Cass. Sez. III n. 6891 del 14 febbraio 2017 (Cc 25 ott 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Riccardi Imputato: Costa
Urbanistica.Misure di salvaguardia

In materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia


RITENUTO IN FATTO

1. Costa Roberta ricorre per cassazione avverso l'ordinanza emessa il 19/01/2016 dal Tribunale di Catanzaro, con la quale veniva rigettata l'istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di quattro fabbricati residenziali di un complesso edilizio in costruzione e delle due porzioni di edificio ubicate in parte in zona R4 ed in parte in zona di rispetto, emesso il 23/11/2015 dal Gip del Tribunale di Catanzaro in relazione al reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001.
Con un primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla contestata violazione delle norme del PAI; lamenta che il Tribunale abbia omesso di esaminare i profili di erroneità della consulenza tecnica del P.M., dedotti con l'istanza di riesame, che avrebbe omesso di riportare nei propri elaborati grafici l'effettiva perimetrazione dell'area "a rischio frana" R4, limitandosi a rappresentare cartograficamente solo l'area soggetta "a pericolo frana"; deduce che la consulenza tecnica di parte dell'Ing. Agosteo abbia documentato che due delle quattro ville sottoposte a sequestro ricadono nella c.d. fascia di rispetto dell'area a pericolo frana, che, tuttavia, non è classificata a rischio R4, ed è sottratta al vincolo di inedificabilità previsto dall'art. 16, comma 1 b, delle norme di attuazione e misure di salvaguardia del PAI (Piano Assetto Idrogeologico); l'inesistenza di vincoli di inedificabilità, peraltro, sarebbe stata affermata anche dall'Autorità di Bacino regionale, nel parere del 24/02/2015; lamenta, inoltre, che la nota tecnica dell'Autorità di Bacino del 28/03/2008 precisa che il PAI, nelle fasce di rispetto, non impone alcuna norma prescrittiva, mentre l'ordinanza impugnata ne avrebbe travisato il significato, rilevando la mancata dimostrazione difensiva di specifici studi geologici che dimostrassero la potenzialità edificatoria; deduce, inoltre, che la consulenza tecnica, la relazione geologica e la relazione sulla pericolosità sismica escludevano il rischio di fenomeni franosi R2, tant'è che nessun fabbricato presenta fenomeni fessurativi, grazie alla profondità delle loro fondazioni.
Con un secondo motivo, deduce la violazione di legge, per l'assoluta mancanza di motivazione in relazione alle specifiche doglianze formulate dal consulente di parte, Ing. Agosteo; lamenta che la consulenza di parte sia stata ritenuta inconferente, poiché basata su una cartografia risalente al 2010, antecedente alla riclassificazione dell'area dal livello di rischio R2 a R4; tuttavia, essa è l'unica tavola ufficiale emanata dall'Autorità di Bacino. Con un terzo motivo, deduce la violazione di legge in relazione all'art. 321 cod. proc. pen.: lamenta che il sequestro sia stato emesso nei confronti di soggetti estranei al reato, terzi acquirenti in buona fede degli immobili, ultimati ed abitati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Premesso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in  procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), le doglianze proposte sono inammissibili, in quanto, pur deducendo formalmente il vizio di violazione di legge, censurano in realtà la motivazione del provvedimento, deducendo quindi motivi non consentiti.
Invero, le censure proposte concernono il rapporto tra la fattispecie violata - esecuzione della costruzione in zona a rischio R4, inedificabile secondo la disciplina PAI - e la valutazione operata dal Tribunale del riesame, che si sostiene aver omesso la considerazione dei rilievi critici svolti (sulla base della consulenza tecnica di parte) in ordine alla consulenza tecnica del P.M., sia con riferimento alla situazione concreta dei luoghi, sia con riferimento all'effettivo pregiudizio agli interessi del territorio recato dalle costruzioni ormai ultimate ed abitate da terzi acquirenti in buona fede.
Tuttavia, il provvedimento impugnato è diffusamente motivato, e non presenta profili di mancanza di motivazione o di erronea interpretazione o applicazione delle norme.
Invero, sulla base dell'adozione, da parte dell'Autorità di Bacino, della riclassificazione dell'area a rischio R4 (rischio molto elevato), e, dunque, dell'operatività delle misure di salvaguardia, vincolanti per il Comune e per i privati, ha ritenuto integrato il fumus del reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001, vigendo un vincolo di inedificabilità nell'area in oggetto, ricadente in parte in "area a rischio R4" e in parte in "area di rispetto".
Al riguardo, va ribadito che, in materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia (Sez. 3, n. 37493 del 10/06/2003, Soluri, Rv. 226316).
Nel caso in esame, sebbene la riclassificazione dell'area in R4 fosse stata notificata al Comune di Catanzaro il 28/02/2011, e non potessero, pertanto, essere più rilasciati permessi di costruire a decorrere dal 01/03/2011, il permesso di costruire per i fabbricati oggetto di vincolo risultava illegittimamente emesso il 17/01/2012, successivamente alla riclassificazione dell'area (Sez. 3, n. 36397 del 18/05/2011, Secondini, Rv. 251234 "integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, l'esecuzione di un intervento edilizio in mancanza del parere dell'Autorità di bacino sulla compatibilità idrogeologica dell'opera, pur nell'ipotesi di avvenuto rilascio del permesso di costruire").
La verifica della sussistenza del fumus commissi delicti, nei limiti cognitivi e valutativi propri del giudizio di riesame reale, non è stata poi ritenuta incisa dai rilievi critici della consulenza di parte, che il Tribunale ha ritenuto non pertinenti, in quanto fondati su una cartografia risalente al 2010, antecedente alla riclassificazione dell'area. Tale argomentazione, del resto, oltre ad integrare un apprezzamento di fatto che, essendo immune da censure di illogicità o contraddittorietà, è insindacabile in sede di legittimità, implica altresì la manifesta insussistenza di un'ipotesi di omessa motivazione - unico profilo rilevante nel giudizio di legittimità in materia cautelare -. I vizi di logicità, di contraddittorietà della motivazione, di travisamento del fatto o della prova, prospettati nel ricorso, come già evidenziato, esulano dal sindacato di legittimità in materia reale.
Analogamente va osservato, quanto al profilo della buona fede dei terzi acquirenti, che oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Quarta, Rv. 243751; Conf. Sez. III, n. 17866 del 2009, non massimata).
Nel caso in esame, l'ordinanza impugnata ha correttamente rilevato, in ordine al periculum in mora, che non assume rilievo la buona fede dei terzi acquirenti, non ricorrendo un'ipotesi di sequestro funzionale alla confisca, bensì di sequestro c.d. "impeditivo", finalizzato ad impedire che la libera disponibilità del bene possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato; pericolo insito nella stessa esistenza della struttura abusiva, realizzata in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00: infatti, l'art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 25/10/2016