Cass. Sez. Fer. n. 34397 del 21 settembre 2011 (Ud 13 set. 2011)
Pres. Chieffi  Est. Ramacci Ric. Calcagno
Urbanistica. Chiusura piano pilotis

L'innalzamento dell'altezza dal suolo ed il tamponamento con conseguente chiusura del “piano pilotis” di un preesistente edificio richiedono, per la loro esecuzione, il preventivo rilascio del permesso di costruire, configurando un intervento di ristrutturazione edilizia che determina la realizzazione di nuovi volumi, nuove unità immobiliari e la modifica della sagoma e delle superfici.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. Feriale


Composta dagli lll.mi Sigg.:

Dott. SEVERO CHIEFFI
Dott. ANNA MARIA FAZIO
Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Dott. LUCA VITELLI CASELLA
Dott. LUCA RAMACCI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da
l) CALCAGNO VINCENZO N. IL 12/07/1950
avverso la sentenza n. 516/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del 13/04/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/09/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13 aprile 2011, la Corte d'Appello di Messina confermava la decisione con la quale, il Tribunale di Messina – Sezione Distaccata di Taormina, condannava CALCAGNO Vincenzo per il reato di cui all’articolo 44, lettera b) D.P.R.  380\01 concretatosi nella realizzazione, in assenza di permesso di costruire, di un intero piano terra mediante scavo rispetto al livello di posa di preesistente manufatto con conseguente ricavo di maggiore altezza.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, affermando che doveva ritenersi nullo il decreto di citazione a giudizio in quanto l'imputazione originaria era stata modificata dal PM in udienza e, in ogni caso, non recava la precisa enunciazione del fatto come, a suo dire, risultato all’esito dell’istruzione dibattimentale.

Con un secondo motivo di ricorso  deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando come, nel corso del dibattimento, sarebbe stato dimostrato che le opere in contestazione non erano state realizzate ex novo ed erano comunque conformi al progetto originario, come riferito dai testi escussi e dallo stesso imputato nel corso dell’esame cui si era sottoposto, cosicché le diverse affermazioni dei giudici del gravame palesavano un evidente contraddittorietà della motivazione, anche perché non poteva ritenersi realizzato, nel 2006, il piano terreno di un fabbricato di più piani per il quale, già nel 1988, era stata riconosciuta l’abitabilità.

Con un terzo motivo di ricorso  deduceva la violazione di legge osservando come la Corte del merito avrebbe dovuto dichiarare estinto il reato per sanatoria conseguente a “condono edilizio”, presentando l’immobile tutti i requisiti richiesti dalla legge per l’applicazione della relativa disciplina ed essendo documentata la data di ultimazione dei lavori dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà allegata alla domanda di condono.

Aggiungeva che, in ogni caso, ai sensi della Circolare esplicativa 7 dicembre 2005 del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, l’effetto estintivo penale doveva ritenersi prodotto semplicemente in presenza dei presupposti previsti dalla legge per il condono, indipendentemente dal formale rilascio della sanatoria amministrativa.

Aggiungeva che, in ogni caso, i giudici del gravame avrebbero dovuto procedere alla sospensione del procedimento in pendenza della domanda di condono e che la decisione impugnata si basava su un’erronea valutazione dei dati documentali acquisiti e non aveva tenuto conto delle allegazioni difensive.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.



MOTIVI DELLA DECISIONE



Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre in primo luogo chiarire, per una migliore comprensione della vicenda processuale, l’oggetto della contestazione alla luce delle indicazioni fornite dalla decisione impugnata e da quella del primo giudice che la Corte territoriale richiama, nonché dalle stesse considerazioni svolte in ricorso.

L’immobile, preesistente, sul quale sono stati eseguiti gli interventi riconosciuti come abusivi, è un palazzo a più piani recante, al primo livello, un piano pilotis originariamente destinato a porticato ed escluso dalla cubatura complessiva in ragione dell’altezza.

Il piano terra ritenuto abusivo veniva realizzato mediante scavo finalizzato al ricavo di maggiore altezza ed iniziando la chiusura mediante tamponamenti esterni.

Così individuato l’oggetto della contestazione, appare di tutta evidenza che la stessa risulta correttamente formulata e non presenta alcuna indeterminatezza.

Lamenta, infatti, il ricorrente che tale nullità deriverebbe dalla circostanza che l’originaria contestazione riportata, indicante l'altezza del piano pilotis in 2,20 metri, era stata in realtà modificata dal Pubblico Ministero  d'udienza indicando la diversa altezza di m.2,80.

Non si vede pertanto quale incertezza abbia indotto nell’imputato tale precisazione e quale pregiudizio possa essergliene derivato, posto che il fatto storico e le violazioni contestate sono rimasti invariati e l'organo dell'accusa si è limitato esclusivamente ad indicare una diversa altezza ponendo verosimilmente rimedio ad un errore materiale.

In ogni caso, deve ricordarsi che la nullità del decreto che dispone il giudizio per insufficiente enunciazione del fatto ha natura relativa e deve essere pertanto eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 C.P.P. (cfr. Sez. V n. 20739, 1 giugno 2010 ed altre prec. conf.) , mentre il ricorrente, a quanto risulta dal provvedimento impugnato, l'ha dedotta solo nell'atto di gravame.   

