Cass. Sez. III n. 37946 del 22 ottobre 2021 (CC 16 giu 2021)
Pres. Rosi Est. Zunica Ric. Sarra
Urbanistica.Nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire

In materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire, ex art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall’art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, esistendo in particolare tre tipologie di varianti: 1) le cd. “varianti leggere o minori”, quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell’edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell’attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori; 2) le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del cd. “permesso in variante”, complementare e accessorio rispetto all’originario permesso a costruire e 3) le cd. “varianti essenziali”, caratterizzate da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32”, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo e autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.


RITENUTO IN FATTO

         1. Con ordinanza del 28 gennaio 2021, il Tribunale del Riesame di Latina confermava il decreto del 24 dicembre 2020, con cui il G.I.P. del Tribunale di Latina aveva disposto nei confronti di Ilaria Sarra, indagata del reato di cui all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001, il sequestro preventivo di un cantiere edile dove era in corso di realizzazione un fabbricato, la cui costruzione avveniva in difformità dal titolo abilitativo, costituito dal permesso di costruire n. 6692 rilasciato il 19 febbraio 2020 dal Comune di Terracina.
         2. Avverso l’ordinanza del Tribunale laziale, la Sarra, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi (i primi due sono rubricati entrambi come 1, il terzo come 2 e il quarto come 3).
         Con il primo, la difesa deduce la violazione del diritto di difesa in relazione alla mancata trasmissione da parte del P.M. dei due esposti presentati da Salvati da cui ha tratto origine il procedimento penale e che sono stati richiamati nella relazione di P.G. su cui era fondata la richiesta cautelare, vertendo tale richiamo sulla questione cruciale delle altezze e della quota di rilievo.
       Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sul fumus del reato contestato, evidenziandosi che, al momento dell’acquisto, avvenuto da parte della Sarra il 10 gennaio 2019, l’immobile era legittimato dal permesso di costruire in sanatoria n. 353/C del 1996 per la realizzazione del fabbricato, dal permesso di costruire n. 7869 del 2017 per l’ampliamento e cambio di destinazione d’uso e dalla scia prot. 70073 del 2018 per un ulteriore cambio di destinazione d’uso; a fronte di ciò, l’indagata, il 19 febbraio 2020, aveva ottenuto un ulteriore permesso di costruire per demolizione e ricostruzione con ampliamento, prevendendo il progetto la realizzazione di tre piani.
Iniziati i lavori, veniva scoperta una falda acquifera più prossima del previsto al terreno, per cui l’impostazione delle fondazioni del fabbricato veniva modificata di poco, nel rispetto degli altri parametri edilizi, riservandosi l’indagata la presentazione della scia entro la conclusione dei lavori ai sensi dell’art. 22 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di modifiche non essenziali.
Parimenti censurata è la valutazione del periculum in mora, sottolineandosi che si era in presenza di un fabbricato a uso residenziale di dimensioni contenute, posto in un’area intensamente edificata e urbanizzata priva di alcun vincolo.
         Con il terzo motivo, la difesa contesta il giudizio sulla configurabilità del reato contestato, osservando che alcuna variazione essenziale era ravvisabile rispetto ai lavori assentiti, attenendo le censure ascritte all’imputato unicamente all’altezza del fabbricato e non al numero o alla consistenza dei piani realizzati.
Peraltro, il calcolo dell’altezza complessiva del fabbricato è stato compiuto dalla P.G. in modo errato, partendo dal punto più basso esterno al lotto di proprietà e non, come avrebbe dovuto essere, partendo dal piano di campagna approvato con il permesso di costruire; dunque, l’altezza attuale del fabbricato è di 7,7 ml, ovvero 8,25 rilevati meno 0,48 pari al dislivello tra il prospetto misurato e la quota di campagna rilevata nel progetto, inferiore quindi al limite del 10% previsto dall’art. 17 comma 1 lett. d) della legge regionale n. 15 del 2008.
Di qui la conclusione secondo cui, in base agli art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 17 della legge regionale n. 15 del 2008, l’altezza attuale del fabbricato non dà luogo a una variazione essenziale rispetto al progetto tutt’ora vigente.
       Con il quarto motivo, infine, è stato eccepito il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, come di quello genetico, rispetto al nesso di pertinenzialità di cui all’art. 325 cod. proc. pen. tra il bene e il reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

     Il ricorso è infondato.
