Cass. Sez. III n. 51820 del 16 novembre 2018 (UP 28 set 2018)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. Lancellotti ed altri
Urbanistica.Confisca terreni abusivamente lottizzati e divieto di reformatio in pejus

Il giudice dell’appello, in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, non può ordinare la confisca dei terreni abusivamente lottizzati non disposta dal primo giudice, ostandovi il divieto di reformatio in pejus, sebbene all’omissione possa ovviarsi in sede esecutiva in ragione di quanto disposto dall’art. 676 cod. proc. pen.   



RITENUTO IN FATTO


1. La Corte d'Appello di Napoli con sentenza del 22 ottobre 2015 ha riformato la sentenza del Tribunale di quella città emessa il 26/3/2014 ed appellata da Elvira LANCELLOTTI, Salvatore CARELLA, Giovanna CARELLA, Isaia CARELLA, Carmine CARRELLA, Vincenzo SIMEOLI, Salvatore RIVIECCIO e Franco RIVIECCIO, dichiarando non doversi procedere nei confronti di costoro in ordine ai capi a), b), c), d), f), g) ed h), come rispettivamente ascritti, perché estinti per intervenuta prescrizione e rideterminando la pena nei confronti di Salvatore RIVIECCIO e Vincenzo SIMEOLI per la residua imputazione di cui al capo e), revocando l'ordine di demolizione e di ripristino, disponendo la confisca dell'area lottizzata confermando nel resto l'impugnata sentenza.
L'imputazione aveva ad oggetto l'abusiva lottizzazione, a scopo edificatorio, di un terreno classificato come agricolo attraverso il frazionamento e la vendita di più lotti e la realizzazione di opere in violazione degli articoli 44 lettere b) e c), 64, 65, 71, 83, 95 d.P.R. 380/2001, nonché il reato di violazione di sigilli di cui all'articolo 349 cod. pen. ascritto a Salvatore RIVIECCIO e Vincenzo SIMEOLI.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono ricorso per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Elvira LANCELLOTTI, Salvatore CARELLA, Giovanna CARELLA, Isaia CARELLA, Carmine CARRELLA e Vincenzo SIMEOLI con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge e la nullità della sentenza di primo grado per inesistenza della motivazione, osservando che la decisione conterrebbe riferimenti a persona diversa dagli imputati ed indicherebbe erroneamente l'area interessata dai lavori come sottoposta a vincolo ambientale, mentre, in relazione alla determinazione della pena, formulerebbe un computo incomprensibile e, comunque, diverso da quello indicato in dispositivo. Censurano pertanto la pronuncia della Corte territoriale la quale avrebbe ritenuto di poter comunque sopperire alla mancanza di motivazione con la propria decisione.

2.1. Con un secondo motivo di ricorso rilevano la violazione di legge, osservando che il giudice di primo grado non avrebbe disposto la confisca dell’area lottizzata e che, pertanto, la Corte d’appello, nel confermare la confisca, in realtà mai disposta, sarebbe incorsa nella violazione del divieto di reformatio in pejus.

2.2. Con un terzo motivo di ricorso lamentano il vizio di motivazione in ordine alla conferma della condanna inflitta a Vincenzo SIMEOLI per il delitto di violazione di sigilli, in quanto a sostegno della affermazione di responsabilità sarebbe stata indicata dai giudici del merito la sola circostanza che l'imputato, in quanto imprenditore edile, sarebbe titolare della ditta che aveva realizzato i lavori sull'area di pertinenza di Salvatore RIVIECCIO.

3. Franco RIVIECCIO e Salvatore RIVIECCIO deducono, con un primo motivo di ricorso, la insussistenza della motivazione, indicando le stesse ragioni prospettate dagli altri imputati ed osservando che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l'omessa pronuncia da parte del primo giudice e rimettere gli atti allo stesso anziché provvedere direttamente.

3.1. Con un secondo motivo di ricorso osservano che il giudice di primo grado non avrebbe formulato alcuna pronuncia in ordine alla confisca dell'area lottizzata, rilevando pertanto la violazione del divieto di reformatio in pejus dedotta anche degli altri ricorrenti.

