LE NUOVE FORME DELLA SPECULAZIONE EDILIZIA : L’ORO GRIGIO DELLA MAFIA ED IL CONDONO EDILIZIO

di Francesca Romana PIRRELLI

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Relazione al Convgno "Le giornate della Polizia Locale" Riccione 2009

1.       LA FORMAZIONE DELL’IMPRESA MAFIOSA E IL SUO ESPANDERSI NEL CAMPO DELL’EDILIZIA

 
 

Il film “Le mani sulla città” del 1963 diretto da Francesco Rosi, riscrive emblematicamente questa realtà.

E’ un film di impegno civile che costituisce una spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia dell'Italia degli anni sessanta.

Il film è ambientato nella città di Napoli (più volte citata nel film e mostrata in una grande cartina che campeggia sulla parete dello studio del personaggio Nottola), ma è scelta a rappresentare una qualsiasi città italiana (non a caso, pur trattando un argomento come gli abusi edilizi non viene mai citata la Camorra). All'inizio un uomo guarda il paesaggio, indica i palazzi sullo sfondo e dice ai suoi collaboratori che la città si sta muovendo verso una data direzione, che è quella stabilita dal piano regolatore. Loro sono su un terreno ad uso agricolo, e l'idea è quella di comprare la terra, cambiare il piano regolatore per deviare la crescita della città su tale terreno e costruirvi, guadagnando con il cambio di destinazione d'uso 70 volte tanto la spesa. Quell'uomo è Edoardo Nottola.

Eduardo Nottola è un personaggio spregiudicato che ricopre un doppio ruolo, in quello che si potrebbe ben considerare conflitto d'interessi. Egli è sia un costruttore edilizio che un consigliere comunale della città in questione, e porta avanti il suo piano di speculazione edilizia che cambierà per sempre il volto della città. Tutto inizia quando un palazzo fatiscente, in fase di demolizione (con un solo muro in comune con un altro edificio ancora abitato), subisce un drammatico crollo. Due operai muoiono, un bambino resta ferito al punto che perderà le gambe. Scoppia lo scandalo, e i politici di sinistra subito accusano: dietro a tale tragedia non c'è il destino, ma Edoardo Nottola, consigliere comunale e costruttore edile, con il figlio che lavora all'ufficio comunale per le opere pubbliche.

Niente riesce a fermarlo. Né il crollo di un fabbricato provocato dai lavori di demolizione condotti dalla sua impresa che causerà morti e feriti, né l'impegno del consigliere dell'opposizione De Vita, né il suo stesso partito.

Alla fine l'avrà vinta su tutti, sarà eletto assessore all'edilizia e, con la benedizione del vescovo, darà inizio alla nuova speculazione edilizia.

Nell’ultima scena, quella di chiusura del film, l’assessore di opposizione De Vita in un affollato consiglio comunale dice “ i miliardi della legge sulla città …servono solo a riempire le vostre tasche. Le cose stanno cambiando. Sempre nella società quando le cose stanno cambiando c’è qualcuno che cerca di arraffare tutto quanto e lo fa senza preoccuparsi dei bisogni della gente”.

Purtroppo la storia recente insegna che così non è.

Le mani sulla città amministratori, imprenditori ed organizzazioni criminali continuano a metterle. Emblematiche sono le cadute costanti dei consigli comunali nei momenti in cui si devono approvare i piani regolatori, o i loro scioglimenti per infiltrazione mafiosa.

 
 

La didascalia del film dice: «I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce». E purtroppo lo era nel sessantatre e lo è ancora adesso. Il film, rigorosamente in bianco e nero va visto, perché sembra girato “oggi” tanto sono di attualità fatti, scene ,dialoghi e, naturalmente, persone.

 
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La formazione dell’impresa mafiosa non è conseguenza di una maggiore domanda o offerta di beni ma è strettamente collegata a due fattori:

·                                 la necessità di trovare canali più redditizi nell’investimento di capitali sporchi  

·                                 le nuove opportunità offerte dalla spesa statale indirizzata prevalentemente alle opere pubbliche e infrastrutturali.

Si tratta di una impresa che prima di nascere deve avere la garanzia di ottenere risultati.

Questo aspetto è importante ai fini della stessa definizione dei caratteri di “mafiosità” dell’impresa nel senso che nel suo codice genetico non è previsto alcun rischio di tipo imprenditoriale.

Il mafioso nella sua evoluzione continua passa , dallo svolgere la tradizionale funzione di artefice in sostituzione dello Stato della protezione privata violenta, a condurre direttamente tutti gli affari criminali . In tale ultima prospettiva si dedica all’avvio di attività economiche sul piano produttivo con la creazione di veri e propri strumenti imprenditoriali.

