Cass. Sez. III n. 44921 del 25 ottobre 2016 (Cc 18 mag 2016)
Pres. Amoresano Est. Liberati Ric. PM in proc. Consoli
Urbanistica. Requisiti della ristrutturazione

La possibilità di qualificare un intervento edilizio come ristrutturazione, per la quale non è necessario il permesso di costruire, essendo assoggettato al regime semplificato della S.C.I.A., richiede che esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, o, in alternativa, l'accertamento della preesistente consistenza dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonchè, in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente struttura

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 maggio 2015 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce ha disposto non doversi procedere nei confronti di C.B., P.D., T.M.L., B.A. e Ca.An.Ro., imputati per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 13, (il solo T.), art. 479 c.p. (i soli Ca. e B.), art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (tutti gli imputati), perchè i relativi fatti non sussistono.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, lamentando violazione di legge penale e vizio di motivazione.

2.1. Ha censurato, anzitutto, la riconducibilità della demolizione e successiva ricostruzione di due antiche pajare semidiroccate alla nozione di ristrutturazione, in quanto la ricostruzione di un rudere preesistente non può ricondursi all'ambito di operatività della ristrutturazione edilizia, trattandosi di intervento sostanzialmente nuovo che richiede specifico e preventivo titolo abilitativo, con la conseguente violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3.

2.2. Ha inoltre prospettato l'illogicità della motivazione nella parte in cui, pur dando atto del contenuto della Delib. del consiglio comunale di Specchia 21 maggio 2015, che aveva previsto in via generale il rilascio di permesso di costruire a titolo oneroso in zone agricole solo in relazione ad interventi di tutela, conservazione, restauro e ripristino degli elementi e manufatti crollati sulle costruzioni tipiche della civiltà contadina (pajare, liame, furneddi, suppinne, muri a secco), aveva tuttavia ritenuto compatibile la demolizione e ricostruzione delle due pajare in questione, sulla base del rilievo che la previsione della conservazione doveva essere intesa con riferimento ad immobili recuperabili, quali non erano quelli oggetto dell'intervento oggetto della contestazione, evidenziando come tale interpretazione fosse contraddittoria, illogica ed in contrasto con la lettera e la ratio della suddetta deliberazione del Consiglio comunale.

3. Ca.An.Ro. ha depositato memoria, mediante la quale ha resistito alla impugnazione del Pubblico Ministero, evidenziandone l'inammissibilità, per essere il ricorso fondato su argomenti diversi da quelli consentiti, non essendo indicati gli elementi probatori ulteriori che avrebbero potuto essere acquisiti nel dibattimento o i punti del quadro probatorio che con il contraddittorio dibattimentale avrebbero potuto essere integrati.

3.1. Nel merito ha affermato l'infondatezza del ricorso del Pubblico Ministero, evidenziando che il complesso oggetto del rilascio del permesso di costruire, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d), si trovava in condizioni di degrado tali da essere interessato da collasso strutturale, ma ne era comunque stata rilevata l'esatta consistenza plano-volumetrica, e la ristrutturazione prevista avrebbe realizzato un edificio diverso per sagoma rispetto all'originario ma rispettoso del volume complessivo e della superficie già occupata.

Ha inoltre precisato che l'area nella quale si trovavano i due fabbricati oggetto dell'intervento edilizio di demolizione e ricostruzione non era sottoposta ad alcun vincolo paesaggistico, con la conseguente inconferenza del richiamo all'art. 9 Cost. da parte del Pubblico Ministero nel suo ricorso.

Ha aggiunto che l'intervento programmato ed assentito poteva essere ricondotto alla nozione di ristrutturazione edilizia, non essendo tale attività vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio preesistente, ed essendo, nel caso specifico, stata accertata la consistenza dell'edificio preesistente e prevista la realizzazione di un organismo edilizio diverso dal precedente, ma con un recupero della superficie e del volume originari, non occorrendo che l'intervento di ristrutturazione sia fedele all'organismo preesistente (essendo stato eliminato tale aggettivo dal D.P.R. n. 380 del 2001, art.).

In ordine alla compatibilità dell'intervento di demolizione ed integrale ricostruzione ha evidenziato che esso non si poneva in contrasto con l'art. 42 delle Norme tecniche di attuazione, che vietava la demolizione delle pajare o dei trulli esistenti, dovendo tale divieto intendersi riferito alle pajare in buono stato di conservazione, come chiarito in una circolate esplicativa del responsabile dell'Ufficio Tecnico Comunale di Specchia, anteriore ai fatti ed anche alla deliberazione del Consiglio comunale di Specchia del 12 maggio 2011 richiamata dal Pubblico Ministero nel suo ricorso, con la conseguenza che il divieto di demolizione di cui a tale deliberazione interessava solamente i manufatti in buono stato di conservazione, tra cui non potevano essere inclusi quelli oggetto dell'intervento in questione, interessati da collasso strutturale e non recuperabili.

