Cass. Sez. III n. 45146 del 11 novembre 2015 (ud. 8 ott. 2015)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci  Imputato: Fiacchino e altro
Urbanistica.Natura di reato comune ed eccezioni

Le contravvenzioni edilizie previste dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 devono essere qualificate come reati comuni e possono dunque essere commessi da qualsiasi soggetto, fatta eccezione per le condotte di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori, per quelle ascrivibili esclusivamente al direttore dei lavori, nonché per alcune fattispecie riconducibili alla lettera a) della norma in quanto riferibili a specifici destinatari. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta l'affermazione di responsabilità del socio di un'associazione culturale che aveva personalmente seguito tutte le fasi di esecuzione dei lavori abusivamente realizzati).


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 24/4/2014 ha riformato la decisione emessa in data 10/10/2012 dal Tribunale di Civitavecchia ed appellata da Lucio FIACCHINO e Alfredo ANACLERIO, concedendo a quest'ultimo il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando, nel resto, l'impugnata decisione, avente ad oggetto il reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), attribuito al FIACCHINO quale socio dell'Associazione Culturale denominata «OLIMPO CLUB», locataria dell'immobile sito in Via Aurelia km. 33,300 del Comune di Ladispoli ed all'ANACLERIO, quale Presidente della suddetta Associazione, per la realizzazione, in assenza del prescritto permesso di costruire, di un immobile suddiviso in 7 bungalow, consistenti in manufatti realizzati con struttura mista in legno e muratura, ognuno dei quali composto da una stanza con finestra ed ingresso indipendente, accessibile direttamente dal giardino e arredati con letto matrimoniale, comodini, armadio, bagno, tendaggi e tv; 7 bungalow in legno e muratura con struttura completamente in legno, strutturati e arredati nello stesso modo; 5 bungalow con struttura in legno e rivestimento in cannucce e tettoia di pannelli in lamiera grecata e coibentata e coppi in laterizio, arredati con al centro un grande divano rotondo (in Ladispoli, accertato il 24 maggio 2011).
L'ANACLERIO, inoltre, era chiamato a rispondere anche del reato di cui all'art. 483 cod. pen., per avere, in occasione del rinnovo del C.P.I. (certificato di prevenzione incendi), attestato falsamente che lo stato dei luoghi non aveva subito variazioni rispetto alla planimetria depositata agli atti ed al precedente sopralluogo dei Vigili del Fuoco, da cui era scaturito il rilascio del C.P.I. del 28 giugno 2000 (fatto commesso in Roma, il 18 aprile 2011).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.  

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, rilevando che la responsabilità del FIACCHINO per l'abuso edilizio sarebbe stata affermata, dai giudici  del merito, sulla base di mere supposizioni ed illazioni, in quanto ritenuto, sebbene semplice socio dell'«Olimpo Club», gestore di fatto del medesimo.
Osservano che i dati fattuali valorizzati dalla Corte territoriale sarebbero anteriori di anni o successivi alla commissione del reato contestato e resterebbero confinati nell'ambito dei meri indizi.

3. Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, affermando che i giudici del merito non avrebbero considerato la dimostrazione, offerta dalla difesa, tanto nel giudizio di primo grado che in quello di appello, del  fatto che la realizzazione dei bungalow sarebbe stata ultimata nel 2006 e che, conseguentemente, il reato avrebbe dovuto essere dichiarato ormai prescritto.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con riferimento alla posizione dell'ANACLERIO, per ciò che riguarda il reato di cui all'art. 483 cod. pen., ritenendo di aver fornito la prova documentale e testimoniale del fatto che la descritta situazione dei luoghi non era affatto mutata rispetto all'anno 2000.

5. Con un quarto motivo di ricorso censurano la sproporzione della pena irrogata e l'ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche.

6. Con un quinto motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione in ordine alla mancata revoca del sequestro preventivo delle opere, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente mantenuto.
Insistono, pertanto per l'accoglimento del ricorso.  