Questa nuova attività provoca una vera e propria discontinuità nella storia dell’organizzazione e un mutamento di fase nella formazione e valorizzazione del capitale mafioso.

Con la creazione dell’impresa mafiosa si passa infatti dalla fase tradizionale di immobilizzazione della ricchezza a quella moderna di accumulazione del capitale poiché la parte più consistente del denaro “rastrellato” in modo criminale viene messo in circolazione e viene impegnato in attività produttive al fine di una sua ulteriore valorizzazione.

Nello sviluppo successivo tali imprese hanno insieme natura e funzione di attività produttive e di strumento per il riciclaggio di proventi illeciti.

Mentre la Mafia e la ‘Ndrangheta si danno fin dagli anni sessanta/settanta una sia pur rudimentale forma imprenditoriale, soprattutto al fine di creare attività produttive apparentemente lecite per rastrellare soldi messi a disposizione dallo Stato negli appalti di opere pubbliche, con stipulazione di contratti di appalto, subappalto e cottimo (emblematico è il caso del porto di Gioia Tauro), la Camorra accede all’attività imprenditoriale negli anni ottanta, in ragione della spesa pubblica destinata alla ricostruzione delle zone terremotate.

La Commissione Parlamentare Antimafia in una relazione sulla camorra dell’epoca ha evidenziato come proprio nella ripartizione di tale spesa si sia saldato il rapporto tra politici, camorristi e imprenditori. E’ da questo connubio che nasce in quegli anni la camorra come soggetto-impresa.

La formazione dell’impresa mafiosa nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici provoca una più intensa commistione tra economia , politica e mafia e di conseguenza una soggettività politica di questa associazione.

In sostanza quindi , fino ai primi anni sessanta, la mafia e la ‘ndrangheta, poiché ancora sostanzialmente impegnate nell’acquisizione della rendita fondiaria delle campagne a danno dei vecchi proprietari terrieri , si muovono fondamentalmente negli interstizi dei grandi interessi dell’edilizia pubblica e privata e svolgono un ruolo marginale rispetto al blocco edilizio o urbano che si andava affermando in quegli anni.

Sarà quest’ultimo che proietterà la mafia verso la città e l’attività edilizia e sarà all’origine della sua nuova soggettività imprenditoriale e politica.

Il mafioso dapprima si ritaglia qualche spazio (guardiania, pizzo) nella nuova esperienza urbana alimentata dalla spesa nel comparto edilizio; intuisce però subito che   questa è la nuova frontiera e che su quel terreno si aggrega il nuovo ceto economico e politico dominante e decide immediatamente di inserirsi. Si collega così allo speculatore su aree urbane , al neo-imprenditore edile , al politico rampante e diventa in poco tempo parte organica (e successivamente dominante) del blocco urbano.

E’ solo con il passare del tempo che gli interessi dell’impresa mafiosa si diversificano toccando altri settori che permettono una redditività più elevata degli investimenti e una riduzione del rischio (sanità, smaltimento di rifiuti urbani e tossici , comunicazioni, finanza).

Nell’ulteriore evoluzione e anche in ragione dei continui sequestri da parte della magistratura di capitali beni e società di appartenenza criminale, l’originaria impresa mafiosa, che si caratterizzava per la spendita diretta del nome del mafioso, si preoccupa di effettuare la cd “pulitura societaria” . I mafiosi-imprenditori vengono sostituiti dalle teste di legno degli imprenditori-mafiosi (i cd. prestanome) .

Quando Lima era sindaco di Palermo e Ciancimino assessore ai lavori pubblici tre pensionati sono risultati concessionari di 2500 concessioni edilizie (su un totale di 4000)

Nell’ultimo e perfezionato sviluppo finalizzato al perseguimento della finalità di attribuire un assetto sempre più legale all’impresa mafiosa sono stati cercati ed attuati dalle organizzazioni mafiose ( i cui adepti non a caso sono stati mandati a studiare e laurearsi in rinomate facoltà di business settentrionali e internazionali) molteplici mutamenti e intrecci di assetti societari e amministrativi con la creazione di svariate società, con aziende aventi plurime denominazioni e ragioni sociali e con la partecipazione diretta a società gestite da imprenditori non legati al crimine.

Nasce (ed attualmente opera e si espande) l’ impresa a partecipazione mafiosa.

