Cass. Sez. III n. 37853 del 21 ottobre 2021 (PU 11 giu 2021)
Pres. Rosi Est. Reynaud Ric. Sgrillo
Urbanistica.Valutazione unitaria intervento edilizio

La valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti e se per il complessivo intervento è stato richiesto e rilasciato il permesso di costruire – quantomeno in forza dell’aumento volumetrico (cfr. art. 10, comma 1, lett. c, d.P.R. 380/2001) – laddove lo stesso sia stato ritenuto macroscopicamente illegittimo la disposizione urbanistica è violata sub specie di costruzione sine titulo e non già con (mero) riguardo alla difformità dal medesimo.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22 marzo 2021, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta da Rosa Sgrillo e volta ad ottenere l’annullamento del provvedimento con cui il g.i.p., convalidando il decreto assunto in via d’urgenza dal pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo di un immobile ubicato nel Parco nazionale del Cilento, interessato da lavori di ristrutturazione e ampliamento assentiti con permesso di costruire n. 8 del 26 marzo 2018. Il g.i.p. aveva in particolare ravvisato il fumus dei reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - sul rilievo che il predetto permesso di costruire fosse macroscopicamente illegittimo per contrasto con alcune disposizioni del Piano Territoriale Paesistico del Cilento Costiero (d’ora in avanti, PTPCC) e, comunque, che talune opere erano state eseguite in totale difformità – nonché dei reati previsti dall’art. 181 d.lgs. 42/2004 e 30 l. 394/1991, trattandosi di opere eseguite in assenza di valida autorizzazione paesaggistica e di preventivo nulla osta dell’Ente parco.

 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagata, deducendo, con il primo motivo, la violazione della legge processuale e sostanziale, con particolare riguardo alla l.r. n. 19/2009 (c.d. Piano Casa). Si rileva che, diversamente da quanto contestato nella provvisoria imputazione, il permesso di costruire non era stato rilasciato ai sensi della citata legge regionale, mai evocata nella comunicazione di notizia di reato, che prevede agevolazioni volumetriche e di superficie, ma in base all’indice di fabbricabilità fondiaria previsto dal PRG del comune di Centola. Nel non rilevare quell’errore, continuando a richiamare la l.r. n. 19/2009, l’ordinanza impugnata aveva applicato per la decisione un parametro normativo estraneo alla vicenda scrutinata.

3. Con il secondo motivo, si lamentano violazione della legge processuale e sostanziale, con particolare riguardo all’art. 14 del PTPCC, erroneamente applicato dall’ordinanza impugnata nel ritenere che il medesimo fosse ostativo al rilascio del permesso di costruire. Contrariamente a quanto ritenuto nell’ordinanza, detta previsione consente la ristrutturazione edilizia integrale – nella specie autorizzata, con parere favorevole della Soprintendenza – e non già il mero adeguamento igienico-sanitario degli edifici, essendo semplicemente richiesto, dal quinto comma, che l’intervento avvenga mediante piani urbanistici attuativi, come previsto nel comune di Centola, il cui PRG, approvato successivamente al PTPCC ed in conformità al medesimo,  nelle zone RUA consente nuove costruzioni con notevole sviluppo in altezza.

4. Con il terzo motivo, si lamentano violazione della legge processuale e sostanziale, con particolare riguardo agli artt. 142 e 146 d.lgs. 42/2004 e 9 del PTPCC. Le citate norme di legge pongono un vincolo di inedificabilità soltanto relativo per le fasce poste nei 300 m. dalla linea di battigia, vincolo suscettibile d’essere rimosso, come nella specie avvenuto, con il parere favorevole della Soprintendenza. Diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza, non si poteva peraltro far prevalere sulla disciplina di fonte statale l’art. 9 PTPCC per fondare un preteso vincolo d’inedificabilità assoluta.

3. Con il quarto motivo, si lamentano violazione della legge processuale e sostanziale, con particolare riguardo agli artt. 13 e 30 l. 394/1991, essendo stato rilasciato il nulla osta dell’Ente parco.

