Cass. Sez. III n. 2291 del 19 gennaio 2018 (Ud 28 nov  2017)
Presidente: Ramacci Estensore: Reynaud Imputato: Canni
Urbanistica.Prescrizione e onere della prova

In tema di prescrizione, grava sull'imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 marzo 2017, la Corte d’appello di Caltanissetta, giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 24 marzo del 2015, che aveva condannato Francesco Cannì alle pene di legge per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per aver realizzato, senza permesso di costruire e su un preesistente immobile abusivo, le opere edilizie meglio descritte nella rubrica, e ciò in epoca antecedente e prossima all’accertamento da parte della Polizia Municipale (avvenuto il 5 dicembre 2012).
 
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore costituito procuratore speciale, ha proposto ricorso l’imputato, deducendo un unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Si lamenta, in particolare, violazione del principio del favor rei per non essere stata ritenuta la prescrizione del reato pur in assenza di data certa di realizzazione delle opere abusive, che risultavano ultimate all’atto del sopralluogo di polizia del 5 dicembre 2012. Poiché l’immobile abusivo sul quale furono realizzate le ulteriori opere oggetto di processo era stato sequestrato nell’ambito di un primo procedimento penale avviato per l’originario abuso edilizio e restituito all’imputato nel Settembre 2010, i lavori senza permesso contestati nel presente procedimento sarebbero potuti avvenire – deduce il ricorrente – all’indomani del dissequestro, sì da poter essere ultimati prima del quinquennio anteriore alla data della pronuncia della sentenza d’appello (che deve ritenersi essere 31 Marzo 2017, come indicato nel frontespizio della sentenza e nel verbale di udienza del dibattimento d’appello, essendo invece erronea la data del 30 Marzo 2017 indicata nel dispositivo del provvedimento). Nel disattendere il motivo d’appello che già in allora era stato sul punto proposto, sul rilievo che non sussisterebbe «alcun elemento obiettivo che possa consentire di retrodatare le opere in contestazione in epoca […] utile per la pronunzia di prescrizione», la Corte territoriale avrebbe dunque violato il principio del favor rei affermando un’illegittima inversione dell’onere della prova circa la data di commissione del reato.
 



CONSIDERATO IN DIRITTO
    
    1. Con unico motivo, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia dichiarato la prescrizione del reato in base alla mera, astratta, possibilità che i lavori abusivi di cui alla contestazione potessero essere stati ultimati cinque anni prima della pronuncia della sentenza di secondo grado e - senza neppure allegare quale sarebbe stata la data di ultimazione dei lavori - mostra di voler accollare al pubblico ministero l’onere di provare la mancata verificazione di una causa di estinzione del reato qual è la prescrizione, lamentandosi del fatto che la sentenza impugnata abbia invece invertito tale onere della prova ponendolo illegittimamente a carico dell’imputato. Tale doglianza, ad avviso della Corte, è inammissibile perché generica e comunque manifestamente infondata.

2. Ed invero, secondo un risalente e consolidato orientamento di legittimità che deve essere qui ribadito, in tema di prescrizione, grava sull'imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181; Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, Cusati, Rv. 243765). Più in particolare, con specifico riferimento al reato di costruzione in assenza di concessione edilizia in allora punito ai sensi dell’art. 20 legge 28 febbraio 1985 n. 47, si è affermato che, «sempre restando a carico dell'accusa l'onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell'imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l'incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio "in dubio pro reo", atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata» (Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000, Fretto, Rv. 217575).
 Nel caso di specie, da quanto risulta dalla sentenza impugnata e dalla sentenza di primo grado – richiamata dallo stesso ricorrente nell’atto di impugnazione - non solo l’imputato non ha richiesto nel giudizio di merito l’assunzione di prove per dimostrare una data di ultimazione dei lavori diversa da quella indicata in imputazione e collocata in epoca anteriore e prossima al 5 dicembre 2012, data dell’accertamento, ma neppure risulta aver mai specificamente allegato tale circostanza, essendosi limitato a sostenere – sia nell’atto d’appello, sia nel ricorso per cassazione – che sarebbe stata possibile un’ultimazione dei lavori in epoca precedente al quinquennio dalla data della pronuncia della sentenza di secondo grado.
 Osserva, al proposito, il Collegio che, essendo stata la sentenza impugnata pronunciata il 31 marzo 2017 ed essendo stato il processo in primo grado rinviato per tre volte su richiesta del difensore impedito per concomitanti impegni professionali (dal 18 marzo all’11 aprile 2014; dall’11 aprile al 16 maggio 2014; dal 16 maggio al 7 ottobre 2014), con conseguente sospensione del corso della prescrizione per complessivi giorni 119 (nel caso dell’ultimo rinvio la sospensione opera soltanto per 60 giorni), il reato si sarebbe potuto considerare prescritto al momento della pronuncia impugnata qualora le opere abusive fossero state ultimate oltre un anno prima dell’accertamento, circostanza, questa, sulla quale non v’è alcuna effettiva situazione di dubbio che possa legittimare l’applicazione del principio del favor rei codificato nell’art. 531, comma 2, cod. proc. pen.
Ed invero, la regola di giudizio secondo cui il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere anche quando vi è dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato presuppone una situazione di effettiva incertezza sul fatto che integra gli estremi della causa stessa, incertezza fondata anche soltanto su semplici indizi privi dei connotati richiesti dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., non essendo per contro sufficiente la mera, astratta, possibilità che quel fatto sussista.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,  consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/11/2017.