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è infondato.
Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la giurisprudenza di questa Corte, all'esito di un approfondita disamina della questione, ha stabilito che i reati di cui all'art. 44 d.P.R. 380\01 vanno qualificati come reati comuni e non come reati propri (v. Sez. 3, n. 8407 del 30/11/2006 (dep. 2007), Roberto e altri, Rv. 236183, non massimata sul punto ed alla quale si rinvia per i richiami ai precedenti. Conf. Sez. 3, n. 47083 del 22/11/2007, Tartaglia, Rv. 238471).
Pare opportuno richiamare, in questa sede, le ragioni che hanno determinato tale scelta interpretativa.
Si è in particolare chiarito, nella menzionata sentenza 8407/2007, che «(...) significativo è, anzitutto, lo stesso testo delle norme incriminatrici, formulato impersonalmente, ma (non essendo sufficiente arrestarsi alla espressione della legge) anche un accurato esame del complessivo sistema sanzionatorio penale porta ad escludere una generalizzata configurazione quali "reati propri" delle contravvenzioni in esame. Si pensi, ad esempio, che non può essere considerato "committente" né "costruttore" colui che esegua personalmente i lavori abusivi (realizzazione monosoggettiva dell'illecito nei casi dì più modeste trasformazioni urbanistiche). Deve rilevarsi, poi, che l'attuale formulazione dell'art. 29 del T.U. n. 380/2001 - pur individuando nel titolare del permesso di costruire, nel committente e nel costruttore i soggetti "responsabili... della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano..." e, unitamente al direttore dei lavori, alle previsioni "del permesso di costruire e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo" - limita comunque l'ambito della loro responsabilità "ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo" (il capo I del titolo IV), dove non è prevista la disciplina penale, che è collocata, invece, nel capo II. L'oggetto della tutela penale apprestata dalle norme incriminatrici in esame, infine, non va individuato esclusivamente nell'interesse strumentale della P.A. al controllo delle attività che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, bensì e principalmente nella "salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio" medesimo, e tale bene giuridico può essere indifferentemente offeso da chiunque compia attività siffatte e non soltanto da determinati soggetti che si trovino in possesso delle particolari qualità soggettive indicate dall'art. 29 del T.U. dell'edilizia»
Nella medesima pronuncia si evidenzia, inoltre, come resti comunque attribuita la qualificazione di reati propri o, comunque, a «soggettività ristretta», ad alcune tra le condotte riconducibili alla previsione della lettera a) dell'art. 44 (quale, ad esempio, l'inottemperanza, da parte del segretario comunale, agli adempimenti di cui all’art. 31, comma 7 del TU, qualora non configurino più grave reato); alla contravvenzione di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori, che può essere commessa soltanto dai destinatari del provvedimento amministrativo (con eventuale possibilità di concorso ed applicazione dei principi di cui all'art. 117 cod. pen.) ed alle violazioni ascrivibili al direttore dei lavori, la cui responsabilità è limitata alle sole difformità fra l'opera eseguita e le previsioni e le modalità esecutive stabilite dal permesso di costruire e per il quale la legge ritiene pienamente scriminante l'effettivo recesso tempestivo e formalmente comunicato.

2. La soluzione ermeneutica proposta dalla richiamata decisione è pienamente condivisa dal Collegio, che intende pertanto dare continuità al principio secondo il quale i reati di cui all'art. 44 d.P.R. 380\01 sono reati comuni, cosicché possono essere commessi da qualsiasi soggetto, fatta eccezione per le condotte configuranti inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori, quelle ascrivibili specificamente al direttore dei lavori ed alcune tra quelle riconducibili alla lettera a) del medesimo articolo, in quanto riferibili a specifici destinatari.   

