Cass. Sez. III n. 2532 del 24 gennaio 2022 (Cc 12 gen 2021)
Pres. Ramacci Est. Ramacci Ric. Esposito
Urbanistica.Demolizione e principio di proporzionalità

Il dovere di valutare il rispetto del principio di proporzionalità nella fase di esecuzione dell'ordine di demolizione di un'abitazione illegalmente edificata, secondo l'orientamento consolidato della Corte EDU, non implica un'assoluta discrezionalità del giudice, ma la necessità di rispettare alcuni precisi criteri guida.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 19 febbraio 2021 ha rigettato l'istanza presentata nell'interesse di Benito Esposito finalizzata ad ottenere la nullità ovvero la revoca dell'ingiunzione a demolire emessa contestualmente alla sentenza 21 giugno 2001 ed, ancora, a sospenderne gli effetti fino al perfezionamento della procedura estintiva o di quella relativa alla destinazione dell'immobile ad uso di residenza sociale o, comunque, fino al compimento delle attività propedeutiche di cui al provvedimento del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Napoli del 10 dicembre 2015.
La Corte di Appello ha preliminarmente rilevato la carenza di interesse sopravvenuta, essendo stato eseguito l'ordine di demolizione e, nel merito, ha ritenuto comunque infondata l'istanza.
Avverso tale pronuncia Benito Esposito propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la mancanza o illogicità della motivazione, rappresentando che non vi sarebbe alcuna prova fornita dalla parte pubblica dell'effettivo completo esaurimento della procedura ripristinatoria e che, in ogni caso, l'incidente di esecuzione era finalizzato non solo alla revoca dell'ordine di demolizione, ma anche e soprattutto alla declaratoria di inesistenza, nullità e inefficacia dell’ingiunzione emessa dalla Procura Generale oltreché all'accertamento della inammissibilità dell'azione esecutiva.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rappresentando di aver denunciato la violazione del diritto all'inviolabilità del domicilio alla luce dei principi fissati dalla corte EDU con la sentenza “Ivanova” del 21 aprile 2016 e che la Corte territoriale, nel considerare la questione prospettata, avrebbe omesso ogni valutazione sulla proporzionalità della misura della demolizione che pure era stata chiesta con l'incidente di esecuzione, contravvenendo conseguentemente ai principi affermati dalla corte EDU.
Rappresenta che, nel caso specifico, sarebbe stato documentalmente dimostrato che il ricorrente non era proprietario di alcun appartamento al di fuori di quello oggetto della procedura esecutiva ed evidenziato il pregiudizio imminente ed irreparabile che sarebbe derivato dal fatto che questi, insieme al suo nucleo familiare, era stato costretto ad abbandonare la casa familiare nella quale viveva dal 1996, nonché che sarebbero state accertate le sue gravi condizioni di salute.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

4. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre in primo luogo rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che del tutto correttamente il giudice dell’esecuzione ha rilevato la sopravvenuta carenza di interesse dell’istante in conseguenza dell’avvenuta esecuzione della demolizione.
L’esecuzione dell’ordine di demolizione, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, risulta avvenuta il 9 ottobre 2019 ed effettivamente accertata, dandone atto il provvedimento impugnato richiamando, in premessa, anche l’attestazione del consulente tecnico nella procedura esecutiva (arch. Ciro Oliviero).
Quanto alla rilevata sopravvenuta carenza di interesse in capo all’odierno ricorrente, deve osservarsi che, come è noto, colui che avanza la richiesta di procedimento di esecuzione deve essere portatore di un interesse concreto alla rimozione di un pregiudizio derivato dal provvedimento, interesse che     la Corte di appello ha legittimamente escluso sul presupposto che la procedura di esecuzione che l’incidente proposto tendeva ad inficiare era stata ormai portata a compimento con la completa demolizione del manufatto abusivo.
Il ricorrente, inoltre, non spiega di quali altri interessi giuridicamente rilevanti a dedurre la  “inesistenza, nullità ed inefficacia della ingiunzione” e la “inammissibilità della ingiunzione esecutiva” egli sarebbe portatore, palesandosi pertanto tale affermazione come del tutto generica.
Quanto appena detto evidenzia anche l’assenza di un interesse concreto in capo al ricorrente ad impugnare il provvedimento del giudice dell'esecuzione, richiesto dall'art. 568, comma 4 cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione.
Si è infatti già avuto modo di osservare - in un caso in cui l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione oggetto di ricorso per cassazione era stata dichiarata per carenza di interesse in considerazione del fatto che il condannato aveva documentato di avere già provveduto all’imposta demolizione – che l'interesse, richiesto dall'art. 568, comma 4, cod. proc. pen. deve essere collegato agli effetti primari e diretti dell'atto da impugnare e sussiste solo se il gravame è idoneo ad eliminare una decisione pregiudizievole, determinando per l'impugnante una situazione pratica più vantaggiosa di quella esistente; mentre gli interessi di mero fatto non sono apprezzabili dall'ordinamento giuridico e un provvedimento inutiliter datum, come nella specie l'ingiunzione a demolire un manufatto già demolito, privo in concreto di effettività, non è idoneo a produrre alcuna conseguenza pregiudizievole che il destinatario dell'atto abbia interesse ad eliminare (così, Sez. 3, n. 24272 del 24/3/2010, Abbagnale, Rv. 247685).

