Cass. Sez. III n.23074 del 10 giugno 2008 (Ud. 16 apr.2008)
Pres. Altieri Est. Sensini Ric. Di Iorio ed altra
Urbanistica. Responsabilità del comproprietario

La responsabilità per illeciti edilizi del proprietario del bene, non committente o esecutore dei lavori, può ricavarsi da indizi precisi e concordanti, quali l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, l'assenza di manifestazioni di dissenso, il comune interesse alla realizzazione dell'opera (fattispecie relativa ad imputata la quale benché formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 - Con sentenza in data 9/5/2007, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia resa in data 12/1/2006 dal Tribunale di Agrigento nei confronti di D.I.R. e D.M.C., dichiarava non doversi procedere nei loro confronti in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p. D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95 (capi d) ed e) della rubrica) per essere gli stessi estinti per prescrizione; riduceva la pena per i restanti reati (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163; D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 53, 64, 71 e 72) a mesi uno, giorni otto di arresto ed Euro quindicimila di ammenda. Confermava il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla demolizione delle opere abusive entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Fatti commessi in Lampedusa in epoca antecedente e prossima al (OMISSIS).

Agli imputati era stato contestato di avere realizzato in qualità di committenti, in concorso tra loro, lavori edili in terreno sito in (OMISSIS), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, consistiti nella costruzione, in assenza della concessione edilizia e senza la preventiva autorizzazione della competente Soprintendenza, di un immobile ad una elevazione fuori terra, avente superficie di mq. 18,67 circa, altezza mt. 3 e struttura portante in pilastri di cemento armato. I Giudici del merito ritenevano inapplicabile la normativa sul "condono edilizio", malgrado la tempestiva presentazione della domanda da parte degli imputati ed il rilascio del provvedimento di sanatoria, in ragione della collocazione del manufatto in zona soggetta a vincolo paesaggistico e del mancato completamento al grezzo delle opere alla data del 31/3/2003. Si dava atto nelle sentenze di merito che, alla data del sopralluogo del 15/3/2004, i lavori erano in corso di definizione, tanto che venivano rinvenuti due operai all'opera nel cantiere, uno dei quali intento a lavorare alla realizzazione del tetto.

2 - Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati personalmente, deducendo: 1) difetto e/o illogicità della motivazione in ordine alla collocazione temporale del fatto-reato, con conseguente esclusione del beneficio del condono. In realtà, i verbalizzanti escussi avevano riferito di aver constatato in loco la presenza di operai, senza saper riferire in quale attività fossero impegnati ed altri testi avevano riferito che l'immobile in contestazione costituiva completamento di altro preesistente, già realizzato nell'anno 2000, come era evincibile dalla aerofotogrammetria in atti, per cui doveva ritenersi che i lavori in corso riguardassero soltanto la sostituzione di lastre di eternit danneggiate;

2) difetto di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputata D.M.C., affermata per il solo fatto di essere proprietaria dell'area edificata, in regime di comunione di beni con il marito e con lo stesso convivente. Al contrario, non solo la donna risiedeva ad (OMISSIS), ma non risultava avere mai svolto attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori, e non aver mai presentato alcuna richiesta nè di titolo abilitativo nè di sanatoria;

3) illegittimità della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione delle opere abusivamente realizzate.

3 - In data 31/3/2008 venivano presentati motivi aggiunti a firma del difensore, Avv. De Federicis, ed, in particolare, con il primo motivo si censurava l'omessa motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla esclusione dell'intervento realizzato dalla sanatoria edilizia di cui alla L. n. 326 del 2003, benchè l'opera, per la sua entità e per le sue caratteristiche, dovesse essere annoverata tra gli abusi "minori", con conseguente possibilità di "condono", anche se insistente su zona vincolata paesaggisticamente (cfr. Cass. Sez. 3, 4/5/2004 n. 37865).