4. Con il quinto motivo, si lamentano violazione della legge processuale e sostanziale, con particolare riguardo agli artt. 6-bis, comma 5, 10, comma 1, lett. c), e 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001 e 2, comma 1, All. A d.P.R. 31/2007 per essere state illegittimamente ritenute sussistenti una ipotesi di totale difformità dal permesso di costruire. Il contestato aumento delle unità immobiliari – nella specie comunque inesistente – non costituisce ristrutturazione edilizia assoggettata a permesso di costruire e, in ogni caso, la difformità connessa alla mancata esecuzione della scala interna si sarebbe potuta sanare prima della fine dei lavori. Quanto ai due vani tecnologici, gli stessi erano soggetti a mera CILA, mentre l’esecuzione del muro a distanza di 70 cm. Dal fabbricato era assolutamente irrilevante. Sul piano paesaggistico, poi, si trattava di mere opere interne sottratte al regime della preventiva acquisizione dell’autorizzazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza.
Posto che l’autorità giudiziaria non è certo vincolata, sul piano giuridico, alle osservazioni contenute nella comunicazione notizia di reato, la l.r. n. 19/2009 non è stata in realtà “applicata” dai giudici del merito cautelare, essendo stata affermata, per contro, la sua irrilevanza con riguardo alle opere di cui si discute e su questo punto la ricorrente concorda, sicché la doglianza è incomprensibile e, comunque, del tutto scollegata dalla ratio decidendi che sorregge il provvedimento qui impugnato, fondato, come più oltre si dirà, su ben diversi parametri normativi.

2.  Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinanza dà atto che l’ampliamento del precedente manufatto, autorizzato con il permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, viola innanzitutto l’art. 14 PTPCC, che, con riguardo agli interventi su edifici preesistenti, consente soltanto adeguamenti igienico-sanitari e tecnologici con ampliamenti contenuti entro limiti di superficie e cubatura nella specie considerevolmente superati.
La ricorrente contesta questa affermazione, allegando che la citata norma, al quarto alinea, ammetterebbe gli interventi di ristrutturazione edilizia integrale – quale nella specie effettuato - previsti dal precedente art. 6, punto 7, del piano e che l’intervento nella specie assentito sarebbe previsto da un piano attuativo del Comune di Centola, che consente nuove costruzioni con un notevole sviluppo in altezza.
La lettura delle disposizioni dell’invocato PTPCC fatta dalla ricorrente, tuttavia, è parziale e non coglie nel segno, fondandosi peraltro su un presupposto – vale a dire, che si tratti di ristrutturazione edilizia integrale – che l’ordinanza impugnata, con accertamento in fatto qui non sindacabile, smentisce.
2.1. Ed invero, come questa Corte ha già avuto di precisare decidendo un caso analogo (v. Sez. 3, n. 37475 del 13/06/2019, Meola, Rv. 277672), l’art. 8, lett. a), PTPCC consente, per tutte le zone comprese nel Piano, quanto agli interventi su edifici preesistenti, le sole opere di manutenzione (ordinaria e straordinaria), di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, parziale ed integrale «senza comportare alcun incremento delle volumetrie esistenti». In base alle definizioni contenute nel precedente art. 6 PTPCC – richiamate nell’incipit della disposizione in esame – la ristrutturazione edilizia parziale prevede che si possa «configurare una struttura edilizia in parte difforme dalla precedente, ma nel rispetto dei vincoli planovolumetrici», con ciò ulteriormente attestando il divieto di aumenti di cubatura. Che nel caso di specie ci trovi di fronte ad una ristrutturazione soltanto parziale – e non già integrale, che prevede la previa demolizione del fabbricato preesistente – lo attesta l’ordinanza impugnata (pag. 5) e lo conferma lo stesso All. 3 al ricorso: non risulta che il progetto prevedesse la demolizione del preesistente edificio.
L’art. 9 PTPCC, poi – nella specie parimenti ritenuto violato dall’ordinanza impugnata – detta più specifiche previsioni per la tutela, tra l’altro, dei litorali marini, prevedendo ulteriori limitazioni per le aree che (come nella specie) ricadano nei 300 metri dalla linea di costa e consentendo che possano ivi effettuarsi interventi «di riqualificazione delle aree e degli edifici esistenti da realizzare secondo progetti esecutivi, finalizzati all’eliminazione degli elementi e delle zone di degrado». Al di là del fatto che il ricorso non argomenta che l’intervento oggetto di processo rispondesse a tali caratteristiche e che gli elementi in fatto riferiti nell’ordinanza consentono di escluderlo (non si trattava, invero, di “eliminare elementi di degrado”, bensì di sopraelevare un edificio ad un piano, realizzando un altro piano), l’incipit del citato art 9 richiama il precedente art. 8, con conseguente esclusione dell’aumento di volumetria.
L’art. 14 PTPCC – da ultimo – contiene una precisazione di tali norme generali con riguardo alle zone di recupero urbanistico, edilizio e di restauro paesistico ambientale (c.d. R.U.A., nella quale ricade il fabbricato in questione), prevedendo tra l’altro, con particolare riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 6, punti 6 e 7, l’ammissibilità di «eventuali ampliamenti per adeguamento igienico-sanitario e tecnologico delle unità abitative con superficie compresa entro i mq. 100», con il limite del 20% per superfici utili sino a 50 mq. e del 10% per superfici utili comprese tra 50 e 100 mq.
2.2. Nel caso di specie l’ordinanza impugnata attesta, da un lato, che il notevole ampliamento volumetrico oggetto del permesso di costruire – pari a 475,60 mc. per una superficie di 142,80 mq.  e concretizzatosi nella realizzazione di un intero nuovo piano sull’unico preesistente – non costituiva un mero adeguamento igienico-sanitario e che, in ogni caso, superava nettamente i limiti percentuali indicati, essendosi più che raddoppiata l’originaria estensione planovolumetrica del fabbricato.
Trattandosi, come detto, di ristrutturazione edilizia parziale, è generica la doglianza sulla mancata disamina dell’art. 14, alinea 5, PTPCC. Premesso che la disciplina del PTPCC (v. art. 5) sancisce espressamente la prevalenza delle relative disposizioni, tra l’altro, su quelle urbanistiche comunali, va osservato che – a tacer d’altro, come la stessa ricorrente sostiene – la disciplina comunale attuativa nella specie invocata si riferisce alle nuove costruzioni e l’ordinanza impugnata (pag. 5), sia pur sinteticamente, ne esclude l’applicabilità proprio sul rilievo che non è questo il caso.

