Cass. Sez. III n. 32020 del 31 agosto 2022 (PU 20 apr 2022)
Pres. Sarno Est. Cerroni Ric. Casciello
Urbanistica.Illegittimità della sanatoria condizionata

Deve ritenersi illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica, senza quindi che siano consentiti accorgimenti per far rientrare la stessa nell’alveo della legittimità urbanistica.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 novembre 2021 la Corte di Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza del 12 gennaio 2021 del Tribunale di Vallo della Lucania - in forza della quale gli odierni ricorrenti erano stati condannati alla pena di mesi otto di arresto ed euro quindicimila di multa per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lett. c d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo A); di cui agli artt. 110 cod. pen. e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (capo B); di cui agli artt. 110 cod. pen., 64 e 71 d.P.R. 380 del 2001 (capo C); di cui agli artt. 110 cod. pen., 65 e 72 d.P.R. 380 del 2001 (capo D); di cui agli artt. 110 cod. pen., 93 e 95 d.P.R. 380 del 2001 (capo E); di cui agli artt. 110 e 734 cod. pen. (capo F); di cui agli art. 110 cod. pen., 13 e 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (capo G) – ha revocato la condizione apposta alla concessione del beneficio della sospensione condizionale a Domenico Lembo e a Roberto Funiciello, confermando l’ordine di demolizione e la remissione in pristino già disposti.  
2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione, tutti rispettivamente articolati su quattro motivi di impugnazione.
3. Ricorsi Casciello e Langella
3.1. I ricorrenti, proprietari e committenti delle opere, hanno proposto due impugnazioni separate ma identiche nei contenuti.
Col primo motivo è stata lamentata erronea applicazione della legge penale, laddove le opere edilizie realizzate non potevano considerarsi completate al momento del sequestro preventivo, attesa l’intervenuta sospensione dei lavori per valutare l’opportunità di presentare una variante con ampliamento, nonché in ragione della creazione di un vuoto tecnico impropriamente qualificato come piano ulteriore rispetto a quanto previsto dal titolo edilizio. In realtà era stata dimostrata la conformità al titolo, dovendosi realizzare solamente il re-interro delle fondazioni, laddove il piano terra era solamente un cd. vuoto tecnico.
In proposito, infatti, erano rimasti invariati prospetto e superficie, mentre il porticato e le tegole rappresentavano le uniche opere – irrilevanti ed emendabili – in difformità dal titolo. La conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, edilizie e paesaggistiche era compendiata dall’accertamento di conformità del 2 luglio 2020, ed in proposito aveva fatto ancora difetto la sola attività di re-interro delle fondazioni, comunque non ultimate e non utilizzabili.
Doveva quindi ritenersi sussistente la cd. doppia conformità, con l’esistenza al più di difformità minori che avevano indotto il Procuratore generale territoriale a richiedere l’applicazione della speciale causa di non punibilità. Mentre l’effetto estintivo del reato urbanistico avrebbe dovuto comportare l’assoluzione anche per gli altri reati in contestazione, ivi compresi i profili paesaggistici trattandosi di manufatto non ancora ultimato.  
3.2. Col secondo motivo è stata censurata la mancata ammissione di prova decisiva, attesa la necessità di rinnovazione istruttoria tramite l’esame del tecnico Emanuela Marrocco. Al contrario, ne era stata ritenuta illegittimamente l’assoluta inutilità, laddove invece l’approfondimento istruttorio era necessario per la verifica dell’iter di sanatoria e della compatibilità con le prescrizioni vigenti.
In ogni caso poi doveva nominarsi un perito proprio per la verifica di fattibilità e compatibilità delle opere realizzate. In specie si trattava di opera incompleta astrattamente ritenuta non conforme alle prescrizioni vigenti, ma anche astrattamente compatibile secondo quanto riconosciuto da più tecnici.
3.3. Col terzo motivo i ricorrenti hanno lamentato il mancato accoglimento della richiesta di applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cod. pen.. Al riguardo l’affermazione di illiceità delle opere e delle condotte non era corretta, e le attività svolte non potevano che considerarsi delle attività di completamento delle opere già programmate. Né doveva disporsi la demolizione, atteso che le difformità erano irrilevanti ancorché espressamente assentite con l’accertamento di conformità.
3.4. Col quarto motivo è stata dedotta mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove il Pubblico ministero aveva autorizzato il completamento delle opere, vi era stato accertamento di conformità degli enti preposti e la responsabile dell’Ufficio  tecnico del Comune aveva confermato la cd. doppia conformità.