     1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che la mancata acquisizione degli esposti presentati da Antonio Salvati non integra alcun profilo di nullità, atteso che, come precisato nell’ordinanza impugnata, tali esposti non rientrano tra gli elementi posti a fondamento della richiesta di cautela reale del P.M. e del successivo decreto di sequestro preventivo adottato dal G.I.P., fondandosi l’iniziativa cautelare sugli accertamenti compiuti dalla P.G., a prescindere da quanto narrato dal querelante, mentre, quanto alla relazione tecnica a firma di Guglietta, è stato chiarito la stessa è stata richiamata nella informativa di P.G. non come documento già esteso su cui si era basato il sequestro, ma come documento che Guglietta si era riservato di redigere in una fase successiva al sopralluogo del 18 dicembre 2020; dunque, considerato che al Tribunale era stato trasmesso l’intero fascicolo del P.M., comprensivo di tutti gli atti su cui era stata basata la decisione del G.I.P., alcuna violazione del diritto di difesa appare ravvisabile nel caso di specie, non potendosi sottacere poi che la doglianza presenta evidenti limiti di specificità e di autosufficienza, non essendovi alcuna allegazione circa la generica deduzione secondo cui i due esposti presentati da Salvati sarebbero stati richiamati nella relazione di P.G., circostanza peraltro che, ove pure fosse provata, non vale affatto a smentire l’affermazione del Tribunale secondo cui tali esposti non sono stati utilizzati nei provvedimenti che hanno dato luogo all’imposizione della misura cautelare reale.
     2. Passando al secondo e al terzo motivo, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sovrapponibili, deve osservarsi che il giudizio sulla configurabilità del reato contestato non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
In via preliminare, al fine di circoscrivere l’ambito di valutazione del presente giudizio, occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez.  2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso soltanto per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso v. Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
   2.1. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non è ravvisabile né una violazione di legge, né tantomeno una lacuna motivazionale tale da rivelare la sostanziale inconsistenza delle ragioni giuridiche della decisione impugnata.
E invero occorre evidenziare che il Tribunale del Riesame ha innanzitutto operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando gli esiti del sopralluogo compiuto il 18 dicembre 2020 dai Carabinieri di Terracina, i quali, unitamente alla Polizia Locale e all’ing. Angelo Guglietta, capo del settore di vigilanza edilizia del Comune di Terracina, si erano recati presso il lotto di terreno di proprietà di Ilaria Sarra, dove era presente un cantiere edile, nel quale era in costruzione un fabbricato che risultava difforme dal titolo abilitativo, costituito dal permesso di costruire n. 6692 del 19 febbraio 2020.
L’altezza totale dell’edificio era infatti pari a 8,25 mt ed era quindi maggiore di quella assentita, pari a 7,25 mt., in misura superiore al 10%, venendo in rilievo una variazione essenziale ai sensi dell’art. 17 comma 1 lett. d) della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008; l’altezza totale del locale seminterrato era inoltre maggiore di quella assentita, emergendo il piano interrato fuori terra rispetto all’estradosso del primo solaio del piano terra, comportando tali divergenze un aumento della volumetria del fabbricato maggiore di quella autorizzata.
Nel confrontarsi con le obiezioni difensive, supportate dalla consulenza tecnica Pallagrossi, il Tribunale ha poi evidenziato, in maniera non illogica, che le misurazioni eseguite in loco dall’ing. Guglietta non potevano essere ritenute erronee, in quanto conformi all’art. 7.11 del regolamento edilizio comunale, secondo cui l’altezza di una parete esterna è la distanza verticale misurata dalla linea di terra, definita dal piano stradale o di sistemazione esterna dell’edificio, alla linea definita dal piano del terrazzo di copertura, o, per gli edifici coperti a tetto, dalla linea di gronda del tutto, dovendosi altresì tenere conto che, nel caso di immobili da realizzare su terreni in pendenza, come quello per cui si procede, collocato a un’altezza differente rispetto a quello dei lotti circostanti, l’altezza va misurata rispetto a un piano di campagna con riguardo a tutti i lati della costruzione, in modo che il valore fissato dalle norme sia rispettato in ogni punto del fabbricato, con l’ulteriore precisazione che il parametro di riferimento è pur sempre costituito dall’originario piano di campagna, cioè dal livello naturale di terreno di sedime, e non dalla quota del terreno sistemato a seguito dell’intervento edilizio o di uno sbancato a esso funzionale.
