Consiglio di Stato, V, 3 marzo 2004, n. 1026 EDILIZIA Condono E’ legittimo il diniego della concessione edilizia qualora gli interessati, nella domanda di concessione, abbiano espresso la volontà di abbattere i capannoni abusivi, nel caso del rilascio del titolo, ed abbiano rinunciato all’istanza di condono, subordinando, tuttavia, l’efficacia della rinuncia al conseguimento dell’assenso a costruire.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n.3292/2002 proposto da Moccia Sossio e Moccia Giuseppe, quest’ultimo nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della Emmegi s.a.s., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Giuseppe Abbamonte e Giuseppe Sartorio ed elettivamente domiciliati presso il primo in Roma, Via Giangiacomo Porro n.8; CONTRO il Comune di Frattaminore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Silvio Aedo Violante ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. V. Colacino in Roma, Via N. Ricciotti n.9; E NEI CONFRONTI Della A.S.L. Napoli 3, in persona del legale rappresentante, il Direttore Generale p.t.; del responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Frattaminore, ing. Pasquale Cerasuolo; del Responsabile del Procedimento, geom. Tommaso Dell’Aversana; dell’arch. Roberto Grassia, dell’arch. Pasquale Liguori e del geom. Giovanni Massaro, nella loro qualità di componenti la Commissione Edilizia Comunale di Frattaminore, tutti non costituitisi; per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sez. I, n.5323/01 in data 7.12.2001; Visto l’atto di appello con i relativi allegati; Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Frattaminore; Viste le memorie difensive depositate dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 12 dicembre 2003, relatore il consigliere Carlo Deodato, uditi gli Avv.ti Abbamonte e Sartorio; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Con la sentenza appellata il T.A.R. della Campania, decidendo tre ricorsi riuniti proposti dai Sigg. Moccia Sossio e Troncone Antonella contro il Comune di Frattaminore, ha: dichiarato improcedibile il ricorso n.1115/2000, con il quale era stato impugnato il parere negativo espresso dalla commissione edilizia in ordine alla domanda di concessione edilizia presentata dai ricorrenti ed avente ad oggetto la realizzazione di n.10 villette a schiera e n.6 alloggi a torre, e respinto il ricorso n.5048/2000, avente ad oggetto il diniego di concessione edilizia, e quello n. 10708/2000, avente ad oggetto l’adozione di una variante generale al P.R.G. che comportava il mutamento della destinazione del fondo di proprietà dei ricorrenti da Zona B1- Residenziale in Zona ospedaliera di interesse comunale. Avverso tale decisione hanno proposto rituale appello i Sigg.ri Moccia Sossio e Giuseppe (il secondo quale legale rappresentante della Emmegi s.a.s.), criticando la correttezza della pronuncia reiettiva sia nella parte in cui ha sancito la legittimità del diniego di concessione edilizia, che assumono loro spettante, sia nella parte in cui ha ritenuto la variante generale immune dai vizi denunciati a suo carico, ed invocandone la riforma, con conseguenti annullamento degli atti impugnati in primo grado e condanna del Comune al risarcimento dei danni. Si è costituito il Comune di Frattaminore, ribadendo la legittimità del proprio operato, sotto tutti i profili censurati dai ricorrenti, contestando la fondatezza dell’appello ed invocandone la reiezione. Con ordinanza n.502/03 in data 17 dicembre 2002 venivano richieste informazioni al Comune appellato in ordine alla destinazione d’uso dei capannoni abusivi esistenti sul terreno interessato dalla controversa attività edilizia, al fine di verificare l’applicabilità alla fattispecie degli artt. 7, comma 12, e 8 comma 11, delle n.t.a. del P.R.G.. Espletato tale incombente istruttorio, il ricorso veniva successivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 12 dicembre 2003. DIRITTO 1.- Le parti controvertono sulla legittimità del diniego di concessione edilizia opposto dal Comune di Frattaminore alla domanda di concessione edilizia presentata dal Sig. Moccia Sossio e dalla Emmegi s.a.s., avente ad oggetto la realizzazione di n.10 villette a schiera e n.6 alloggi a torre sul terreno di loro proprietà, e della delibera di adozione della variante generale al P.R.G., con cui veniva mutata la destinazione dell’area da Zona B1- Residenziale in Zona ospedaliera di interesse comunale, con conseguente preclusione dell’intervento costruttivo progettato dai ricorrenti. Ai fini di una compiuta comprensione delle questioni controverse, giova premettere una sintetica ricognizione della vicenda sostanziale e processuale oggetto di scrutinio. Il Sig. Moccia Sossio e la Emmegi s.a.s., quali comproprietari di un terreno sito nel Comune di Frattaminore e ricadente in Zona