3.5. E’ stata depositata memoria in replica alle conclusioni del Procuratore generale.
4. Ricorso Lembo
4.1. Col primo motivo il ricorrente, quale direttore dei lavori, ha dedotto vizio motivazionale, atteso che l’avvenuto accertamento di responsabilità era maturato in base a sospetti e congetture. In particolare, il ricorrente ha osservato di non essere stato a conoscenza della prosecuzione dei lavori edilizi dopo la loro formale sospensione, né in specie incombevano sull’imputato, nella qualità, doveri di controllo di un cantiere i cui lavori erano sospesi.
A questo riguardo l’affermazione di responsabilità si era fondata su base congetturale, sul presupposto che l’interessamento al ripristino e alla pratica di condono avrebbe comportato la direzione dei lavori illeciti realizzati dopo il 22 ottobre 2015, pur in carenza di prova in tal senso.
In proposito era documentale che, alla data di sospensione dei lavori (disposta in considerazione dell’intenzione dei committenti di eseguire una variante al permesso di costruire), l’opera eseguita corrispondeva al conseguito permesso di costruire, mentre – in relazione alla partecipazione dello stesso Lembo alla prosecuzione dei lavori – non era stato compiuto alcun accertamento.    
4.2. Col secondo motivo, quanto all’affermazione di responsabilità solamente oltre ogni ragionevole dubbio, la Corte territoriale non aveva fornito risposta in proposito, dando conto della lettura alternativa fornita dalla difesa e tentando di superarla sulla base di argomenti fondati su sospetti e congetture. Né sussistevano, a carico del ricorrente, prove univoche di responsabilità.
4.3. Col terzo motivo, in ordine alla mancata applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cit., il ricorrente ha osservato che assumevano rilevanza anche le condotte successive al reato, ed in specie le opere erano state in parte demolite e, quanto al resto, erano state oggetto di sanatoria. Poteva quindi applicarsi la norma invocata, a prescindere dalla ritenuta gravità dell’abuso edilizio (realizzazione di villa a due piani al posto di fabbricato rurale ad un piano in zona sottoposta a vincolo).
4.4. Col quarto motivo infine è stata contestata la congruità della pena assumendo illogicità ed apparenza del percorso motivazionale, tenuto conto dell’avvenuta demolizione delle opere non sanabili e della sanatoria delle restanti, con l’ottenimento delle relative autorizzazioni. Ciò posto, il trattamento sanzionatorio doveva determinarsi nel minimo.
5. Ricorso Funiciello
5.1. Col primo motivo, quanto all’affermazione di responsabilità, il ricorrente, titolare dell’impresa costruttrice, ha osservato che detta affermazione si era fondata su una base meramente congetturale, ossia sulla semplice circostanza che l’imputato aveva partecipato ai lavori di rimessione in pristino, peraltro in forza di provvedimento giudiziario. In realtà vi era stata solamente la realizzazione del grezzo della struttura, in conformità del permesso di costruire, fino alla sospensione dei lavori avvenuta con istanza rivolta al Comune di Montecorice. Né il completamento del fabbricato era stato eseguito dalla propria impresa, la quale si era limitata allo scheletro della struttura e non aveva partecipato ai lavori in variante, ed in proposito non sussisteva prova. La motivazione della Corte territoriale risultava quindi viziata, e si fondava su mere ipotesi e congetture che, come tali, non giustificavano un procedimento indiziario.
5.2. Col secondo motivo, invocando violazione di legge e vizio motivazionale, il ricorrente ha osservato che era stata accertata la doppia conformità dell’intervento, con la conseguente prova della sanabilità delle opere, e l’assoluzione per intervenuta sanatoria doveva estendersi anche all’estinzione dei reati di diversa natura, in tema di violazione antisismica ovvero delle opere in cemento armato.
In specie non vi era stata violazione delle norme antisismiche e della normativa delle opere in cemento armato. Parimenti erano state rilasciate tutte le autorizzazioni necessarie per il reato paesaggistico, e non sussisteva danno penalmente rilevante a norma dell’art. 181 cit..
In definitiva i reati dovevano considerarsi estinti per intervenuto ripristino e sanatoria.
5.3. Col terzo motivo è stato censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, nonostante la modestia del fatto e l’assenza di prova circa la commissione degli abusi, ed in considerazione della personalità dell’imputato.