3.2. Con un terzo motivo di ricorso lamentano che i giudici del gravame, confermando la sentenza di primo grado, avrebbero di fatto negato il beneficio della non menzione a Salvatore RIVIECCIO il quale aveva formulato richiesta in tal senso con i motivi di gravame.
Tutti insistono, pertanto, nell'accoglimento dei rispettivi ricorsi.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. I ricorsi sono in parte fondati, per le ragioni di seguito specificate.

2. Nel primo motivo di entrambi i ricorsi vengono formulate identiche censure, che sono tuttavia  infondate.
La Corte territoriale ha infatti correttamente aderito alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito, ormai da tempo, che anche la la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, poiché lo stesso può provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, P.G. in proc. Amorico e altri, Rv. 271735; Sez. 6, n. 26075 del 8/6/2011, B., Rv. 250513; Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008 (dep.2009), R., Rv. 244118).  
In tal senso ha dunque operato la Corte di appello, sopperendo alle rilevate carenze motivazionali.

3. Anche nel secondo motivo di entrambi i ricorsi le censure attengono alla medesima questione, lamentandosi la violazione del divieto di reformatio in pejus conseguente alla conferma di una confisca che si assume mai disposta dal primo giudice.
Orbene, deve ritenersi che, seppure il giudice di appello, quando provvede ad integrare o redigere ex novo la motivazione della sentenza, abbia una devoluzione totale, con conseguente potere-dovere di esaminare completamente nel merito la vicenda, redigendo una motivazione esauriente sotto tutti i profili (Sez. 6, n. 24059 del 14/5/2014, P.M. in proc. Spigarelli, Rv. 259979; Sez. 5, n. 43170 del 25/9/2012, P.M. in proc. Singh, Rv. 254131; Sez. 6, n. 26075 del 8/6/2011, B., Rv. 250513) resti comunque vincolato dal dispositivo emesso dal primo giudice, che costituisce la manifestazione espressa dell’esito del giudizio di primo grado, che si è comunque svolto e si è concluso con una decisione legittimamente adottata, alla quale tuttavia, non ha fatto seguito la necessaria indicazione delle ragioni che hanno condotto  il giudice a quell’epilogo, mancanza alla quale sopperisce, appunto, il giudice dell’impugnazione.
Dalla sentenza di primo grado, emerge tuttavia, a tale proposito, che il giudice di primo grado,  pur ritenendo sussistente la lottizzazione abusiva, ha ordinato la demolizione delle opere illecitamente realizzate e la rimessione in pristino dei luoghi, ma ha omesso di ordinare la confisca.
Il Pubblico Ministero non ha impugnato la decisione.
Va a tale proposito considerato che, secondo quanto già affermato da questa Corte, in una simile situazione, il giudice d'appello, anche quando la misura di sicurezza sia obbligatoria e sia stata illegittimamente esclusa o non ritenuta dal primo giudice, non può disporla, modificando in danno dell'imputato la sentenza da quest'ultimo impugnata, in quanto l'art. 597 cod. proc. pen., comma 3, estende il divieto di reformatio in peius anche all'applicazione di una misura di sicurezza nuova o più grave, a differenza dell'art. 515 cod. proc. pen. del 1930, comma 3, che riferiva il divieto in esame solo all'applicazione di pene ed alla revoca di benefici e non anche alle statuizioni relative alle misure di sicurezza (Sez. 3, n. 12999 del 12/11/2014 (dep. 2015), Vasile e altri, Rv. 262991).
Nel caso  della lottizzazione abusiva la confisca non ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, bensì di sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune, di cui all’art. 30 d.P.R. 380\01, del tutto differente dall’analogo istituto disciplinato dall’articolo 240 cod. pen. (cfr. Sez. 3, n. 38728 del 7/7/2004, Lazzara, Rv. 229608; Sez. 3, n. 41757 del 23/9/2004, Pignatiello ed altri, Rv. 230313. Nello stesso senso, Sez. 3, n. 36844 del 9/7/2009, Conto', Rv. 244923 che ne rileva, però, il carattere sanzionatorio ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, secondo il principio enunciato in relazione alla decisione “Sud Fondi” della Corte EDU), avente natura reale e non personale (v., ad es., Sez. 3, n. 37086 del 7/7/2004, Perniciaro, Rv. 230031) ed applicabile anche in caso di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato (Sez. 3, n. 16803 del 8/4/2015, Boezi e altri, Rv. 263585; Sez. 3, n. 15888 del 8/4/2015 (dep. 2016), Sannella e altro, Rv. 266628; Sez. 4, n. 31239 del 23/6/2015, Giallombardo, Rv. 264337), come avvenuto nel caso di specie.
La decisione sul punto della Corte territoriale, tuttavia, ha comunque violato il divieto di reformatio in pejus, dovendosi ritenere applicabile pure nella fattispecie il principio dianzi richiamato, anche in ragione del riconosciuto carattere sanzionatorio della misura ablativa di cui si è appena detto e, comunque, secondo una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della disciplina, che tenga conto della complessa evoluzione giurisprudenziale della materia (della quale viene dato conto in Sez. 3, n. 32363 del 24/5/2017, Mantione, Rv. 270443)    
Ciò ovviamente, non preclude la possibilità di una successiva applicazione del provvedimento ablativo, poiché può senz’altro provvedervi il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 219221) come peraltro già riconosciuto con specifico riferimento proprio alla confisca di terreni abusivamente lottizzati (Sez. 3, n. 1880 del 18/5/1999, Negro, Rv. 213851).