B1 - Residenziale Nuovo Centro – del P.R.G., richiedevano il rilascio di una concessione edilizia avente ad oggetto la realizzazione di n.10 villette a schiera e n.6 alloggi a torre sul terreno di loro proprietà, da realizzarsi previo abbattimento di capannoni abusivi insistenti sul fondo (in relazione ai quali era stata presentata dagli interessati domanda di condono). A seguito di una complessa istruttoria ed in riscontro ai solleciti ed alle diffide formulati dagli interessati, la commissione edilizia esprimeva parere contrario all’assentibilità dell’intervento. Tale avviso veniva impugnato dagli interessati con il ricorso n.1115/00 ed il T.A.R., con il provvedimento cautelare del 23.2.2000, ordinava al Comune il riesame dell’istanza. Il successivo provvedimento del 30.3.2000 con cui il Comune respingeva la domanda di concessione edilizia veniva impugnato con il ricorso n.5048/2000 e sospeso dal T.A.R. (nella camera di consiglio del 14.6.2000), che ordinava nuovamente all’amministrazione il riesame della pratica. L’esame dell’istanza veniva, tuttavia, sospeso dall’amministrazione “sino all’approvazione della variante al piano regolatore generale, adottata dal Consiglio Comunale con deliberazione n.32 del 27.6.2000…”. Anche quest’ultima delibera veniva impugnata dagli interessati con il ricorso n.10708/2000. Con la sentenza n.5323/2001 (oggi appellata) il T.A.R. disponeva la riunione dei ricorsi e così provvedeva: dichiarava improcedibile il primo (n.1115/00), sulla base del rilievo che il parare negativo della c.e.c. con lo stesso impugnato era stato assorbito e sostituto dal sopravvenuto diniego, e respingeva il secondo (n.5048/2000), ritenendo corretta la ragione ostativa indicata dal Comune nel contrasto tra la volontà espressa dagli interessati con la domanda di condono dei capannoni abusivi e quella, manifestata con l’istanza di concessione edilizia, di abbatterli, e il terzo (n.10708/2000), escludendo un obbligo di motivazione della delibera di adozione della variante generale e giudicando, comunque, la stessa immune dal denunciato vizio di eccesso di potere (sotto i diversi profili dedotti dai ricorrenti). Gli odierni appellanti criticano la correttezza delle valutazioni assunte dai primi giudici a sostegno della pronuncia reiettiva, ribadiscono l’illegittimità del diniego di concessione edilizia e della delibera di adozione della variante generale e reiterano la domanda risarcitoria. Il Comune appellato difende la correttezza della statuizione gravata e contesta gli argomenti dedotti a fondamento dell’appello. 2.- Occorre, anzitutto, osservare che da un’analisi complessiva dell’atto di appello si ricava che l’assunto di fondo che lo sorregge e che attraversa trasversalmente le censure più specifiche è costituito dall’addebito al Comune di avere indebitamente procrastinato la definizione del procedimento (anche mediante il ritardato riesame della pratica, due volte ordinato dal T.A.R.) al solo fine di impedire agli interessati l’attività costruttiva progettata e di avere, a tale esclusivo scopo, adottato la variante generale che preclude definitivamente ogni possibilità edificatoria sull’area. Si tratta di una accusa che investe il comportamento complessivo (comprensivo degli atti adottati e dei silenzi serbati) tenuto dall’amministrazione nella complessa vicenda dianzi descritta e che fonda, secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti, la domanda di risarcimento dei danni. L’assunto si rivela, tuttavia, infondato. Nonostante la tempistica dello svolgimento dei rapporti tra gli interessati e l’amministrazione possa indurre qualche legittima perplessità sulla correttezza dell’azione di quest’ultima, gli elementi addotti a sostegno dell’affermato sviamento di potere si rivelano inidonei a fondare il convincimento di un’effettiva distorsione nell’esercizio del potere sottoposto al presente giudizio. La presunta violazione delle ordinanze c.d. propulsive adottate dal T.A.R., segnalata come grave indizio dello sviamento, risulta, innanzitutto, inconfigurabile. Il predetto tipo di provvedimenti cautelari non vincola, infatti, l’amministrazione a rideterminarsi sull’istanza in conformità alle aspettative dell’interessato, ma si limita ad imporre alla stessa di riesaminare la pratica e di definirla secondo criteri diversi da quelli utilizzati nell’adozione dell’atto sospeso. Ciò posto, deve rilevarsi che, a fronte della sospensiva del parere negativo della commissione edilizia, il Comune ha adottato il diniego sulla base di argomenti diversi da quelli assunti a sostegno dell’atto sospeso, così come, a fronte della sospensiva del provvedimento reiettivo della domanda di concessione edilizia, l’amministrazione ha deciso di soprassedere al riesame della pratica, essendo intervenuto un fatto nuovo e decisivo, quale l’adozione di una