Le misurazioni dell’ing. Guglietta hanno tenuto conto del reale stato dei luoghi e dimostrano come le altezze dei vari prospetti del piano seminterrato emergevano rispettivamente di 1,58 mt. (prospetto A), di 1,71 mt. (prospetto B), di 1,65 (prospetto C) e di 1,64 (prospetto D), ben oltre i 90 cm. di cui al richiamato art. 17.1 n. 3 del regolamento edilizio comunale, questo sebbene da progetto tali altezze sarebbero dovute emergere di soli 70 cm. sopra il piano di campagna fino all’intradosso del primo solaio e dunque entro i 90 cm. indicati dal regolamento edilizio comunale perché tale spazio potesse ritenersi interrato.
Pertanto, il locale in questione non poteva essere considerato uno spazio interrato e doveva essere computato come volume, realizzato benché non regolarmente assentito; i rilievi fotografici mostravano inoltre che erano state predisposte delle aperture nel locale interrato logicamente funzionali al posizionamento di finestre, circostanza questa da valutare unitamente all’altezza raggiunta da tale locale anche fuori terra e da cui desumere che esso fosse destinato a scopo abitativo e non a mero locale accessorio.
Né era rilevante il fatto che il solaio di copertura fosse stato costruito con materiale isolante e cornice di contenimento, trattandosi comunque di superficie calpestabile, utile al calcolo dell’altezza e del volume dell’edificio in costruzione, non potendo del resto l’intervento edilizio essere scorporato in singole parti, alcune legittime, altre no, dovendo essere invece valutato unitariamente.
In ogni caso, ha aggiunto il Tribunale, la cornice di contenimento aveva uno spessore di soli 10 cm. tale da non variare le conclusioni relative al superamento dell’altezza del fabbricato come assentita, in misura superiore al 10%.
Di qui la conclusione dei giudici cautelari, preceduta da un adeguato confronto con i pur articolati rilievi difensivi, circa la sussistenza allo stato del fumus del reato contestato, presentando l’edificio in costruzione, alla luce delle misurazioni dell’ing. Guglietta, ritenute allo stato legittimamente non erronee, variazioni essenziali rispetto al progetto assentito con il permesso di costruire, dovendosi richiamare l’affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 46475 del 13/07/2017, Rv. 271172), secondo cui integra il reato ex art. 44, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, anche la realizzazione di abusi edilizi non eseguiti in difformità “totale” o eseguiti in variazione essenziale rispetto al titolo abilitativo.
Sul punto deve precisarsi che, come già chiarito da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24236 del 24/3/2010, Rv. 247686, Sez. 3, n. 41167 del 17/04/2012, Rv. 253599 e Sez. 3, n. 52977 del 17/07/2018, non mass.), in materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire, ex art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall’art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, esistendo in particolare tre tipologie di varianti: 1) le cd. “varianti leggere o minori”, quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell’edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell’attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori; 2) le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del cd. “permesso in variante”, complementare e accessorio rispetto all’originario permesso a costruire e 3) le cd. “varianti essenziali”, caratterizzate da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32”, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo e autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.
Ora, nell’ordinanza impugnata, la valutazione sull’essenzialità delle variazioni operate sull’edificio rispetto al permesso risulta adeguatamente argomentata, all’esito di una disamina non illogica delle risultanze almeno allo stato disponibili.
         2.2. In definitiva, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa, sia rispetto ai calcoli delle altezze sia in ordine alla reale consistenza degli interventi, ben potranno essere eventualmente sviluppate e approfondite, anche a livello probatorio, nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato, reso in fase cautelare reale, risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma razionale e coerente, concernendo le censure difensive aspetti che, anche in ordine ai criteri delle misurazioni eseguite, ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione.
Tale profilo, come si è già anticipato, non è tuttavia deducibile con il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, per cui non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive.
       3. Venendo al quarto motivo, deve infine osservarsi che lo stesso risulta parimenti infondato, avendo i giudici cautelari rimarcato, in modo pertinente, l’attualità del periculum in mora, dovendo essere impedita l’edificazione di una costruzione contraddistinta da variazioni essenziali rispetto al progetto assentito, con conseguente possibile pregiudizio per il territorio e la sicurezza pubblica.
Con tale argomentazione, non manifestazioni illogica, la difesa non si confronta adeguatamente, per cui anche in tal caso la doglianza difensiva va disattesa.
       4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse della Sarra deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/06/2021