Cass. Sez. III n. 777 del 13 gennaio 2022 (UP 21 ott 2021)
Pres. Petruzzellis Est. Corbo Ric. Alfano
Urbanistica.Individuazione regime abilitativo applicabile
In tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 25 giugno 2020, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Palermo che aveva dichiarato la penale responsabilità di Gioacchino Alfano e Vincenzo Palumbo per i reati di cui agli artt. 44, lett. b) (capo a), nonché 64 e 71 (capo b), nonché ancora 65 e 72 (capo c), nonché ulteriormente 93, 94 e 95 (capo d) d.P.R. n. 380 del 2001, ed aveva condannato ciascuno degli imputati alla pena di sei mesi di arresto e 20.000,00 euro di ammenda, ritenuta la continuazione tra tutti gli illeciti.
Secondo i giudici di merito, Gioacchino Alfano e Vincenzo Palumbo hanno realizzato, in assenza del permesso di costruire, un piano sopraelevato di circa 65 mq., nonché un ampliamento del piano terra di circa 21 mq., con condotta protratta fino al giorno 8 gennaio 2015, utilizzando cemento armato senza progetto esecutivo redatto da professionista abilitato, senza darne avviso all’Ufficio del Genio Civile competente, e senza averne conseguito la preventiva autorizzazione, necessaria per essere le opere ubicate in zona a rischio sismico.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Gioacchino Alfano e Vincenzo Palumbo, con unico atto a firma dell’avvocato Igor Runfola, articolando due motivi, sviluppati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 63, 350 e 513 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli odierni ricorrenti all’atto del sopralluogo dei Carabinieri il giorno 8 gennaio 2015, nonché violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen., 44, 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. v), cod. proc. pen., avendo riguardo alla affermazione di responsabilità degli imputati.
Si deduce, innanzitutto, che sono inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli odierni ricorrenti all’atto del sopralluogo dei Carabinieri il giorno 8 gennaio 2015, in quanto fornite in assenza di difensore e nonostante la presenza di indizi di reità, a nulla rilevando il consenso prestato alla loro utilizzazione in primo grado. Si precisa che queste dichiarazioni rese il giorno 8 gennaio 2015 sono rilevanti ai fini della decisione, perché, come espressamente segnalato dai giudici di merito, i due ricorrenti sono stati identificati come committenti e realizzatori delle opere illegali proprio in forza di esse. A sostegno della tesi della inutilizzabilità, si citano: Sez. 2, n. 4158 del 25/10/2019, dep. 2020; Sez. 6, n. 6425 del 11/04/1994, Curatola, Rv. 198521-01; Sez. 5, n. 43542 del 23/09/2004, Morrillo.
Si deduce, poi, che non vi è alcun elemento di conferma delle dichiarazioni dei due odierni ricorrenti, e che, anzi, la formale intestataria dell’immobile, Giovanna De Simone, ha anche sottoscritto la richiesta di conformità urbanistica ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001. Si evidenzia, inoltre, che le dichiarazioni rese dai due ricorrenti, anche a volerle ritenere utilizzabili, sono, in quanto dichiarazioni spontanee, prive di efficacia probatoria a dibattimento e non acquisibili al fascicolo di cui all’art. 431 cod. proc. pen. quando l’imputato si avvale del diritto al silenzio (si cita Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, Di Stefano, Rv. 271148-01).
Si deduce, ancora, che nessuna illegittimità, nemmeno sotto il profilo oggettivo, è rilevabile con riguardo all’ampliamento di 21 mq. al piano terra, in quanto struttura con pareti perimetrali in playtex, pilastri in legno e struttura in ferro, priva di elementi in cemento armato, come tale precaria, e, quindi, anche secondo le dichiarazioni rese a dibattimento dal responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, non necessitante di alcuna autorizzazione. Si citano, a conferma delle conclusioni appena esposte, Sez. 3, n. 17085 del 2016, per la fattispecie di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, e Sez. 3, n. 17022 del 17/04/2014, per le altre fattispecie
Si deduce, infine, che la sentenza di appello è priva di qualunque valutazione critica in ordine alle risultanze istruttorie acquisite e non si confronta con gli elementi prodotti dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
2. Manifestamente infondate, innanzitutto, sono le censure che contestano l’utilizzabilità delle spontanee dichiarazioni rese dai due ricorrenti, deducendo che tali dichiarazioni sono state fornite in assenza di difensore e nonostante la presenza di indizi di reità a carico dei dichiaranti, e che irrilevante è l’accordo al loro impiego prestato nel dibattimento di primo grado.