4. Hanno depositato memoria congiunta anche i proprietari - committenti, C.B. e P.D., resistendo anch'essi alla impugnazione del Pubblico Ministero, affermando che l'intervento eseguito poteva essere ricondotto alla nozione di ristrutturazione edilizia, essendo stata attestata la preesistente consistenza ed i preesistenti dati plano-volumetrici del fabbricato oggetto dell'intervento, non essendo la ristrutturazione edilizia, come disciplinata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d), vincolata al rispetto degli elementi tipologici e formali dell'edificio preesistente, ed essendo l'intervento eseguito volto al recupero dello spazio occupato dall'edifico preesistente, attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo.

Hanno aggiunto che, secondo quanto accertato dal tecnico progettista, lo stato di conservazione dei due fabbricati (uno semi diruto e l'altro diruto) non consentiva un recupero tipologico, formale e strutturale (ossia interventi di restauro o risanamento conservativo), ma solo la realizzazione di un edificio radicalmente e qualitativamente diverso, mediante un intervento riconducibile alla nozione di ristrutturazione edilizia.

Quanto alla differenza tra la sagoma contemplata dal progetto e quella desumibile dalle mappe catastali, hanno eccepito l'inattendibilità di queste ultime al fine dell'accertamento della consistenza dei fabbricati esistenti, concludendo per il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del Pubblico Ministero è fondato.

1. Giova, preliminarmente, ricordare che, secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, il giudice dell'udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a provvedere, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., comma 3, solo quando il materiale probatorio sia assolutamente inidoneo a sostenere l'accusa in giudizio e cioè quando manchino le condizioni per una prognosi favorevole all'accusa: il giudizio, quindi, deve essere di mera valutazione processuale e non un vero e proprio giudizio di merito sulla colpevolezza dell'imputato, che compete solo al giudice del dibattimento (Sez. 2, n. 48831 del 14/11/2013, Maida, Rv. 257645; conf. Sez. 2, n. 46145 del 05/11/2015, Caputo, Rv. 265246; Sez. 5, n. 26756 del 26/02/2016, Miglietta, Rv. 267189; Sez. 2, n. 15942 del 07/04/2016, I., Rv. 266443).

Il giudice dell'udienza preliminare ha, dunque, il potere di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., comma 3, solo quando l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti rivestano caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente superabili nel giudizio (Sez. 6, n. 10849 del 12/01/2012, Petramala, Rv. 252280), anche tenendo conto della suscettibilità del compendio probatorio a subire mutamenti nella fase dibattimentale (Sez. 6, n. 29156 del 03/06/2015, Arvonio, Rv. 264053).

2. Ora, nella decisione in esame, il Giudice dell'udienza preliminare, dopo aver premesso che la vicenda riguardava la demolizione di due pajare adiacenti, e la loro ricostruzione in un edificio unico, con sagoma diversa ma senza superare nè la superficie nè il volume iniziale espresso dagli edifici demoliti, ha ritenuto qualificabile tale intervento come ristrutturazione ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d), evidenziando che l'intervento denunciato consisteva nella realizzazione sulla stessa area di un nuovo edificio, di dimensioni leggermente inferiori, per superficie e cubatura, rispetto a quello preesistente, e quindi realizzabile anche in assenza di permesso di costruire, essendo sufficiente una DIA (attualmente SCIA).

2.1. Quanto alla compatibilità di tale intervento con le Norme Tecniche di Attuazione, che all'art. 42 vietano la demolizione delle pajare e consentono nelle zone agricole, quale quella oggetto dell'intervento in questione, solamente la costruzione di case rurali, cioè al servizio della conduzione del fondo, mentre quella risultante dalla ristrutturazione era destinata a civile abitazione, il Giudice dell'udienza preliminare ha affermato che tale divieto deve essere inteso come limitato alle sole pajare recuperabili, in quanto non avrebbe "senso immaginare che la norma tuteli ruderi irrecuperabili che, lasciati privi di qualsiasi intervento, sarebbero destinati a sparire naturalmente nel corso degli anni per collasso strutturale", sottolineando che dalle fotografie acquisite si ricavava che una delle due pajare era completamente diruta e l'altra lo era in buona parte; il divieto di edificare costruzioni non aventi destinazione agricola, cioè strumentali alle esigenze di coltivazione di un fondo rustico, sarebbe limitato alle sole nuove costruzioni e non anche a quelle preesistenti e da ristrutturare, in considerazione della possibilità di realizzare depositi di rottami, impianti di smaltimento di rifiuti o laboratori artigianali per attività non connesse all'agricoltura, che consentirebbe di ravvisare la possibilità di mutare la destinazione d'uso nel caso di ristrutturazione di un immobile preesistente.