variante generale al P.R.G. che impediva l’attività costruttiva progettata dagli interessati. Come si deve, in entrambi i casi, l’amministrazione non è rimasta inerte e si è astenuta dal reiterare le determinazioni sospese, provvedendo correttamente, invece, a nuove valutazioni, ancorchè condizionate, nel secondo caso, dalla decisiva sopravvenienza di un nuovo assetto urbanistico dell’area. Che poi quest’ultimo sia stato volutamente e strumentalmente introdotto e deliberato dal Comune al solo scopo di impedire l’attività edificatoria dei ricorrenti va escluso sulla base dell’agevole rilievo che il relativo assunto resta sprovvisto di qualsivoglia significativo riscontro, diverso dalla mera sequenza temporale degli eventi, di per sé insufficiente, in difetto di altri convergenti indizi, a dimostrare il presunto sviamento di potere asseritamente insito nella sopravvenuta determinazione urbanistica. Vanno, quindi, disattesi l’assunto esaminato e, con esso, tutti i motivi logicamente riconducibili alla medesima tesi. 3.- Così esclusa la sussistenza del vizio di eccesso di potere per sviamento nella complessiva attività provvedimentale censurata, occorre procedere all’esame delle doglianze più specifiche rivolte all’indirizzo degli atti impugnati in primo grado, iniziando dall’esame di quelle dedotte a carico del diniego di concessione edilizia del 30.3.2000. Giova premettere che le censure riferite, nell’atto d’appello, al c.d. “primo diniego”, e cioè al parere negativo impugnato con il ricorso n.1115/00, vanno dichiarate inammissibili, in quanto omettono qualsiasi critica alla declaratoria di improcedibilità pronunciata al riguardo in prima istanza sulla base del corretto rilievo della sopravvenuta adozione del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione edilizia (evidentemente sostitutivo del parere), o, comunque, improcedibili, siccome rivolte contro atti definitivamente superati, nel loro contenuto dispositivo, dal diniego impugnato con il ricorso n.5048/00. Passando all’esame delle doglianze rivolte contro quest’ultimo provvedimento, deve rilevarsi che lo stesso risulta fondato su due concorrenti ragioni: il contrasto del progetto con il combinato disposto degli artt. 8, comma 11, e 7, comma 12, delle n.t.a. del P.R.G. e la pendenza di un’istanza di condono edilizio ai sensi della legge n.47/85 dei capannoni abusivi insistenti sul terreno interessato dall’intervento progettato dai ricorrenti. I primi giudici hanno giudicato fondato quest’ultimo rilievo ostativo e lo hanno ritenuto, di per sé, sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato, omettendo, così, di esaminare le censure rivolte all’indirizzo dell’altra ragione assunta a sostegno del diniego. Tale convincimento si rivela corretto e merita conferma. Giova rammentare, in fatto, che gli interessati, nella domanda di concessione edilizia, avevano espresso la volontà di abbattere i capannoni abusivi, nel caso del rilascio del titolo, e che avevano rinunciato all’istanza di condono, subordinando, tuttavia, l’efficacia della rinuncia al conseguimento dell’assenso a costruire. In presenza di siffatta situazione, si appalesa decisivo il duplice rilievo dell’inidoneità della rinuncia condizionata all’istanza di condono e della “promessa” (anch’essa condizionata) di abbattimento dei capannoni abusivi a rendere libero, e perciò altrimenti utilizzabile a fini edificatori, il terreno interessato dall’intervento costruttivo e della non negoziabilità dell’oggetto di un illecito (quale il prodotto di un abuso edilizio) allo scopo di conseguire il titolo richiesto. Risulta, in sostanza, agevole rilevare che l’ambiguità rinvenibile nell’evidente conflitto tra la volontà di ottenere la concessione edilizia e quella di coltivare l’istanza di condono degli immobili abusivi, per il caso di diniego di assenso del progetto presentato, si risolve in un’indebita negoziazione della demolizione di questi ultimi, ai fini della definizione del nuovo assetto di interessi prefigurato dagli istanti, ed impedisce all’amministrazione di apprezzare con chiarezza lo stato del terreno sul quale doveva essere realizzato l’intervento o, meglio, di ritenerlo libero, al momento del rilascio del titolo. La rilevata mancanza dell’indefettibile condizione della libertà dell’area che deve ospitare la costruzione progettata risulta, in definitiva, sicuramente idonea a legittimare l’impugnato diniego. La conclusione appena raggiunta esime il Collegio dalla disamina delle questioni relative all’altra parte della motivazione del diniego, stante la sufficienza di quella esaminata a sancirne la legittimità. 4.