Invero, secondo il principio ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, e condiviso dal Collegio, sono pienamente utilizzabili, in dibattimento, le dichiarazioni autoaccusatorie spontaneamente rese nell'immediatezza dei fatti dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, se l'atto che le include è stato acquisito al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti, senza che queste ultime abbiano formulato espresse limitazioni circa l'utilizzabilità di detto atto soltanto in relazione a specifici contenuti diversi dalle dichiarazioni stesse (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 26209 del 23/02/2017, Panetta, Rv. 270314-01, e Sez. 5, n. 12445 del 23/02/2005, Di Stadio, Rv. 231689-01).
Ora, nella specie, secondo quanto evidenziato nella sentenza impugnata, le dichiarazioni di cui si critica in questa sede l’utilizzabilità sono state rese spontaneamente e sono state acquisite al fascicolo del dibattimento su accordo delle parti al fascicolo del dibattimento. Per un verso, infatti, i due odierni ricorrenti hanno reso le precisate dichiarazioni recandosi spontaneamente dai Carabinieri per illustrare la loro posizione, pur non essendo in quel momento neppure indagati e, anzi, sono stati individuati come responsabili dei fatti oggetto del presente processo proprio a causa delle affermazioni con le quali hanno assunto la paternità delle opere illegittimamente eseguite, siccome a quella data risultava identificata solo la proprietaria dell’immobile, nominata anche custode giudiziaria dello stesso. Per l’altro, poi, dette dichiarazioni sono confluite nella comunicazione della notizia di reato redatta dalla polizia giudiziaria e sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento sulla base di un accordo non sottoposto ad alcuna condizione.
4. Manifestamente infondate sono anche le censure che criticano l’affermazione di responsabilità in quanto fondata esclusivamente sulle spontanee dichiarazioni dei due imputati, e nonostante che la richiesta di sanatoria delle opere sia stata presentata da altra persona, e precisamente dalla suocera, formale intestataria dell’immobile.
Invero, la sentenza impugnata si è preoccupata di indicare le ragioni per le quali ritenere attendibili le dichiarazioni autoaccusatorie degli imputati. Si è sottolineato, in particolare, che: -) le dichiarazioni sono state rese in un momento in cui non vi era alcun elemento a carico dei due odierni ricorrenti, e, quindi, in un contesto di assoluta spontaneità; -) i due imputati, al momento dei fatti, abitavano l’immobile oggetto dell’illegale ampliamento, e, quindi, avevano un interesse specifico e diretto all’esecuzione dei lavori; -) uno dei due, Alfano, nel rendere ulteriori spontanee dichiarazioni nel giudizio di appello, ha ammesso di aver realizzato le opere, sia pure su suggerimento del suocero, e di essersi recato dai Carabinieri per chiarire la situazione; -) la presentazione della richiesta di sanatoria da parte della suocera dei due imputati non costituisce elemento a discarico, innanzitutto perché detta iniziativa, in sede amministrativa, poteva essere promossa solo da tale persona, in quanto formale proprietaria dell’immobile.
5. Manifestamente infondate, ancora, sono le censure che contestano l’affermazione di responsabilità per la parte relativa all’ampliamento al piano terra, siccome di limitate dimensioni e realizzato con elementi privi di cemento armato.
Costituisce infatti principio assolutamente consolidato e dal quale non vi sono, né sono indicate ragioni per dissentire, quello secondo cui, in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (v., per tutte, Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473-01, e Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, Forte, Rv. 252125-01).
Nella specie, la Corte d’appello rappresenta che le opere relative alla sopraelevazione del terzo piano riguardavano una superficie di 65 mq. con muri perimetrali e pilastri in cemento armato, e che anche i lavori realizzati al piano terra si caratterizzavano per la struttura in ferro.
Di conseguenza, è compiutamente illustrato perché le opere in questione potevano essere realizzate legittimamente solo previo rilascio di permesso di costruire, nonché di avviso al Genio Civile e di autorizzazione da parte del medesimo, e perché, quindi, la loro esecuzione integra i reati per i quali è stata pronunciata la sentenza di condanna.
6. Del tutto prive di specificità, infine, sono le censure che contestano l’assenza, nella sentenza impugnata, di una valutazione critica delle risultanze istruttorie e di un confronto con gli elementi addotti dalla difesa.
Invero, da un lato, la Corte d’appello risulta aver dettagliatamente e motivatamente indicato le ragioni per le quali ha ravvisato la responsabilità degli imputati. Dall’altro, i ricorsi non indicano gli elementi addotti dalla difesa con i quali il giudice di appello non si sarebbe confrontato.
7. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/10/2021