Cass. Sez. III n. 39322 del 9 ottobre 2009 (Cc 13 lug 2009)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. PM in proc. Berardi ed altri
Urbanistica. Sequestro preventivo, misure ripristinatorie ed acquirente dell’immobile

Oggetto del sequestro preventivo di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. In relazione al reato di costruzione abusiva, con riferimento alla posizione del soggetto che acquisti la proprietà dell’immobile successivamente al compimento dell’abuso - ferme le ipotesi di nullità dell’atto di vendita specificamente poste dalla legge - la giurisprudenza è altresì costantemente orientata nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari dell’immobile, indipendentemente dall’essere stati o meno questi ultimi gli autori dell’abuso, salva la loro facoltà di fare valere sul piano civile la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa. L’interesse dell’ordinamento è nel senso che l’immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell’impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria (e di adottare il sequestro preventivo) nei confronti del proprietario successivo non responsabile dell’abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l’anzidetta fondamentale funzione. Quanto alla demolizione dell’opera abusiva - che deve essere disposta dal giudice penale con una sentenza di condanna o ad essa equiparata, ex art. 31, ultimo comma, del D.P.R. n. 380/2001 - è dunque irrilevante la circostanza che l’attuale proprietario del bene sia persona diversa dall’autore dell’illecito.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRASSI Aldo - Presidente -

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -

Dott. FIALE Aldo - Consigliere -

Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere -

Dott. SARNO Giulio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LATINA;

nei confronti di:

1. B.F., nato a (OMISSIS);

2. S.S., nato a (OMISSIS);

3. P.M., nato a (OMISSIS);

4. C.R., nata a (OMISSIS);

avverso la ordinanza 24.10.2007 (depositata il 22.1.2009) del

Tribunale per il riesame di Latina;

Visti gli atti, la ordinanza impugnata ed il ricorso;

Udita, in Camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere Dr.

Aldo Fiale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. Passacantando

Guglielmo, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio

dell'ordinanza impugnata;

Udito il difensore, Avv.to Fiore Angelo, il quale ha concluso

chiedendo il rigetto del ricorso del P.M..

 

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 24.10.2007 (depositata il 22.1.2009), accoglieva l'appello proposto nell'interesse di B. F., S.S., P.M. e C.R. avverso il provvedimento 25.7.2007 con il quale il G.I.P. di quello stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta di revoca del sequestro preventivo di unità immobiliari facenti parte di un complesso edilizio sito in (OMISSIS), alla (OMISSIS) (misura di cautela reale adottata in relazione all'ipotizzato reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

Il Tribunale premetteva che gli appellanti erano terzi acquirenti degli immobili asseritamente abusivi - rimasti estranei al processo penale instaurato nei confronti dei loro danti causa - e ne avevano acquisito la proprietà sulla base di atti di compravendita nei quali veniva attestata la loro regolarità amministrativa. Affermava, quindi, che "l'essere acquirente dell'immobile di per sè non è idoneo ad elidere le esigenze specialpreventive", ma che, nella specie, le esigenze cautelari dovevano ritenersi cessate, "atteso che nessun reato potrà commettersi - ovvero nessuna conseguenza di un reato da altri in precedenza commesso può sussistere - nella situazione de qua proprio in regione delle descritte circostanze fattuali". Annullava, conseguentemente il provvedimento appellato e revocava il sequestro medesimo, ordinando la restituzione dei beni sequestrati agli aventi diritto.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Latina, il quale ha eccepito che:

a) erroneamente il Tribunale avrebbe "richiamato i concetti di buona fede e di affidamento incolpevole da parte di chi, inconsapevole delle vicende amministrative, acquisti un immobile poi sottoposto a misura cautelare reale".