5.4. Col quarto motivo il ricorrente si è doluto della mancata applicazione della speciale causa di non punibilità, atteso tra l’altro il conseguimento di tutti i pareri degli enti preposti e data l’inesistenza del presupposto circa la realizzazione di una villa a due piani.          
6. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. I ricorsi sono inammissibili.
In via del tutto preliminare, tra l’altro, osserva la Corte che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303), cui occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250).
8. Ricorsi Casciello e Langella
8.1. In relazione al primo profilo di censura, i ricorrenti per vero non si sono confrontati con l’iter motivazionale seguito dalla decisione impugnata.
Vero è, infatti, che per un verso era stato dato conto dell’avvenuta realizzazione di un immobile residenziale su due livelli in luogo di una casetta al piano terra in area agricola, assoggettata a vincolo paesaggistico nella perimetrazione del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, zona sismica e senza la redazione di idoneo progetto.
Sì che, in definitiva, la Corte territoriale ha appunto correttamente osservato che si trattava in specie di intervento edilizio in totale difformità rispetto all’originario permesso di costruire. Ciò in quanto, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, si considera in “totale difformità” l’intervento che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l’organismo programmato e quello che è stato realizzato con l’attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in “parziale difformità” l’intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, all’esito di una valutazione analitica delle singole difformità risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale (Sez. 3, n. 40541 del 18/06/2014, Cinelli e altri, Rv. 260652).
8.1.1. Ciò posto, è stato altresì osservato, quanto al permesso di costruire in sanatoria del 2 luglio 2020 (che secondo parte ricorrente avrebbe comportato l’effetto estintivo degli illeciti contestati agli imputati), che siffatto effetto estintivo non si era affatto verificato.
In proposito, è stato infatti ricordato che, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 cit. non ammette termini o condizioni (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973), deve riguardare l’intervento edilizio nel suo complesso (cfr. Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016, Rongo, Rv. 267290) e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall’art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive (cfr. Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Bonarota, Rv. 262422) che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (cfr. Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Caprio, Rv. 277265). Tant’è che deve ritenersi illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratù e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, Murra, Rv. 280281), senza quindi che siano consentiti accorgimenti per far rientrare la stessa nell’alveo della legittimità urbanistica.
Del pari, quanto ai reati paesaggistici, la speciale causa estintiva, prevista dall’art. 181-quinquies d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, opera a condizione che l’autore dell’abuso si attivi “spontaneamente” alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio (Sez. 3, n. 37822 del 12/06/2013, Battistelli, Rv. 256518), sì da non essere eseguita coattivamente su impulso dell’autorità amministrativa (cfr. Sez. 3, n. 3064 del 05/12/2007, dep. 2008, Boninsegna, Rv. 238628).
8.1.2. In questo senso, pertanto, da un lato il primo Giudice aveva osservato che le opere in questione non potevano considerarsi sanabili per contrasto con lo strumento urbanistico attuale e al momento dei fatti, atteso che tramite l’esecuzione delle opere abusive erano state realizzate unità abitative in area agricola mutandone la destinazione. Mentre, appunto (ed in proposito la ricostruzione fattuale non può essere revocata in dubbio in questa sede, facendo poi difetto qualsivoglia censura di pretesi travisamenti), il permesso in sanatoria risulta intervenuto non sull’immobile edificato, ma su quello siccome modificato.
Laddove, quanto al reato paesaggistico, i Giudici del merito hanno inoltre concordemente osservato – a tacere anche dell’incongruo accertamento di compatibilità paesaggistica per quanto già osservato - che non vi era stata comunque alcuna spontanea rimessione in pristino, cui era stato dato corso dopo l’intimazione dell’Autorità amministrativa.
8.2. In relazione al secondo motivo di censura, la sentenza impugnata ha ritenuto l’inutilità di una rinnovata escussione del teste Marrocco, ossia di colui che aveva rilasciato il (censurato) permesso di costruire in sanatoria.
