Cass. Sez. III n. 38977 del 3 dicembre 2025 (CC 29 ott 2025)
Pres. Ramacci Est. Bucca Ric. Iuliano
Urbanistica.Vincolo cimiteriale e lottizzazione abusiva

L'attività edificatoria realizzata in violazione del vincolo cimiteriale configura il reato di lottizzazione abusiva, in quanto determina una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in contrasto con la legge


RITENUTO IN FATTO 
1. Con ordinanza del 10 aprile 2025, il Tribunale di Latina, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del medesimo Tribunale in data 15 febbraio 2025, avente a oggetto un'area di circa 1299 mq con annesso fabbricato in corso di realizzazione nel Comune di Sperlonga, in relazione all'ipotesi di reato di cui agli artt. 110 c.p. e 44, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001, in relazione all'art. 30 del medesimo d.P.R.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, Iuliano Raffaele, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società IDEA S.r.l., deducendo cinque motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta la nullità del provvedimento per violazione di legge (artt. 321 e seg. c.p.p., 125, comma 3, c.p.p., 338 R.D. n. 1265/34, 2 c.p.), in relazione al reato ipotizzato. Il ricorrente sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto l'inderogabilità assoluta del vincolo cimiteriale di 200 metri, omettendo di considerare l'esistenza di un decreto prefettizio del 1986 che aveva ridotto tale fascia di rispetto a 50 metri. Tale provvedimento, adottato in conformità alla normativa all'epoca vigente (L. n. 983/1957) e mai revocato, avrebbe consolidato una situazione giuridica sulla quale la successiva e più restrittiva disciplina introdotta nel 2002 ( legge 130/2001 entrata in vigore il 4/5/2001) non potrebbe incidere retroattivamente, in ossequio al principio tempus regit actum. La motivazione del Tribunale, meramente assertiva di principi giurisprudenziali, sarebbe pertanto apparente e viziata da violazione di legge.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la nullità dell'ordinanza per violazione degli artt. 338 R.D. 1265/34, 23-ter e 30 d.P.R. 380/2001, nonché degli artt. 1, 4 e 8 della L.R. Lazio n. 7/2017. Si contesta l'assunto del Tribunale circa l'inapplicabilità della legge regionale sulla rigenerazione urbana. Il ricorrente evidenzia come l'intervento di demolizione e ricostruzione con cambio di destinazione d'uso, pur ricadendo in zona agricola (zona E), sarebbe consentito, "anche in deroga alla legge regionale n. 38/99, dalla L.R. n. 7/2017, poiché l'area è classificata dal PTPR come "paesaggio degli insediamenti urbani". Si rappresenta che con le delibere di C.C. n. 33/2020 e 2/2022 era stato previsto che il cambio di destinazione d'uso degli edifici di cui all'art. 4 della L.R. 7/17 era applicabile all'intero territorio comunale facendo eccezione solo: "a) le aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta ad eccezione degli interventi che comportino la delocalizzazione al di fuori di dette aree e delle aree naturali protette, ad esclusione delle zone individuate come paesaggio degli insediamenti urbani dal PTPR...; b) alle zone omogenee E di cui al decreto del Ministero dei lavori pubblici 1444/1968- ad eccezione delle zone individuate come paesaggio degli insediamenti urbani e paesaggio degli insediamenti in evoluzione dal PTPR e classificate porzioni di territorio urbanizzate come indicate dalla carta dell'uso del suolo di cui alla delibera della Giunta regionale 28/3/2000 n. 953...". Da tali premesse, secondo la difesa, si ricaverebbe la conseguenza che nell'area era consentito "il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali individuate dall'art. 23 ter del d.P.R. n.
380/21, anche in deroga alla legge regionale n. 38/99 (...) in quanto l'area su cui sorge l'immobile, pur ricadendo in zona omogenea E, essendo ricompresa nel paesaggio degli insediamenti urbani del PTPR, non è esclusa dall'applicazione della L.R. 7/2017" ai sensi dell'art. 1 comma 2 lett. c). Si rappresenta che tali elementi erano esposti nella relazione istruttoria del Comune di Sperlonga datata 13/3/2025, acquisita agli atti del procedimento, ed erano esposti nelle note difensive depositate dinanzi al Tribunale del Riesame ma non erano stati considerati nel provvedimento impugnato.