Nella specie, infatti:

- il sequestro era stato disposto in relazione non soltanto alla contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 ma anche ai delitti di cui agli artt. 323 e 479 c.p., prospettando l'accusa che il processo di formazione dell'atto abilitativo edilizio "sia stato inficiato da interferenze di natura privatistica di tipo collusivo";

- il D.P.R. n. 380 del 2001 "sanziona con la nullità l'atto di trasferimento di un immobile allorquando sia stata rilevata la illegittimità-illiceità del procedimento amministrativo posto a fondamento del provvedimento ampliativo";

- la tutela del terzo acquirente può trovare attuazione "nell'alveo degli strumenti previsti dal diritto civile mediante l'esercizio delle azioni a protezione del diritto nascente dal contratto previa eventuale risoluzione del rapporto, non potendo l'affidamento incolpevole del terzo estendersi fino al punto da incidere sopra ambiti di natura pubblicistica";

b) incongruamente lo stesso Tribunale avrebbe negato la sussistenza di un pericolo di aggravamento del reato, omettendo di valutare le conseguenze di incremento del "carico urbanistico" inevitabilmente connesse alla finzione dei beni abusivamente realizzati.

Il difensore degli interessati ha depositato memoria in data 29.4.2009, confutando le argomentazioni svolte nel ricorso.

Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento.

1. Appare necessaria, per la comprensione della vicenda, una sommaria ricostruzione dei fatti.

Il procedimento in esame si connette - secondo l'impostazione accusatoria non contestata dai ricorrenti - alla realizzazione, nella via (OMISSIS) di (OMISSIS), di un complesso edilizio plurifamiliare delle dimensioni di mq. 2.962 circa, composto da n. 12 unità abitative a schiera, autorizzato con permesso di costruire n. (OMISSIS) del (OMISSIS) in seguito alla falsa rappresentazione (con arbitraria correzione delle tavole del PRG) delle destinazioni urbanistiche di due particelle fondiarie, prospettate come insistenti in "zona residenziale (OMISSIS)" (e perciò computate nel rapporto piano- volumetrico ai fini della determinazione dell'indice di fabbricabilità fondiario), laddove esse avevano invece ad oggetto un bene pubblico demaniale ed un'area destinata a "verde pubblico" sulla quale era prevista la realizzazione di una strada pubblica.

In relazione a tale vicenda sono stati indagati la proprietaria del suolo, i legali rappresentanti della società costruttrice (s.r.l.

"San Lorenzo") e due tecnici del Comune di Sabaudia, nei confronti dei quali l'accusa ha configurato il concorso nei delitti di cui agli artt. 640 cpv. e 479 c.p., e nella contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

2. Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte Suprema, oggetto del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1 può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (vedi Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, a 156/1993, n. 2296/1992).

In relazione al reato di costruzione abusiva, con riferimento alla posizione del soggetto che acquisti la proprietà dell'immobile successivamente al compimento dell'abuso - ferme le ipotesi di nullità dell'atto di vendita specificamente poste dalla legge - la giurisprudenza è altresì costantemente orientata nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile, indipendentemente dall'essere stati o meno questi ultimi gli autori dell'abuso, salva la loro facoltà di fare valere sul piano civile la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa (vedi C. Stato, Sez. 5, 1.3.1993, n. 308; nonchè già Cass., Sez. 3: 5.11.1998, Frati e 24.11.1999, Barbadoro e, più di recente, Cass., Sez. 3:

13.10.2005, n. 37120, Morelli; 10.5.2006, n. 15954, Tumminello).

L'interesse dell'ordinamento è nel senso che l'immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell'impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria (e di adottare il sequestro preventivo) nei confronti del proprietario successivo non responsabile dell'abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l'anzidetta fondamentale funzione.

Quanto alla demolizione dell'opera abusiva - che deve essere disposta dal giudice penale con una sentenza di condanna o ad essa equiparata, ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, u.c. - è dunque irrilevante la circostanza che l'attuale proprietario del bene sia persona diversa dall'autore dell'illecito.

La natura amministrativa ripristinatoria del provvedimento in questione (vedi Cass., Sez, Unite, 20.11.1996, Luongo) esclude, infatti, che allo stesso possano applicarsi i principi propri del sistema sanzionatorio penale relativi al carattere personale della pena.