Al riguardo, vero è che, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. - alla quale il giudice può ricorrere solo quando ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, cioè quando i dati probatori già acquisiti siano incerti o quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze, ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza - la decisione in ordine alla relativa richiesta non può essere subordinata al giudizio sull’attendibilità delle prove richieste, che va necessariamente espresso soltanto dopo l’espletamento dell'incombente istruttorio (Sez. 5, n. 112 del 30/09/2021, dep. 2022, Martucci, Rv. 282728). Ma in proposito la sentenza impugnata ha dato in realtà conto che non vi era alcuna necessità di esaminare nuovamente il teste in quanto – come la Corte territoriale ha ampiamente dedotto e correttamente motivato – non sussisteva necessità di procedere in tal senso attesa la possibilità di decidere allo stato degli atti (tra l’altro in coerente seguito al principio generale di presunzione di completezza dell’istruttoria di primo grado).     
8.3. Allo stesso tempo, quanto alla richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., appare esente da censura il coerente rilievo della sentenza impugnata, secondo cui – tra l’altro traendo spunto dalla ricostruzione fattuale siccome complessivamente evidenziata e non più revocabile in dubbio - “la realizzazione in zona sottoposta a vincolo e in pieno parco del Cilento, di una villa a due piani al posto di un fabbricato rurale a un piano, è un abuso edilizio molto grave, a cui per giunta si è tentato di porre rimedio per mezzo di una procedura completamente contra legem”.
8.4. Parimenti, quanto al quarto motivo di doglianza, esso ripropone nell’ambito del vizio motivazionale quanto già lamentato sotto il profilo della violazione di legge, ed anche in proposito la trama argomentativa – circa l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria e dello stesso accertamento di compatibilità paesaggistica, e del conseguente mancato effetto estintivo dei reati contestati – non soffre di vizi di sorta alla stregua degli accertamenti compiuti e dei principi di diritto applicati.
Laddove, infine e per quanto possa occorrere, non è stato mai smentito quanto osservato dalla Corte territoriale, circa lo scadente risultato concretamente ottenuto sotto il profilo estetico, in esito agli evidenti aggiustamenti dell’originaria iniziativa edilizia.   
Né, per quanto rileva, risulta essere stato preso in considerazione quanto è stato richiamato dalla Corte territoriale, la quale ha sottolineato come la stessa responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Montecorice aveva affermato che, così come realizzata, l’opera non avrebbe potuto beneficiare del permesso di costruire in sanatoria.
9. Ricorso Lembo
9.1. In relazione ai primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente attesa la loro evidente connessione, la Corte territoriale ha correttamente ricordato il principio già fissato da questo Giudice di legittimità, secondo il quale, in tema di reati edilizi, l’obbligo di vigilanza sulla conformità delle opere al permesso di costruire, gravante sul direttore dei lavori ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, cui consegue la responsabilità penale del predetto nel caso di reati commessi da altri senza che intervenga la sua dissociazione ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, permane sino alla comunicazione della formale conclusione dell’intervento o alla rinunzia all’incarico e non viene meno in caso di adozione dell’ordinanza di sospensione dei lavori, salvo che - e fintanto - che il cantiere sia sottoposto a sequestro (Sez. 3, n. 38479 del 13/06/2019, Candido, Rv. 276762). in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all’incarico (cfr. Sez. 3, n. 34602 del 17/06/2010, Ponzio, Rv. 248328).
9.1.1. Al riguardo, in ogni caso, quanto alla doglianza che il percorso motivazionale sarebbe stato connotato solamente da sospetti e congetture, del tutto correttamente il Procuratore generale ha invero annotato che “emerge innanzitutto che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei criteri di valutazione della prova indiziaria, avendo esaminato plurime e significative circostanze fattuali, tutte logicamente convergenti verso le conclusioni raggiunte, in uno con l’applicazione, del pari corretta, dei principi di diritto concernenti gli obblighi gravanti sul direttore dei lavori: invero, ha considerato: a) che dopo l’istanza di sospensione dei lavori inviata dal direttore e dall’impresa il 22.10.2015 all’11.5.2016 (data in cui si accertò da parte del responsabile UTC la difformità dell’opera), nessun’altra ditta e nessun altro direttore furono nominati; b) che il Lembo e il Funiciello sono stati certamente protagonisti delle successive opere di parziale rimessione in pristino e dell’interramento del piano terra; c) che certamente il Lembo si occupò della pratica in sanatoria; d) che il Lembo non si è mai dissociato, né ha mai rinunciato all’incarico conferitogli dalla committenza, neppure dopo l’avvenuto sequestro del manufatto. A tanto può aggiungersi che non risulta che la difesa abbia dedotto nel giudizio di merito, né tampoco in questa sede, che al Lembo subentrò, dopo il 22.10.2015, altro direttore dei lavori e/o altra impresa, ad esempio fornendo l’indicazione di altri soggetti come autori materiali delle opere eseguite in difformità, o quanto meno dimostrando che la committenza si avvalse di altri operai estranei alla ditta risultante dalla pratica edilizia, lasciando la censura del tutto apodittica e generica, inidonea a disarticolare l’iter argomentativo; esso appare viceversa coerente e pienamente ispirato a criteri di ragionevole interpretazione della prova, anche tenendo conto dei chiari principi di diritto richiamati nella motivazione”.