Si segnala, ancora, che la SCIA alternativa del 22/7/2024 n. 14335, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, prevedeva la realizzazione di 12 unità abitative oltre i posti auto pertinenziali a raso per cui non vi era alcuna discrepanza con l'accatastamento effettuato da Idea S.r.l.
2.3. Con il terzo motivo, si eccepisce la nullità dell'ordinanza per violazione degli artt. 321 c.p.p. e della L.R. n. 7/2017, in relazione al reato di lottizzazione abusiva. Si argomenta che la condotta non integrerebbe la fattispecie contestata, in quanto l'area è già urbanizzata e l'aumento del carico urbanistico è gestito attraverso la procedura di monetizzazione degli standard prevista dall'art. 8 della L.R. n. 7/2017, già avviata. Inoltre, i parcheggi realizzati sarebbero mere pertinenze private ai sensi dell'art. 41-sexies della L. n. 1150/42 e non opere di urbanizzazione, né la loro realizzazione configurerebbe una "nuova costruzione".
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Il ricorrente invoca la propria buona fede, determinata da una serie di atti positivi della pubblica amministrazione (decreto prefettizio, delibere comunali, permessi in sanatoria), che avrebbero ingenerato un convincimento scusabile sulla liceità dell'operazione immobiliare. Il Tribunale avrebbe liquidato la questione con una motivazione apodittica, senza considerare gli elementi specifici che escluderebbero la colpa.
2.5. Con il quinto motivo, si lamenta la nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione alla sussistenza del periculum in mora. Il ricorrente sostiene che la motivazione sul punto sia del tutto assente o apparente, limitandosi il Tribunale ad affermare che nulla di nuovo era stato dedotto dalla difesa. Si contesta la mancata valutazione delle argomentazioni difensive circa l'assenza di un'effettiva incidenza sul carico urbanistico e la natura dei lavori in corso, che escluderebbero un concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. In primo luogo va dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto da Iuliano Raffaele, quale persona fisica, per carenza di interesse.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo sia legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto e attuale alla proposizione del gravame, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 36021 del 1/6/2023, Gabrielli, n.m.; Sezione 3, n. 16352 del 11/1/2021, Di Luca, Rv. 281098- 01; Sezione 5, n. 35015 del 9/10/2020, Astolfi, Rv. 280005 - 01; Sezione 5, n. 52060 del 30/10/2019, Angeli, Rv. 277753 — 04; Sezione 1, n. 6779 del 8/1/2019, Firriolo, Rv. 274992 — 01).
Sulla base di siffatto principio di diritto, in fattispecie del tutto simile a quella in esame, in cui il decreto di sequestro preventivo aveva colpito beni appartenenti a una società a responsabilità limitata, questa Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso avverso la declaratoria di inammissibilità adottata dal Tribunale del riesame proposto dall'indagato, in proprio e non quale legale rappresentante dell'ente, ha precisato: "... affinché sia legittimato a proporre impugnazione, l'indagato deve reclamare una relazione con la cosa a sostegno della sua pretesa alla cessazione del vincolo, in quanto il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell'impugnante. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di specificare che persona avente diritto alla restituzione è non chi abbia un qualsiasi interesse alla restituzione, ma soltanto colui che sia titolare di una posizione giuridica autonomamente protetta, coincidente, quindi con un diritto soggettivo assoluto od anche con un mero rapporto di fatto tutelato dal diritto, di talché si è affermato che il titolare di quote sociali non ha un titolo a conseguire il possesso o la detenzione del bene sequestrato alla società (Sezione 6, n. 271 del 5/11/2013, Immobiliare Mondopesca s.r.I., Rv. 257768 - 01)" (Sez. 2, n. 18419 del 22/03/2024, Grazioli, Rv. 286321 - 01).
1.1 Il decreto di sequestro preventivo e l'ordinanza impugnata, sul punto non contestata, attribuiscono la proprietà dell'area in sequestro alla Idea S.r.l.
Deve, quindi, concludersi che Iuliano Raffaele, quale persona fisica, non era legittimato a proporre l'istanza di riesame né il ricorso in valutazione, in quanto, benché indagato, non è titolare di una posizione giuridicamente protetta che gli attribuisca il diritto alla restituzione dei beni.