MOTIVI DELLA DECISIONE

4 - Il primo motivo "aggiunto" è inammissibile, in quanto, per il combinato disposto dell'art. 585 c.p.p., comma 4, e art. 167 disp. att. c.p.p., i nuovi motivi devono riguardare i capi ed i punti della decisione enunciati a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), ai quali si riferisce l'impugnazione. Pertanto, devono ritenersi inammissibili, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., i motivi che siano diversi da quelli enunciati nell'atto originario del ricorso per Cassazione e con i quali sono stati investiti capi della sentenza diversi da quelli costituenti oggetto del motivo di gravame (cfr., ex multis, Cass. Sez. 1, 21/2/1995 n. 1708, Colazzo).

Nella specie, il motivo relativo alla pretesa condonabilità dell'opera sotto la diversa angolazione della sua tipologia introduce un thema decidendum del tutto diverso da quello inizialmente devoluto.

4.1 - Venendo ai motivi sviluppati dai ricorrenti con il gravame originario, manifestamente infondata è la prima censura, relativa alla pretesa illogicità della motivazione in ordine alla collocazione temporale del fatto - reato, con conseguente esclusione dalla sanatoria edilizia, essendo stato, erroneamente, l'intervento ritenuto non ultimato alla data del 31/3/2003.

Invero, con congruo ed esaustivo apparato argomentativo, la Corte di merito ha precisato come dalle deposizioni dei testi C., F. e Di.Ma. fosse emerso che, in sede di sopralluogo eseguito in data 15/3/2004, l'imputato e due operai erano stati sorpresi intenti alla realizzazione del tetto, ancora in fase di esecuzione e che, inoltre, l'immobile risultava privo di pavimentazione e non erano state eseguite le opere di tamponatura esterna. Pertanto, i Giudici del merito hanno correttamente ritenuto che non ricorresse, a prescindere dal vincolo paesaggistico di cui sopra, il requisito dell'"ultimazione" dell'opera, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 2, cui rinvia il D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 25, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003.

4.2. - Manifestamente infondata deve ritenersi anche la censura relativa alla ritenuta responsabilità dell'imputata D.M. C., asseritamente affermata per il solo fatto di essere proprietaria dell'area edificata, in regime di comunione di beni con il marito. Questa Corte, avuto riguardo alla responsabilità per illeciti edilizi del proprietario del bene, non committente o esecutore dei lavori, ha più volte affermato che essa può ricavarsi da indizi precisi e concordanti, quali l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, l'assenza di manifestazioni di dissenso, il comune interesse alla realizzazione dell'opera (cfr. Cass. Sez. 3, 22/1/2003 n. 10632, Di Stefano ed altro; Sez. 3, 10/2/2000 n. 7314, Isaia ed altro). Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto con il motivo di gravame, i Giudici del merito hanno rilevato che la donna, benchè formalmente residente in (OMISSIS), conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi.

Deve, pertanto, ritenersi che i primi Giudici abbiano correttamente applicato il principio secondo cui il comproprietario del bene ha il potere (ed il dovere) di porre il veto all'esecuzione di opere non assentite sull'area in regime di comunione. Se poi questi è il coniuge del comproprietario autore dell'opera, non può non tenersi conto della stretta comunanza di interessi, che rendono il coniuge naturalmente partecipe di tutte le deliberazioni di rilevanza familiare, a meno che l'interessato non provi (cosa, nella specie, non avvenuta) l'insussistenza di tali presupposti nel caso concreto.

4.3 - Manifestamente infondato, è, infine, il motivo relativo alla pretesa illegittimità della sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione dell'opera abusiva.

Costante è l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il Giudice, nel concedere il beneficio ex art. 163 c.p. per il reato di esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire o in difformità dallo stesso, legittimamente può subordinare detto beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile (cfr., ex multis, Cass. Sez. Un. 20/11/1996 n. 714, Luongo; conf.

Sez. 3, 19/9/2007 n. 38071, Terminiello ed altro; Sez. 3, 17/1/2003 n. 18304, Guido). Nella specie, l'apposizione della condizione della subordinazione del beneficio è stata adeguatamente motivata dalla Corte territoriale, avuto riguardo alla reiterazione della condotta illecita, malgrado entrambi gli imputati fossero stati già sottoposti ad analogo procedimento penale.

5 - Il gravame va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla ridetta declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento in solido tra i ricorrenti e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata per ciascuno, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 1.000,00.


P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2008