In proposito la Corte territoriale ha in tal modo – contrariamente ai rilievi del ricorrente - fatto buon uso del materiale indiziario, proprio alla stregua degli elementi fattuali siccome ricordati. Laddove nel periodo di sospensione delle operazioni, ma non di definitiva chiusura del cantiere ed ancor meno di rinuncia all’incarico da parte del direttore dei lavori, era intervenuta l’edificazione “di un fabbricato completamente diverso rispetto a quello autorizzato, e precisamente di un immobile su due livelli, diviso in zona giorno e zona notte, con muri, due tettoie, una platea in calcestruzzo che si estendeva lungo tutto il perimetro dell’immobile…; il terreno circostante era stato poi livellato ed era stata creata una strada”. Tutto ciò laddove “era stata assentita la costruzione di un fabbricato rurale su un piano…suddiviso in una zona residenziale e in una pertinenza…al di sotto dell’immobile era prevista una camera d’aria interrata alta un metro e mezzo”. Mentre, in definitiva, la Corte salernitana ha sottolineato l’inverosimiglianza che il direttore dei lavori, e il titolare della ditta esecutrice, avessero eseguito le opere edilizie fino al momento della sospensione dei lavori, e poi fossero intervenuti per rimuovere le opere abusive (nelle more, all’evidenza, realizzate allora da mano ignota che, se ci fosse stata, ben facilmente avrebbero potuto essere rintracciata).
In definitiva, in tema di prova indiziaria alla Corte di Cassazione compete il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonché la verifica della completezza, della correttezza e della logicità del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non anche un nuovo accertamento che ripeta l’esperienza conoscitiva del giudice del merito (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677).
9.2. In relazione poi al terzo motivo, i rilievi svolti al punto sub 8.3. appaiono del tutto estensibili anche al ricorrente.    
9.3. Per quanto infine riguarda il quarto profilo di censura, il ricorso neppure si confronta in alcun modo con i rilievi in proposito formulati dalla Corte territoriale, quanto alla congruità della pena in relazione alle attività complessivamente svolte, connotate da una generale illegittimità e, tra l’altro, da un esito estetico del tutto discutibile.
In ogni caso, poi, non è neppure necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288), essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243). In specie è stata complessivamente comminata una pena di mesi otto di arresto e di euro quindicimila di ammenda, ictu oculi ben inferiore alla media edittale, laddove la sola pena per il reato più grave era infatti compresa in una forbice tra giorni cinque e anni due di arresto, nonché tra 15.493 e 51.645 euro di ammenda.
10. Ricorso Funiciello
10.1. In relazione al primo profilo di censura, è sufficiente ripercorrere i rilievi già formulati sub 9.1.1. altresì confermando la non manifesta illogicità delle osservazioni della Corte territoriale – nonché del Procuratore generale - in relazione alla valutazione del materiale indiziario. Mentre, quanto al secondo motivo, vanno ribadite le considerazioni generalmente sviluppate in risposta alle doglianze di proprietario e committente.
10.2. In relazione invece al terzo motivo di impugnazione, per un verso le attenuanti generiche – a chiarimento delle doglianze del ricorrente - risultano essere già state riconosciute dal primo Giudice, e d’altro canto vanno ribaditi, quanto alla complessiva dosimetria della pena, i rilievi già formulati sub 9.3..
10.3. Per quanto infine riguarda l’ultimo motivo di impugnazione, vanno ribadite le svolte considerazioni circa l’incensurabilità delle considerazioni che hanno indotto a non applicare la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cit. (v. supra).
11. La manifesta infondatezza delle impugnazioni, che in parte – come si è visto - neppure si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata ed in parte intendono revocare in dubbio la ricostruzione fattuale siccome compiuta in sede di merito, non può che comportare l’inammissibilità dei ricorsi.
11.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. e a carico dei ricorrenti, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 20/04/2022