2. Alla medesima conclusione, sia pure per ragioni diverse, deve pervenirsi in relazione al ricorso della Idea S.r.l.
I primi tre motivi di ricorso, che attengono alla sussistenza del fumus commissi delicti del reato di lottizzazione abusiva, possono essere esaminati congiuntamente per la loro intrinseca connessione.
2.1 Al Tribunale del riesame, con le note difensive depositate all'udienza del 10/4/2025, erano state sollevate, in relazione al vincolo di inedificabilità derivante dalla vicinanza con l'area cimiteriale due ordini di questioni:
a) la perdurante efficacia del decreto prefettizio n. 315 del 1/2/1986, che, in forza della previsione dell'art. 338 comma quarto R.D. n. 1265 del 1938, siccome modificato dalla legge n. 983 del 1957, aveva ridotto a 50 metri la zona di inedificabilità;
b) la legittimità dell'attività incriminata in quanto rientrante nella previsione dell'art. 338, ultimo comma, nel testo vigente, che "rimanda alle disposizioni per la rigenerazione urbanistica e per il recupero edilizio di cui alla L.R. n. 7/2017".
2.2 Orbene, l'ordinanza impugnata ha correttamente individuato il fulcro della illiceità dell'intervento nella violazione del vincolo di inedificabilità assoluta previsto dall'art. 338 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265. Tale norma, nella sua attuale formulazione, impone una fascia di rispetto di 200 metri dal perimetro dei cimiteri, all'interno della quale è vietata la costruzione di nuovi edifici. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamata puntualmente dal Tribunale del riesame, tale vincolo ha carattere assoluto, opera ex lege e si impone anche a eventuali previsioni difformi degli strumenti urbanistici, in ragione dei molteplici interessi pubblici tutelati, di natura igienico-sanitaria, di salvaguardia della sacralità dei luoghi e di garanzia di un'area per future espansioni cimiteriali.
La risposta del Tribunale è, quindi, chiara nel ritenere che le modifiche apportate al comma primo dell'art. 338 del R.D. 1265 del 1934 dall'art. 28 della legge n. 166 del 2002, che ha previsto una fascia di rispetto di m. 200 non più derogabile per effetto del provvedimento prefettizio, come prevedeva la precedente formulazione della norma, hanno privato di efficacia il provvedimento del 1986 estendendo l'area di inedificabilità a una fascia di 200 metri dal cimitero.
2.3 La conclusione cui perviene il Tribunale appare del tutto condivisibile. Il principio "tempus regit actum" evocato dal ricorso impone, infatti, che la legittimità dell'attività edificatoria sia valutata alla luce delle norme in vigore al momento in cui essa viene posta in essere, non potendosi invocare una pregressa e più favorevole disciplina per giustificare un intervento attuale che la legge vieta. La sopravvenienza di una normativa più restrittiva a tutela di interessi primari come la salute pubblica non può essere elusa richiamando il decreto del 1986 e sostenendo che il provvedimento ha cristallizzato a tempo indeterminato un regime giuridico edificatorio in deroga alla legge nazionale.
2.4 Va, peraltro, rilevato che la posizione del Tribunale, che ha ritenuto che l'incidenza del vincolo vada valutata al momento del rilascio del titolo edilizio, a "prescindere dall'epoca di realizzazione del manufatto", trova riscontro nella giurisprudenza amministrativa (TAR Campania, Sez. 4, 6/12/2018, n. 6996).
Del tutto inconferente risulta, poi, il riferimento, fatto dal ricorso, all'ordinanza della Sezione Lavoro di questa Corte n. 27443/2024 risultando, nel caso di specie, la nuova disciplina applicata a un intervento edilizio posto in essere dopo l'entrata in vigore della legge del 2002.
3. La sussistenza del vincolo di inedificabilità ha un'immediata ricaduta sull'applicabilità della legge Regione Lazio n. 7/2012.
