di realizzazione (cfr. pag. 2 del ricorso).
    Altrettanto ultroneo appare ogni approfondimento in ordine all’esito del procedimento ex art. 38, in relazione al quale la difesa ha lamentato un difetto di motivazione da parte della Corte territoriale: trattasi infatti di questione assorbita dalla radicale estraneità della fattispecie, per le ragioni in precedenza esposte, all’ambito applicativo delle disposizioni contenute nel predetto articolo.
    7. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 2 febbraio 2023