- In merito alle contestazioni indirizzate all’adozione della variante generale al P.R.G., che trasforma l’area in questione, confinante con l’Ospedale S. Giovanni di Dio, in zona ospedaliera, occorre, anzitutto, ribadire che la relativa iniziativa provvedimentale risulta immune, per le ragioni illustrate al punto n.2, dal vizio di sviamento di potere denunciato a suo carico sotto diversi profili (tutti, tuttavia, riconducibili all’assunto di fondo già disatteso). Occorre, ancora, premettere che l’attività di pianificazione generale, alla quale va ricondotta la delibera controversa, risulta connotata da ampia discrezionalità amministrativa e che lo scrutinio della legittimità dell’esercizio della relativa potestà deve essere circoscritto alla sola verifica di vizi logici macroscopici o di errori di fatto nelle valutazioni sottese alla nuova definizione dell’assetto urbanistico. Tanto premesso, si rileva che i ricorrenti invocano impropriamente la tutela di un affidamento qualificato, che avrebbe dovuto indurre l’amministrazione ad un apprezzamento specifico e motivato della loro posizione, posto che la predetta situazione non sorge per il solo fatto della preesistenza di uno strumento urbanistico più favorevole, ma esige la diversa condizione, nella fattispecie inconfigurabile, della sussistenza di atti amministrativi o di altre manifestazioni di volontà che abbiano impegnato la discrezionalità futura della stessa amministrazione (Cons. Stato, sez. II, 6 marzo 1996, n.3083). Così come inconferente si rivela l’invocazione dei principi giurisprudenziali che hanno sancito l’inopponibilità al privato delle sopravvenute modificazioni apportate agli strumenti urbanistici. Mentre, infatti, l’orientamento richiamato (Cons. Stato, Ad. Plen. 8 gennaio 1986, n.1, Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n.3177) postula, perché gli strumenti urbanistici sopravvenuti possano ritenersi inopponibili all’interessato, che gli stessi siano adottati in un momento successivo a quello di notificazione della sentenza di annullamento del precedente diniego, nel caso di specie i ricorrenti, lungi dall’aver ottenuto un accertamento giurisdizionale dell’illegittimità del provvedimento negativo della concessione edilizia, avevano solo conseguito due ordinanze cautelari favorevoli che, tuttavia, per il loro carattere sommario ed interinale non possono in alcun modo essere equiparate, ai fini che qui interessano, ad una pronuncia decisoria di accoglimento del ricorso (che produce, come tale, gli effetti costitutivi dell’eliminazione del diniego). Né può riconoscersi maggior pregio agli argomenti con cui si contesta, sotto diversi profili, la reale sussistenza dell’interesse pubblico che, nella relazione di accompagnamento al progetto di modifica del P.R.G., viene indicato quale causa giustificativa della variante: la realizzazione di strutture aggiuntive all’Ospedale San Giovanni di Dio, con la conseguente esigenza di estendere all’area (confinante) dei ricorrenti la zona ospedaliera di interesse comunale. Premesso che la predetta indicazione costituisce, di per sé, adeguata e coerente motivazione della variante generale (peraltro non necessaria, nel riscontrato difetto di un'aspettativa qualificata in capo agli interessati), deve rilevarsi che le denunciate incongruenze nell’azione amministrativa che ha preceduto e seguìto l’adozione della delibera contestata non valgono a rivelare, come infondatamente pretesto dagli appellanti, la presunta carenza di una reale esigenza pubblica di ampliamento della vicina struttura ospedaliera, posto che tale assunto risulta validamente smentito dalla documentata istruttoria che ha preceduto la deliberazione della variante (si veda, in particolare, la conferenza di servizi tra il comune e la ASL competente), che fuga ogni dubbio sull’effettivo interesse dell’ amministrazione alla realizzazione del riferito ampliamento dell’ospedale. Risulta, da ultimo, del tutto logica e ragionevole la scelta del terreno di proprietà dei ricorrenti che, siccome confinante con l’area sulla quale insiste l’Ospedale S. Giovanni di Dio, appariva come la più idonea e funzionale a garantire la più utile realizzazione delle strutture aggiuntive. Vanno, quindi, disattese anche le censure rivolte contro il capo della decisione con cui è stato respinto il ricorso n.10708/00, così come la pretesa risarcitoria, in quanto sfornita del necessario sostegno dell’illegittimità degli atti amministrativi asseritamente pregiudizievoli. 5.- Alle considerazioni che precedono conseguono la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione appellata. 6.- Sussistono, nondimeno, ragioni di equità per disporre la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il ricorso indicato in epigrafe e compensa le spese processuali; ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 dicembre 2003 , con l'intervento dei signori: Emidio Frascione Presidente Giuseppe Farina Consigliere Marco Lipari Consigliere Aniello Cerreto Consigliere Carlo Deodato Consigliere Estensore