L'art. 1 della legge, infatti, precisa, al comma 2, che "Gli interventi di cui alla presente legge sono consentiti, nelle porzioni di territorio urbanizzate, su edifici legittimamente realizzati o per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, ovvero intervenga l'attestazione di avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria con le modalità di cui all'articolo 6 della legge regionale 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi) e successive modifiche. Le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano:
a) nelle aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, ad eccezione degli interventi che comportino la delocalizzazione al di fuori di dette aree...".
3.1 Si potrebbe ancora aggiungere che l'interpretazione esposta in ricorso, secondo cui la disciplina regionale e in particolare l'art. 4 troverebbe applicazione anche agli immobili che hanno usufruito del condono, quale quello in esame, sanato con permessi n. 3 e 4 del 6/2/2007 in accoglimento della richiesta di condono n. 234/86, presenterebbe palesi profili di incostituzionalità.
La norma, infatti, si inserisce nell'articolato quadro delle misure con cui la L.R.
Lazio n. 7 del 2017 ha inteso dare attuazione all'art. 5, comma 9, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 2011, n. 106, volto a realizzare obiettivi di riqualificazione delle aree urbane degradate. L'art. 5, comma 9, del D.L. n. 70 del 2011, come convertito, ha stabilito che - "per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione" - le leggi regionali "prevedano: a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti".
In relazione all'ambito di applicazione di tale previsione, tuttavia, la Corte costituzionale (sentenza n. 24 del 2022), chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 11 comma 1 lett. a) della L. R. Sardegna n. 1 del 2021, ha sottolineato che la disciplina di favore del comma 9, in forza della previsione dell'art. 5, comma 10, del D.L. n. 70 del 2011, non può "riferirsi a edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria". Nozione, quest'ultima, ha chiarito la Corte, da interpretare in senso restrittivo. Al punto 5.3.2 dei motivi della decisione la sentenza precisa: "Tale nozione si deve interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame. Il titolo in sanatoria, che rileva agli effetti della concessione di premialità volumetrica, differisce dal condono valorizzato dal legislatore regionale. Mentre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell'abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del considerato in diritto). A favore dell'interpretazione restrittiva milita il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative. La disciplina ricordata configura una norma fondamentale di riforma economico-sociale, come confermano l'ampiezza degli obiettivi perseguiti, l'incidenza su aspetti qualificanti della normativa edilizia e urbanistica e la stessa scelta di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nel definire i tratti essenziali dell'intervento riformatore. Il legislatore regionale, nell'annettere rilievo anche ai volumi condonati, ha infranto il divieto contenuto in una prescrizione della legge statale, idonea a vincolare la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell'urbanistica e dell'edilizia".
4. L'inapplicabilità della legge regionale n. 7 del 2017 al caso in esame consente di valutare la seconda questione sollevata dal ricorso, relativa alla compatibilità dell'intervento con la previsione dell'art. 338 ultimo comma del R.D. n. 1265 del 1934.
L'ultimo comma dell'art. 338 R.D. 1265/34 consente, sugli edifici esistenti nella zona di rispetto, gli "interventi di recupero", "gli interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso", nonché "gli interventi previsti dalle lett. a), b), c) e d) del primo comma dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457".
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l'art. 338, comma 7, R.D. n. 1265 del 1934, per la sua natura derogatoria, costituisce una "norma eccezionale, e come tale di stretta interpretazione" (Cons. di Stato, Sez. 2, 22/09/2020, n. 5663; T.A.R. Toscana, Sez. 3, 28 dicembre 2020, n. 1724; T.A.R. Toscana, Sez. 3, 22 gennaio 2021, n. 93).
Conseguentemente, non tutti gli interventi di manutenzione, restauro o ristrutturazione edilizia possono essere ritenuti ammissibili in fascia di rispetto cimiteriale, ma solo quelli preordinati al recupero dell'edificio preesistente, mentre deve escludersi che siano ammissibili interventi comportanti nuovo consumo di suolo, ovvero trasformazioni integrali delle preesistenze (cfr. Cons. di Stato, Sez. 2, 28/9/2020, n. 5663; TAR Puglia Lecce, Sez. 1, n. 547 del 26/4/2023).