3. In ogni caso, il ricorso risulta anche manifestamente infondato.
Nel secondo motivo di impugnazione, invero, il ricorrente denuncia la violazione del diritto all'inviolabilità del domicilio e la mancata verifica, da parte del giudice dell’esecuzione, della proporzionalità della demolizione; il tutto alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Ricorda a tale proposito il Collegio come si sia affermato (Sez. 3, n. 7232 del 5/2/2020, Costante non ancora massimata), richiamando pressoché testualmente altra precedente pronuncia che aveva preso in considerazione la questione tenendo anche conto dei precedenti (Sez. 3, n. 15141 del 20/2/2019, Pignalosa, non massimata), il principio secondo il quale l'art. 8 CEDU non evidenzia alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, che afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato, non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelato dalla convenzione EDU.
La menzionata decisione è stata richiamata anche in una successiva pronuncia (Sez. 3, n. 2282 del 10/12/2020 (dep. 2021), Giovannetti, non ancora massimata).
Ancor più recentemente altra pronuncia (Sez. 3, n. 39167 del 7/9/2021, Negri, non ancora massimata) ha nuovamente analizzato nel dettaglio la giurisprudenza della Corte EDU e quella di questa Corte, affrontando anche in maniera specifica la questione della proporzionalità sulla quale insiste l’odierno ricorrente.
Quanto rilevato dalla sentenza Negri merita dunque di essere qui riproposto pressoché testualmente.
Ricorda la sentenza che il significato del principio di proporzionalità è stato oggetto di analitica e rigorosa puntualizzazione da parte della stessa Corte EDU (sent. 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania), escludendo espressamente che le condizioni personali del destinatario dell'ordine di demolizione possano avere un peso determinante per escludere la violazione del diritto del singolo al rispetto del proprio domicilio, quando questi abbia consapevolmente costruito la propria abitazione in un'area protetta senza permesso, perché, a ritenere altrimenti, si incoraggerebbe un'azione illegale a scapito della tutela dei diritti ambientali delle altre persone facenti parte della comunità. Sottolineando come, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, un ruolo rilevante doveva essere attribuito alle garanzie procedurali assicurate, e, in particolare, alla concessione all'interessato di un tempo ragionevole per effettuare la demolizione (Sez. 3, n. 35835 del 13/11/2020, Ongari non massimata).
La sentenza Negri richiama anche altra decisione (Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021), Leoni, Rv. 280270), ove si è affermato che l'obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato ed adibito ad abituale abitazione di una persona, costituisce principio rispondente all'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU ed è applicabile da parte del giudice italiano in forza di interpretazione sistematica adeguatrice. Ne consegue che il dovere di valutare il rispetto del principio di proporzionalità nella fase di esecuzione dell'ordine di demolizione di un'abitazione illegalmente edificata, secondo l'orientamento consolidato della Corte EDU, non implica un'assoluta discrezionalità del giudice, ma la necessità di rispettare alcuni precisi criteri guida. Innanzitutto, si osserva in sentenza, il principio di proporzionalità nell'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente costruito assume rilievo secondo l'orientamento consolidato della Corte EDU solo quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona di cui all'art. 8 della CEDU e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà, garantito dall'art. 1 del Prot. 1 CEDU (Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria sopra citato; Kaminskas c. Lituania sopra citato, solo in relazione all'art. 8 CEDU).
Proseguendo nell’esame della sentenza n. 423/2021, la sentenza Negri richiama l’attenzione sul fatto che l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, quando attiene ad un manufatto illegalmente edificato, è configurabile esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona e che, ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, un rilievo centrale assumono, da un lato, l'eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell'attività edificatoria da parte dell'interessato, stante l'esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente e, dall'altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione, per consentire all'interessato di "legalizzare", se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative. Inoltre, ai fini del giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dell'interessato.
Queste condizioni, però, aggiunge la sentenza Negri, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive, o perché valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione o perché esplicitamente ritenute recessive in caso di consapevolezza dell'illegalità della edificazione al momento del compimento di tale attività e di concessione di adeguati periodi di tempo per consentire la regolarizzazione, se possibile, della situazione, e per trovare una soluzione alle esigenze abitative. Pertanto, per quanto non sufficienti per evitare la demolizione della propria abitazione, le condizioni personali dell’interessato non possono essere ignorate dal giudicante ma, al contrario, vanno soppesate e devono trovare sede nella motivazione del suo provvedere.

4. Si tratta di argomentazioni del tutto condivisibili che il Collegio intende far proprie, rappresentando come, nella concreta applicazione del  “criteri guida” cui si è fatto in precedenza riferimento, il giudice dell’esecuzione deve basarsi su elementi concreti ed efficacemente dimostrati, considerando, peraltro, che la destinazione dell’immobile ad abituale abitazione presuppone che lo stesso sia effettivamente utilizzato per un considerevole lasso di tempo in assenza di soluzioni abitative alternative e che l'eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell'attività edificatoria ben può essere validamente desunta anche dalla motivazione della sentenza di condanna ovvero da condotte successive.
Fatte tali premesse deve rilevarsi, con riferimento al caso in esame, ferma restando la rilevata carenza di interesse, che le censure formulate dal ricorrente sono caratterizzate da assoluta genericità, in quanto, al di là dei diffusi richiami alla giurisprudenza, egli si limita ad affermare, senza ulteriori specificazioni, di aver “documentalmente dimostrato” di non essere proprietario di alcun appartamento oltre a quello demolito e che un pregiudizio imminente ed irreparabile gli sarebbe derivato dal fatto di essersi dovuto allontanare dalla casa nella quale viveva dal 1996, versando peraltro in gravi condizioni di salute.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 3.000,00  


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 (tremila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 12/1/2022