3. Tali considerazioni non sono condivisibili.

3.1. Va, anzitutto, rilevato che il Giudice dell'udienza preliminare, in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale ricordato, ha compiuto una vera e propria valutazione di merito sulla colpevolezza degli imputati, senza limitarsi ad una valutazione di astratta idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, omettendo anche di tener conto dei possibili sviluppi degli stessi a seguito dell'istruttoria dibattimentale, ad esempio con riguardo alle condizioni dei due manufatti preesistenti, alla loro consistenza ed alla loro possibilità di recupero in luogo della demolizione, e quindi della potenziale idoneità di tali sviluppi a consentire di superare le eventuali contraddittorietà degli elementi acquisiti, con la conseguente esorbitanza dai poteri attribuitigli.

3.2. La motivazione della sentenza impugnata risulta, inoltre, apodittica per quanto riguarda la corrispondenza di superficie e volumetria tra i fabbricati preesistenti e quelli oggetto dell'intervento edilizio oggetto della contestazione, non essendo tale asserzione fondata su elementi univoci, e potendo il relativo punto, che riguarda la qualificazione giuridica dell'intervento e non una questione di fatto, essere oggetto di sviluppo a seguito dell'istruttoria dibattimentale.

La possibilità di qualificare un intervento edilizio come ristrutturazione, per la quale non è necessario il permesso di costruire, essendo assoggettato al regime semplificato della S.C.I.A., richiede, infatti, che esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, o, in alternativa, l'accertamento della preesistente consistenza dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonchè, in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente struttura (così Sez. 3, n. 40342 del 03/06/2014, Quarta, Rv. 260552; conf. Sez. 3, n. 45147 del 08/10/2015, Marzo, Rv. 265444, che ha ribadito la necessità, per poter qualificare come ristrutturazione edilizia l'intervento di ripristino o di ricostruzione di un edificio o di parte di esso, eventualmente crollato o demolito, di accertarne, in base a riscontri documentali o ad altri elementi certi e verificabili, e non, quindi, ad apprezzamenti meramente soggettivi, la preesistente "consistenza", intesa come il complesso di tutte le caratteristiche essenziali dell'edificio, quali volumetria, altezza, struttura complessiva; con la conseguenza che la mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, impedisce di ritenere sussistente il requisito che il D.L. n. 69 del 2013, art. 30 richiede per escludere, in ragione della anzidetta qualificazione, la necessità di preventivo permesso di costruire; conf. Sez. 3, n. 45240 del 26/10/2007, Scupola, Rv. 238464, che ha escluso la qualificabilità come ristrutturazione edilizia o manutenzione straordinaria dei lavori di ricostruzione di un trullo o pajara).

Ora, nella specie, il Giudice dell'udienza preliminare ha del tutto omesso di considerare la rilevanza sulla qualificazione giuridica dell'intervento, e dunque sulla sussistenza o meno dell'illecito edilizio, dei possibili sviluppi derivanti dall'istruttoria dibattimentale in ordine a tali aspetti, con la conseguente insufficienza della motivazione della sentenza impugnata al riguardo.

3.3. Infine la motivazione in ordine alla inapplicabilità dei divieti stabiliti dall'art. 42 delle Norme Tecniche di Attuazione, secondo cui non possono in nessun caso essere demolite le pajare e nelle zone agricole (come quella interessata dall'intervento edilizio oggetto della contestazione) non possono essere realizzate civili abitazioni, ma solo case rurali, risulta illogica, in quanto limita il primo divieto alle sole pajare suscettibili di recupero edilizio, in assenza di qualsiasi disposizione in tal senso, attraverso un percorso argomentativo che non risulta coerente nè conforme alla regole della logica, risultando priva di fondamento testuale l'individuazione di detto limite al divieto di demolizione delle pajare; anche la, sostanziale, disapplicazione del divieto di realizzare fabbricati civili nelle zone agricole risulta frutto di un iter argomentativo illogico, essendo stata ricavata l'inapplicabilità di tale divieto dalla possibilità di realizzare depositi di rottami, impianti di smaltimento dei rifiuti o laboratori artigianali, di cui non è stata adeguatamente illustrata la relazione con le civili abitazioni (quale quella oggetto dell'intervento edilizio realizzato dagli imputati), sicchè anche tale ultima affermazione risulta frutto di un ragionamento illogico.

La sussistenza dei vizi della motivazione denunciati comporta, in conclusione, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Lecce.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2016.