4.1 Venendo al caso di specie, il Tribunale, richiamando il provvedimento del GIP, ha sottolineato che l'intervento in esame non consiste in una mera conservazione di un manufatto preesistente, ma nella sua "demolizione e ricostruzione" con contestuale cambio di destinazione d'uso e significativo incremento delle unità immobiliari nonché la realizzazione di "un parcheggio nell'area precedentemente inedificata antistante il complesso immobiliare".
La portata dell'intervento, comportante la trasformazione di un singolo edificio composto da due sole unite residenziali, in un complesso residenziale di 12 unità, con creazione di 26 subalterni catastali, essendo in corso di realizzazione, nel terreno in precedenza inedificato antistante il fabbricato, un'area destinata a parcheggi, e il conseguente aggravio del carico urbanistico, ha indotto, quindi, il GIP a escludere che il medesimo potesse essere qualificato in termini di "ristrutturazione edilizia ex art. 3 lett. d) d.P.R. 380/01".
È di tutta evidenza che le conclusioni cui è pervenuto il GIP fanno buon governo del principio assolutamente pacifico secondo cui al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (Con. di Stato, Sez. 2, 18 maggio 2020, n. 3164; Tar Campania, Sez. 4, n. 4663 del 26/8/2024).
4.2 Orbene, la conclusione cui perviene il GIP in ordine alla non riconducibilità dell'intervento alle categorie contemplate dall'art. 31 della L. n. 457 del 1978 nella parte richiamata dall'art. 338, comma 7, R.D. n. 1265 del 1934 trova riscontro nella giurisprudenza amministrativa. La disciplina vigente include, secondo TAR Puglia Lecce, Sez. 1, n. 547 del 26/4/2023, "quale intervento di maggiore consistenza, la ristrutturazione edilizia, descritta come trasformazione degli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Sempre nell'ambito di interventi di ristrutturazione edilizia rientra la demolizione e fedele ricostruzione di un fabbricato, tali, cioè, da dare vita a un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi (Cons. di Stato, Sez. 4, n. 3744 del 15 giugno 2010; Cons. di Stato, Sez. 4, n. 7310 del 5 ottobre 2010;
Cons. di Stato, Sez. 4, n. 4765 del 10 agosto 2011)".
Non appare, pertanto, discostarsi dalla disciplina vigente la valutazione del GIP che ha ritenuto che, per l'incidenza che avrebbe avuto sull'assetto del territorio, l'intervento in corso di attuazione non rientrava in alcuna delle tipologie di intervento contemplate dall'art. 31 I. 457/1978, nella parte richiama dall'art.
338 R.G. 1934 n. 1265.
Alla luce di quanto esposto, quindi, appare pertinente il richiamato, fatto dal Tribunale del Riesame, all'orientamento di questa Corte che ritiene che l'attività edificatoria realizzata in violazione del vincolo cimiteriale configuri il reato di lottizzazione abusiva, in quanto determina una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in contrasto con la legge ( Sez. 3, n. 5507 del 13/09/2019, Rv. 278409).
Non è superfluo anche ricordare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui : "Il reato di lottizzazione abusiva può essere integrato anche quando vengano realizzate opere per le quali sia stato rilasciato un provvedimento di autorizzazione, ove dette opere comportino una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in violazione delle prescrizioni espresse dagli strumenti urbanistici e dalla legge, restando a tal proposito indifferente se la violazione dipenda dalla carenza del necessario piano di lottizzazione o se piuttosto l'intervento risulti precluso in radice per le sue connotazioni obiettive, tali da porlo in contrasto con lo strumento generale di pianificazione... (Cass. sez. 6^, 8.2.2005 n. 4424)" (Sez. 3, n. 26586 del 26/6/2009, Nicoletti).
4.3 Ma anche a voler diversamente opinare, ritenendo l'intervento riconducibile alla previsione dell'ultimo comma dell'art. 338 del citato R.D., non per questo potrebbe pervenirsi a un giudizio di non configurabilità del fumus del reato per cui si procede, risultando non contraddetto il giudizio formulato dal GIP, dal Tribunale richiamato, di non compatibilità dell'intervento complessivamente considerato con la destinazione d'uso prevista dallo strumento urbanistico generale vigente, che classifica l'area in questione come agricola.