4. Ai richiamati principi il Collegio intende dare continuità, affermando, conseguentemente,che il giudice dell’appello, in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, non può ordinare la confisca dei terreni abusivamente lottizzati non disposta dal primo giudice, ostandovi il divieto di reformatio in pejus, sebbene all’omissione possa ovviarsi in sede esecutiva in ragione di quanto disposto dall’art. 676 cod. proc. pen.    
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio sul punto e la disposta confisca deve essere revocata.
 
5. Infondato è invece il terzo motivo del ricorso di Elvira LANCELLOTTI ed altri, ove si pone in dubbio la legittimità della conferma della affermazione di responsabilità di Vincenzo SIMEOLI per il delitto di violazione di sigilli ascrittogli, per difetto di motivazione sul punto.
Va a tale proposito osservato che la Corte di appello, lungi dal ritenere il predetto responsabile del reato solo in ragione della sua qualifica di imprenditore edile, titolare della ditta che aveva realizzato i lavori sull'area di pertinenza di Salvatore RIVIECCIO, ha posto in evidenza altri dati fattuali sicuramente rilevanti.
In particolare, i giudici del gravame hanno chiarito che egli era perfettamente a conoscenza della nomina a custode dei ben sequestrati del RIVIECCIO e che la villa di quest’ultimo era stata realizzata sul terreno di Giovanna CARELLA, moglie del SIMEOLI e che quest’ultimo, come riferito da un teste, brigadiere dei Carabinieri, all’arrivo dei militari aveva allertato, gridando, tutti gli operai per farli fuggire.
Ritiene dunque il Collegio che la Corte territoriale abbia correttamente valutato le emergenze processuali senza incorrere nel vizio denunciato.

6. Quanto, infine, al terzo motivo del ricorso di Franco RIVIECCIO e Salvatore RIVIECCIO, va rilevato che la sentenza impugnata non indica, nella parte in cui riassume i contenuti dell’atto di impugnazione, la richiesta di concessione del beneficio della non menzione in favore del secondo, che si assume disattesa dai giudici del gravame.
Tale richiesta, tuttavia, risulta espressamente formulata nell’atto di appello, sicché la censura appare fondata.
Ne consegue che l’accoglimento del motivo di ricorso dovrebbe determinare l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla concedibilità del beneficio richiesto, ma occorre rilevare che, nelle more del presente giudizio, il residuo reato di violazione di sigilli risulta travolto dalla prescrizione, maturata, rispetto alle condotte contestate, il 7/8/2016 ed il 5/3/2017, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata deve essere disposto senza rinvio in conseguenza della rilevata estinzione del reato.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al residuo reato perché estinto per prescrizione ed in relazione alla disposta confisca, che revoca.
Così deciso in data 28/9/2018