3. Ciò posto, deve rilevarsi come, nel caso in esame, la compartecipazione del FIACCHINO all'esecuzione dell'intervento edilizio abusivo sia stata accertata dai giudici di merito non tanto sulla base di mere illazioni, come sostenuto in ricorso, bensì sulla base di una serie di dati fattuali significativi che la Corte territoriale ha posto in evidenza in maniera lineare e senza cedimenti logici.
In particolare, i giudici del gravame pongono l'accento su una serie di circostanze rilevanti che già il Tribunale aveva posto in evidenza e, segnatamente, il fatto che, dalle indagini, era emerso chiaramente come l'imputato, pur mantenendo formalmente la qualifica di mero socio del «club», ne fosse, di fatto, il gestore da diversi anni.
Egli, osserva la Corte di appello, era stato sempre attivo e presente in tutta la vicenda relativa agli abusi edilizi oggetto di contestazione, presenziando ai sopralluoghi della polizia giudiziaria e producendo, in quella ed in altre occasioni, tutta la documentazione «a sostegno della presunta legittimità delle successive attività di trasformazione ed ampliamento del night club».
Precisa la Corte del merito che, più volte, il FIACCHINO aveva fornito spiegazioni sulla esistenza di permessi ed autorizzazioni, esibendo copiosa documentazione, aveva presentato una domanda di condono edilizio nel 2004, aveva spiegato alla polizia giudiziaria l'uso dei locali e delle opere eseguite, si era personalmente recato presso il Comune di Ladispoli e la Divisione Polizia Amministrativa della Questura di Roma, aveva dato conto dei precedenti controlli, manteneva i contatti con il commercialista che seguiva l'attività del club ed aveva stipulato il contratto di locazione dell'immobile, sublocato, dopo appena quindici giorni, all'«Olimpo Club».

4. Si tratta, ad avviso del Collegio, di elementi significativi, che dimostrano univocamente la piena disponibilità, giuridica e di fatto, da parte dell'imputato, dell'immobile oggetto di intervento abusivo ed il conseguente interesse specifico all'esecuzione delle opere, confermato dal costante interessamento agli esiti della vicenda, concretatosi, tra l'altro, nella ripetuta partecipazione ai controlli eseguiti dalla polizia giudiziaria, dalla disponibilità di documentazione specifica prodotta personalmente agli inquirenti e dalla richiesta di titoli abilitativi in sanatoria.
Tali dati fattuali sono stati, dunque, valorizzati dai giudici del gravame con argomentazioni giuridicamente corrette e connotate da tenuta logica e coerenza strutturale, che non vengono minimamente intaccate dalle argomentazioni sviluppate in ricorso.
Da ciò consegue l'infondatezza delle censure prospettate.

5. Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile.
I ricorrenti lamentano il fatto che i giudici del merito non avrebbero considerato una diversa data di consumazione dei reati, da collocarsi nell'anno 2006, dichiarando, conseguentemente, la prescrizione degli stessi.
Nel fare ciò, essi richiamano una serie di dati fattuali e di atti del procedimento la cui disamina è preclusa, come è noto, al giudice di legittimità.
Nondimeno, la Corte territoriale ha motivatamente confutato le censure sul punto sviluppate nell'atto di appello.
In particolare, i giudici del gravame hanno accertato in fatto che, alla data del sequestro, avvenuta nel 2011, il reato urbanistico era ancora in corso di consumazione e, nel contempo, hanno posto in evidenza le ragioni, già espresse dal primo giudice, per le quali hanno ritenuto non significativa la documentazione prodotta dalla difesa, rilevando come la stessa non fosse riconducibile alle opere per cui è processo. Hanno anche considerato gli esiti dei sopralluoghi seguiti da due tecnici comunali ed i contenuti delle dichiarazioni rese dagli stessi nel corso dell'istruzione dibattimentale.
Il giudice del merito ha dunque escluso ogni incertezza sulla data di commissione del reato, senza che dal provvedimento impugnato risultino evidenti contraddizioni o salti logici che consentano di ritenere  censurabile, in questa sede di legittimità, la valutazione dei dati fattuali posti alla base di tale convincimento.

6. Il terzo motivo di ricorso è pure inammissibile.
Le censure sono formulate con estrema genericità e risultano articolate esclusivamente in fatto, allo scopo evidente di prospettare una lettura alternativa di elementi già oggetto di idoneo apprezzamento da parte dei giudici del merito, i quali hanno evidenziato, sulla base delle emergenze probatorie dibattimentali, con specifico richiamo agli atti significativi, le ragioni per le quali lo stato dei luoghi attestato nella dichiarazione resa dall'ANACLERIO fosse diverso da quello reale.