E, difatti, l'inapplicabilità della legge regionale n. 7/17 travolge tutti gli argomenti difensivi incentrati sulla disciplina derogatoria di cui agli artt. 4 e 8 della predetta legge cosicché l'intervento rimase assoggettato alla previsione degli artt. 54 e 55 L.R. 38/1999 che consentono, siccome sottolineato dal decreto di convalida, "cambi di destinazione d'uso nel rispetto delle destinazioni d'uso previste dagli strumenti urbanistici vigenti". Con la conseguenza che "il cambio di destinazione d'uso di parte dei locali esistenti, del tutto svincolato dai requisiti previsti dagli artt. 54 e ss. L.R. Lazio n. 38/99 per l'edificazione all'interno delle zone a destinazione agricola (...) eseguito fra categorie funzionali differenti (da artigianale a residenziale non collegata ad attività agricola) non poteva essere legittimato con la SCIA in alternativa al PDC presentata proprio ai sensi della legge regionale 7/2017, avente protocollo 14335 del 22/7/2024. Di talché, allo stato, risulta astrattamente configurabile il reato di lottizzazione abusiva mista (...) ipotizzato dal PM procedente, considerato che la creazione di 12 nuove unità immobiliari (in luogo delle precedenti 4 unità immobiliari) realizzato previo cambio di destinazione in contrasto alla disciplina urbanistica vigente per l'area in questione a vocazione agricola, incide in maniera significativa sul carico urbanistico, rendendo necessarie nuove opere di urbanizzazione primaria e secondaria per sopportare il nuovo insediamento abitativo".
4.4 A ciò si aggiunga che l'intervento in esame, concretizzatosi nell'esecuzione di opere volte al mutamento della destinazione originaria e nel frazionamento sia del fabbricato che del terreno circostante, avrebbe comportato, se globalmente apprezzato, lo stravolgimento dell'assetto del territorio, con un notevole aggravio del carico insediativo, per cui, non risultando che fossero stati adottati strumenti di pianificazione attuativa, non avrebbe, comunque, potuto trovare legittimazione nella SCIA prot. n. 14335.
Giova ricordare, a confutazione dell'argomento difensivo secondo cui il reato di lottizzazione abusiva non sarebbe configurabile in quanto "l'intervento in oggetto è collocato all'interno di un'area già interessata da costruzioni e urbanizzata" che:
"il reato di lottizzazione abusiva s'integra non soltanto in zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle parzialmente urbanizzate nelle quali si evidenzia l'esigenza di raccordo con l'aggregato abitativo preesistente o di potenziamento delle opere di urbanizzazione pregresse, cosi che per escluderlo deve essersi verificata una situazione di pressoché completa e razionale edificazione della zona, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo (così ad es. Sez. 3, n. 35880 del 25/06/2008, Mancinelli, Rv. 241031)" (Sez. 3, n. 3731 del 29/09/2020 (dep.
2021), Visco);
la valutazione del grado di urbanizzazione dell'area costituisce una questione di fatto, che deve essere esaminata in sede di merito (Sez. 3, n. 23646 del 12/05/2011, Tarantino e altri, Rv. 250521, richiamata da Sez. 3, n. 3731/21 cit.) non potendo la sussistenza della condizione di pressoché completa e razionale edificazione essere integrata dalla generica allegazione difensiva, secondo cui "l'intervento in oggetto è collocato all'interno di un'area già interessata da costruzioni ed urbanizzata essendo presenti ...tutte le opere di urbanizzazione ovvero rete idrica, fognaria, gas, pubblica illuminazione, marciapiedi oltre a un esteso impianto sportivo polivalente con due campi di calcio".
5. Il quarto motivo, relativo alla carenza dell'elemento soggettivo, è parimente inammissibile stante la manifesta infondatezza.
È noto che "in sede cautelare al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi (ex plurimis, Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896)" (Sez. 3 n. 3731/21 citata relativa a fattispecie assai simile a quella in esame, in cui il sequestro per il reato di lottizzazione abusiva era stato adottato nonostante il rilascio di provvedimenti autorizzatori).
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha abbandonato da decenni l'originaria impostazione che configurava il reato di lottizzazione abusiva come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare, sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la stessa, sia nella forma negoziale che materiale, può essere commessa anche per colpa (Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004 - dep. 13/10/2004, Rv. 230084 - 01; Sez. 3, n. 36940 dell'11/05/2005, Rv. 232189;
Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Rv. 243750; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, Rv. 264718; Sez. 3, n. 15205 del 15/11/2019, dep. 2020, Capuano, Rv. 278915 - 02).