Neppure sembra (anche tenendo conto delle argomentazioni svolte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza pronunziata il 30.8.2007 - ricorso n. 75909/01 proposto contro l'Italia dalla s.r.l "Sud Fondi" ed altri -) che la demolizione possa configurare una "pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, alla quale è stata data esecuzione con la legge di ratifica 4 agosto 1955, n. 848, poichè essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è "rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge";

L'irrilevanza del regime proprietario sopravvenuto, inoltre:

- ben può armonizzarsi con la disciplina sulla responsabilità solidale del proprietario estraneo all'illecito posta, in materia di sanzioni amministrative, dalla L. n. 689 del 1981, art. 6;

- è confermata dalla previsione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 2, secondo la quale l'ingiunzione a demolire deve essere disposta dall'autorità comunale anche quando il proprietario del bene non si identifichi con il responsabile dell'abuso.

Nè può essere invocata la giurisprudenza costituzionale che esclude - perchè in contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost. - la possibilità di disporre l'acquisizione gratuita dell'area di sedime del manufatto abusivo nei confronti del proprietario che sia estraneo all'abuso (vedi Corte Cost: 15.2.1991, n. 81 e 15.7.1991, n. 345). Il Giudice delle leggi, infatti, pur avendo rilevato che l'acquisizione rappresenta una sanzione autonoma per l'inottemperanza all'ingiunzione a demolire e si giustifica proprio per la coazione psicologica che è in grado di esercitare al fine di ottenere quel risultato, ha specificato espressamente, però, che "non per questo viene meno la possibilità di ripristino" e, "qualora non ricorrano i presupposti per l'acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l'area sia di proprietà del terzo, la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pure ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione di ufficio. E ciò senza che a tal fine necessiti la preventiva acquisizione dell'area che, se di proprietà del terzo estraneo all'abuso, deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d'ufficio la demolizione".

3. Quanto al "periculum in mora", deve evidenziarsi che anche dopo il completamento delle opere abusive ne è consentito il sequestro, purchè il pericolo della libera disponibilità dell'immobile presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistendo nel protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di connessione con la condotta penalmente illecita (vedi Cass., Sez. Unite, n. 12878/2003).

3.1 Nella fattispecie in esame il G.I.P. ha ravvisato l'aggravamento del c.d. carico urbanistico riconnesso all'incremento delle unità immobiliari, in quanto è stata realizzata una volumetria (me. 2820) ben superiore a quella realizzabile di mc. 1.387, evidenziando altresì la intervenuta compromissione delle previsioni di piano aventi ad oggetto la realizzazione della bretella stradale " (OMISSIS)" e l'allacciamento di questa con la via (OMISSIS), in quanto le illecite rettifiche apportate alle tavole del PRG e la edificazione realizzata in eccesso precludono l'attuazione delle corsie di entrata e di uscita in direzione (OMISSIS), rendendo senza sbocco le bretelle in tale direzione.

A fronte di tali elementi si imponeva la necessità, vertendosi in ipotesi criminosa già perfezionatasi, di verificare la sussistenza del pericolo derivante da libero uso delle unità immobiliari pertinenti all'illecito penale.

In particolare - tenuto anche conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza n. 12878/2003, Innocenti - andava approfondito il tema della concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, sì da stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale degli immobili possa implicare una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati: valutazione che non può ritenersi limitata al solo eventuale aggravamento del ed carico urbanistico, ma va altresì effettuata in relazione alle concrete incidenze compromissorie della complessiva organizzazione del territorio comunale.

Irrilevante è l'intervenuta cessione a terzi di parti dell'immobile abusivo, dovendo il provvedimento cautelare di sequestro essere eseguito nei confronti di chiunque abbia la disponibilità di un manufatto che continua ad arrecare pregiudizio al territorio.

Un accertamento siffatto è stato omesso dal Tribunale del riesame, il quale erroneamente ha ritenuto che la demolizione dell'immobile abusivo presupponga "la non estraneità dei proprietari al reato commesso".

4. L'ordinanza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata con rinvio allo stesso Tribunale di Latina, per un nuovo esame della vicenda alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati.

 

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Latina per nuovo esame.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2009