Del tutto infondata appare, inoltre, l’ulteriore doglianza secondo la quale detta imputazione avrebbe dovuto essere diversamente formulata tenendo conto di quanto emerso nel corso del dibattimento poiché, al di là di ogni ulteriore considerazione in merito, è sufficiente osservare che la fondatezza della ipotesi accusatoria era stata riconosciuta dal primo giudice, il quale, infatti, aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato.

Anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso appare di macroscopica evidenza.

I giudici del merito hanno infatti inequivocabilmente chiarito, come si è già detto, quale fosse la condotta contestata al prevenuto e per la quale lo stesso è stato riconosciuto colpevole.

Tali conclusioni appaiono del tutto conformi a legge ed immuni da qualsivoglia cedimento logico.

Come è noto, infatti, il piano pilotis è quello che comprende gli elementi di sostegno di un fabbricato i quali, a mo’ di palafitta (come indica il termine francese utilizzato), sono collocati per isolarlo completamente dal terreno, consentendo così l'utilizzazione del suolo.

Nella fattispecie, come si è detto, la destinazione originaria di questo piano era a portico.

E’ dunque indubitabile che un intervento, consistente nell’aumento dell’altezza originaria dal suolo del piano pilotis e la contestuale sua tamponatura, determini la creazione di nuovi volumi e di nuove unità immobiliari nonché la modifica dell’aspetto esteriore dell’edificio e richieda pertanto, per la sua esecuzione, il rilascio del permesso di costruire, collocandosi nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, lettera c) D.P.R. 380\01  

Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale l'innalzamento dell'altezza dal suolo ed il tamponamento con conseguente chiusura del “piano pilotis” di un preesistente edificio richiedono, per la loro esecuzione, il preventivo rilascio del permesso di costruire, configurando un intervento di ristrutturazione edilizia che determina la realizzazione di nuovi volumi, nuove unità immobiliari e la modifica della sagoma e delle superfici.   

Manifestamente infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso .

Correttamente i giudici del gravame hanno escluso l’applicabilità della disciplina relativa al condono edilizio.

Va a tale proposito ricordato che, in materia di condono edilizio, la costante giurisprudenza di questa Corte (v., tra le più recenti, Sez. III n.38071, 16 ottobre 2007 ed altre prec. conf.) riconosce al giudice il potere - dovere di controllare la sussistenza delle condizioni di applicabilità del condono, trattandosi di attività strettamente connessa all'esercizio della giurisdizione, il cui mancato esercizio determina inevitabilmente ed inutilmente la dilatazione dei tempi del processo.

In via meramente esemplificativa si è ulteriormente precisato che  devono costituire oggetto del controllo giudiziale la data di esecuzione delle opere, il rispetto dei limiti volumetrici, le eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla sanatoria e la tempestività della presentazione, da parte di soggetti legittimati, di una domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate nel capo di imputazione.

Poiché i giudici del merito hanno dato atto, in base alle risultanze dell’istruzione dibattimentale, dell'assenza del requisito temporale per la concessione della sanatoria, avendo verificato che gli interventi erano in corso di esecuzione alla data dell’accertamento (la sentenza di primo grado evidenzia che a tale data era ancora in corso la tamponatura laterale del piano) correttamente hanno omesso di procedere alla sospensione del procedimento ed, altrettanto correttamente, hanno escluso l’applicabilità, nella fattispecie, della Legge 326\03 sul condono edilizio.

Tenuto conto della data di consumazione del reato come sopra accertata, occorre rilevare che non risulta neppure spirato il termine massimo di prescrizione dovendosi aggiungere al termine decorrente da detta data le plurime sospensioni conseguenti ad adesione del difensore alla astensione dalle udienze (25 giorni dal 2.4.2009 al 27.4.2009) e ad istanze di rinvio del dibattimento da parte del difensore (mesi 2 e giorni 15 dal 9.7.2009 al 24.9.2009 e mesi 1 e giorni 11 dal 24.9.2009 al 12.11.2009).  

A nulla rileva il diverso contenuto della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà proveniente dal soggetto interessato al conseguimento della sanatoria.

Si tratta pur sempre, invero, di una mera dichiarazione che il privato rende al pubblico ufficiale e che, sebbene riceva dalla legge un'attribuzione di pubblica fede, questa le deriva non tanto dal contenuto della dichiarazione quanto dal soggetto (il pubblico ufficiale) che la riceve e, per tale ragione, ben può essere smentita da dati obiettivi risultanti dall’accertamento giudiziale dei requisiti di condonabilità, con l'ulteriore conseguenza che la falsa attestazione potrà integrare il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico.

Per le medesime ragioni, detta dichiarazione non può ritenersi idonea all'assolvimento dell'onere probatorio che incombe sull'imputato allorquando, accertata la commissione del reato in data successiva a quella fissata dalla legge come termine per ottenere il condono, invochi l'applicazione della speciale causa estintiva (v. Sez. III n. 12918, 27 marzo 2008 ed altre prec. conf.).

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.   


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00  in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il13 settembre 2011


Il Consigliere Estensore                  Il Presidente                                                             
(Dott. Luca RAMACCI)                    (Dott. Severo CHIEFFI)




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