In relazione all'argomento difensivo, va segnalato che l'incidenza che sulla colpevolezza può assumere l'errore di diritto scusabile, trovando così applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24/03/1988, è stata circoscritta, dal consolidato orientamento di legittimità, alle ipotesi in cui "risulti che l'agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà (Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 - dep. 01/03/1991, Rv. 186513 - 01; Sez. 3, n. 10797 del 7/2/2018, Pennisi; Sez. 3, n. 12553 del 14/02/2023, Pg, Rv. 284320 - 01).
In altri termini, quindi, "l'esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell'agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall'intervento, con l'espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia (Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011 - dep. 23/02/2011, Rv. 249451 - 01; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004 - dep. 24/06/2004, Rv. 229060 - 01; Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016 - dep. 18/01/2017, Rv. 269074 - 01)" (Sez. 3, n. 12553 del 14/02/2023, Pg, Rv. 284320 - 01).
5.1 Venendo alla vicenda in esame, il Tribunale ha osservato, in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, che la palese illegittimità dell'intervento, che confligge con le finalità sottese al vincolo cimiteriale, e l'attività imprenditoriale di cui l'intervento costituisce espressione, comportante un più rigoroso dovere di informazione (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Rv. 197885 - 01), avrebbero dovuto indurre il ricorrente a una maggiore cautela imponendogli di verificare la liceità dell'attività.
5.2 Tale motivazione sottrae l'ordinanza al sindacato della Corte. Va ricordato che nella nozione di "violazione di legge", per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non la contraddittorietà o l'illogicità manifesta della stessa, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; seguite da Sez. 6, n. 7472, del 21/1/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv.
248129; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore; Sez. 2, n. 5807, del 18/1/2017, Rv. 269119; più recentemente, Sez. 6, n. 4857/19, del 14/11/2018). Non può pertanto essere proposta come violazione della legge, sostanziale o processuale, la scarsa persuasività degli argomenti spesi dal Tribunale per fondare la decisione di rigetto dell'istanza di riesame.
6. Il quinto motivo, concernente il difetto di motivazione sul periculum in mora, è manifestamente infondato.
Il Tribunale, pur con motivazione sintetica, ha ritenuto che la giustificazione adotta dal GIP, che aveva sottolineato come il pericolo fosse insito nella stessa prosecuzione dell'attività illecita che, modificando l'assetto del territorio in modo non consentito, aggravava e protraeva le conseguenze del reato, non era scalfita dagli argomenti difensivi.
Il Tribunale, quindi, si è fatto carico delle censure difensive fornendo una motivazione che collega il sequestro all'esigenza impedire che l'intervento edilizio venga portato a compimento e che le nuove unità immobiliari possano essere commercializzate o comunque utilizzate, consolidando così una situazione antigiuridica e rendendo più difficile il ripristino dello stato dei luoghi.
Il ricorso contesta le valutazioni del Tribunale rappresentando che non si era tenuto conto dell'avvenuta "monetizzazione degli standard" prevista dall'art. 8 della legge regionale 7/17.
La non applicabilità all'intervento della disciplina, tuttavia, travolge l'argomento difensivo condannandolo all'inammissibilità.
E', infatti, espressione di un consolidato orientamento di legittimità il principio secondo cui il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una diversa pronuncia o quella che avrebbe intaccato la struttura portante della motivazione (cfr. Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv.253445; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall'Agnola, Rv. 257967-01; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 267723-01). In applicazione di questo principio, è stato quindi affermato che il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte e, se trattasi di questione di diritto, come nel caso di specie, all'omissione può porre rimedio, ai sensi dell'art. 619 cod. proc. pen., la Corte di cassazione quale giudice di legittimità (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'utri, Rv. 263980 - 01; Sez. 2 - , n. 35949 del 20/06/2019, Liberati, Rv. 276745 - 01; Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019 Ud. (dep. 18/11/2019 ) Rv. 277281 - 01).
7. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall'art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell'inammissibilità stessa come sopra indicate.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/10/2025