7. Per ciò che concerne il quarto motivo di ricorso, osserva il Collegio che la Corte di appello ha posto in evidenza l'intensità del dolo, dimostrata dalla pluriennale protrazione dell'attività edilizia abusiva, la rilevanza degli abusi, la gravità delle false dichiarazioni relative alla certificazione di prevenzione incendi e le possibili conseguenze sull'incolumità degli avventori del locale.
Tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri, Rv. 239754).

8. Tali elementi sono stati valorizzati dai giudici del gravame anche per giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, chiarendo anche l'assenza di elementi concreti per il loro riconoscimento.
Anche tale motivazione appare adeguata e conforme a legge, atteso che che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo, Rv. 252900; Sez. 1, n. 3529 del 22/9/1993, Stelitano, Rv. 195339 ;  Sez. 6,  n. 6724 del 1/2/1989, Ventura, Rv. 181253).
Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v.  Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 ;  Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419;  Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio,  Rv. 229768).

9. Infondato risulta pure il quinto motivo di ricorso.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che il sequestro preventivo del bene oggetto di abuso edilizio, per il quale sia pronunciata condanna deve cessare con la sentenza definitiva, perché il vincolo non può essere mantenuto oltre la decisione definitiva a garanzia della demolizione o dei provvedimenti amministrativi. Al di fuori delle ipotesi di proscioglimento, il bene oggetto dell'abuso edilizio può essere restituito prima della pronuncia di condanna definitiva solo allorché siano cessate le esigenze cautelari che hanno giustificato l'imposizione del vincolo (Sez. 3, n. 6462 del 14/12/2007 (dep. 2008), Oriente, Rv. 239289; Sez. 3, n. 45674 del 21/10/2003, Cotena ed altri, Rv. 226860).
In altra occasione si è anche fatto rilevare come sequestro preventivo ed ordine di demolizione siano tra loro indipendenti (Sez. 3, n. 27943 del 19/5/2009, Pezza e altro, Rv. 244562).
La Corte territoriale, nel caso in esame, ha dunque correttamente disposto il mantenimento del sequestro nel pronunciare una sentenza non definitiva.
Solo alla decisione di questa Corte, definitiva, potrà seguire la restituzione del bene all'avente diritto.
Va peraltro precisato, che, diversamente da quanto sembrano sostenere i ricorrenti, tale disposizione non dovrà essere necessariamente disposta a loro favore, sussistendo l'obbligo, per il giudice che la disporrà, di individuare l'avente diritto alla restituzione, il quale coincide con l'amministrazione comunale nel caso in cui si sia verificata ex lege l'acquisizione gratuita dell'immobile e dell'area di sedime per effetto del vano decorso del termine di novanta giorni dall'ingiunzione a demolire emanata dall'autorità amministrativa (v., ex pl.,  Sez. 3, n. 42637 del 26/09/2013, Braccini, Rv. 258308; Sez. 3, n. 4962 del 28/11/2007 (dep. 2008), P.G. in proc. Mancini e altri, Rv. 238804; Sez. 3, n. 14638 del 16/2/2005, P.G. in proc. Di Giacomo, Rv. 231509).
Occorre pertanto che, nel procedere alla restituzione, si accerti preventivamente l'eventuale emissione dell'ordinanza di demolizione e la materiale esecuzione della demolizione nel termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento, in mancanza della quale opera di diritto l'acquisizione gratuita.
Tale aspetto risulta, peraltro, di non secondario rilievo nella fattispecie in esame, atteso che, in una precedente pronuncia di questa Corte (Sez. 3 n. 189 del 1/12/2011 (dep. 2012), Anaclerio, non massimata), riguardante il ricorso presentato dagli odierni ricorrenti avverso l'ordinanza con la quale il Tribunale di Roma, quale giudice del riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Civitavecchia delle opere oggetto del presente procedimento, la questione dell'acquisizione era stata prospettata ai giudici del riesame ed era stata oggetto di censura nel ricorso per cassazione.
 
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 8.10.2015