3. Il terzo motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile per genericità e mancanza d’interesse.
 Come già più sopra accennato, l’ordinanza impugnata ha esattamente applicato l’art. 9 PTPCC, attestando che lo stesso, nella fascia territoriale di 300 metri dalla linea di battigia – in cui pacificamente ricade l’immobile oggetto di ampliamento – vieta incrementi di volumetria, così imponendosi, quale fonte sovraordinata, sugli strumenti urbanistici comunali.
3.1. Il ricorso si limita a rilevare come tale conclusione sarebbe frutto di un “ragionamento circolare”, osservando come in detta fascia di rispetto il d.lgs. 42/2004 preveda un solo vincolo d’inedificabilità relativa, che nella specie sarebbe stato rimosso dall’autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza.
Osserva, al proposito, il Collegio che i citati vincoli ex lege valgono in assenza della pianificazione paesaggistica, posto che laddove questa sia intervenuta non v’è dubbio che debba essere applicata e, a norma dell’art. 143, comma 9, d.lgs. 42/2004, «a far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'articolo 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici». Ancora, a norma dell’art. 145, comma 3, del c.d. codice Urbani, «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette».
3.2. Una volta attestato che il PTPCC non consentiva, nella zona in cui si trova l’immobile, alcun incremento volumetrico (diverso dagli adeguamenti igienico-sanitari ed ecologici nel rispetto dei limiti di superficie e cubatura previsti), il provvedimento impugnato non è affetto da  alcun “ragionamento circolare”, avendo fatto logica e corretta applicazione delle richiamate norme di legge, che la ricorrente trascura di considerare. Per contro, risultano assolutamente inconferenti le argomentazioni svolte dalla ricorrente circa la legittimità dell’intervento assentito sulla base della disciplina urbanistica comunale, come pure il richiamo al rilascio del parere favorevole da parte della Soprintendenza, avendo l’ordinanza attestato l’illegittimità del titolo edilizio.
3.3. Ai fini del presente giudizio cautelare, poi, non rileva se nella specie sia o meno configurabile anche il fumus del reato di cui all’art. 181 d.lgs. 42/2004, circostanza, questa, sulla quale l’ordinanza impugnata non prende specifica posizione. Basta, infatti, il fumus di almeno un reato idoneo a legittimare il mantenimento della misura cautelare reale – nella specie, quello di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R, 380/2001 per essere state eseguite opere vietate dalla disciplina urbanistica in forza di un permesso di costruire macroscopicamente illegittimo.
Ed invero, vale il principio secondo cui è affetto da difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez.  3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448;  Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).

4. L’argomentazione da ultimo svolta rivela l’inammissibilità anche degli ultimi due motivi di ricorso, essendo a questo punto irrilevante attestare se ricorra (anche) il fumus  del reato di cui all’art. 30 l. 394/1991 e se le opere siano state o meno eseguite in totale difformità dall’illegittimo permesso a costruire rilasciato, come tale tamquam non esset, come pure se singoli lavori fossero o non fossero assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire.
A quest’ultimo proposito, basti osservare che la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez.  3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473; Sez.  3, n. 5618 del 17/11/2011,  dep. 2012, Rv. 25212) e se per il complessivo intervento è stato richiesto e rilasciato il permesso di costruire – quantomeno in forza dell’aumento volumetrico (cfr. art. 10, comma 1, lett. c, d.P.R. 380/2001) – laddove lo stesso sia stato ritenuto macroscopicamente illegittimo la disposizione urbanistica è violata sub specie di costruzione sine titulo (e sul punto la ricorrente non muove specifiche contestazioni) e non già con (mero) riguardo alla difformità dal medesimo.

5. Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’11 giugno 2021.