Che l’imprenditoria mafiosa sia in espansione lo confermano i dati dell’ufficio del commissario straordinario del governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati: in Italia nel 2008 sono passate definitivamente allo Stato 1.139 imprese (161 in Lombardia, superata in questa classifica solo da Sicilia e Campania). Un dato che racconta l’infiltrazione della criminalità organizzata nel libero mercato. “Purtroppo, quando vengono sequestrate e riemergono dall’illegalità gran parte di queste aziende non sono in grado di camminare sulle loro gambe” nota Antonio Maruccia, magistrato e commissario per i beni confiscati. Infatti le cosche non sottostanno alle regole dei concorrenti. Non pagano tasse e ritenute, né contributi per la manodopera, per lo più straniera, intimidita e vessata. Una gestione che prevede quasi solo utili. Anche se difficilmente i boss imprenditori presentano bilanci.

Chi lo fa, magari per partecipare a gare pubbliche, in realtà continua a evadere il fisco, ben sapendo della labilità e insufficienza dei controlli. Per questo tiene in piedi le società per tre o quattro anni, prima di essere scoperto dall’anagrafe tributaria. A quel punto trasferisce le commesse a imprese collegate o mette in liquidazione le proprie.

“Le sedi legali vengono trasferite al Sud, i liquidatori solitamente sono vecchietti o pregiudicati, persone per cui un’accusa di bancarotta è meno traumatica. La documentazione contabile viene fatta sparire e le esecuzioni fallimentari sono praticamente impossibili o inutili”.

Non basta. Per far crescere i profitti le imprese delle cosche ricorrono alle false fatturazioni, mettendo in conto uscite inesistenti. Carte intestate fasulle, partite iva di soggetti ignari, consulenti e collaboratori fantasma, un labirinto di documenti falsi in cui spesso la burocrazia non si addentra. Il tutto indicando importi inferiori a quelli che farebbero scattare i controlli antimafia.

Oltre a questi sistemi i padrini utilizzano pure tradizionali metodi come l’intimidazione, anche al Nord. L’ultimo esempio arriva da Cologno Monzese (Milano): qui il calabrese Marcello Paparo, 45 anni, arrestato poco tempo fa, era riuscito a entrare con il suo consorzio di cooperative (trasporti, movimento terra e facchinaggio le principali attività) nei cantieri dell’alta velocità e della A4. Un obiettivo raggiunto a colpi di pistola, per ammorbidire sindacalisti e concorrenti. Motivo per cui la Procura di Milano lo ha accusato anche di concorrenza sleale. Un reato che sta piegando gli imprenditori onesti.

 
 

2.       IL CEMENTO: L’ORO GRIGIO DELLE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE

 

Il cemento è da sempre l’oro grigio di Cosa nostra e ‘Ndrangheta, dal Mediterraneo fino alle Alpi.

Gli affari che le ‘ndrine e le cosche sotterraneamente portano avanti con la Tav, che collegherà Milano a Torino, e con il raddoppio dell’autostrada A4, sono la riproduzione fedele di come le pratiche utilizzate nella culla della mafia siano state riadattate nel contesto settentrionale che si pensava impermeabile ad ogni tipo d’infiltrazione. Hanno fatto parecchia strada le ‘ndrine e le cosche dai primi progetti di edilizia “mafiosa”. Dapprima hanno dissanguato le loro terre d’origine, succhiando ogni risorsa in casa loro, e poi si sono trasferite in altre terre da dissanguare.

 

 Nella riparizione accurata dei ricchi territori del Nord, Milano è toccata alla ‘Ndrangheta e Torino a Cosa nostra. Ma le mani nel cemento le organizzazioni criminali le hanno sempre avute.

 

Una delle più grandi speculazioni edilizie di tutti i tempi fu “il sacco di Palermo”. Un progetto voluto da Vito Ciancimino e dalle cosche mafiose che a lui facevano riferimento prevedeva una cementificazione della città di Palermo senza il minimo rispetto del piano regolatore e dell’ambiente.

 

Negli stessi anni avviene in Calabria un fenomeno simile. Negli anni ’70 arrivano i finanziamenti per la costruzione di diversi complessi industriali sulla costa ionica e il boss Natale Iamonte diventa il protagonista di uno degli sprechi di denaro pubblico, tra i più eclatanti, in Calabria. Lo scandaloso sperpero di denaro pubblico riguarda la costruzione della Liquichimica, un complesso industriale a Saline ioniche, per cui vennero investiti 300 miliardi di lire. Per di più l’uso di quel sito venne sconsigliato, in seguito a una perizia geologica, perché franoso. La perizia venne occultata, fatta sparire. L’unico che continuo ad obiettare fu il direttore del Genio civile di Reggio Calabria che però perse la vita in uno strano incidente stradale.

 

Oggi le cose non sono mutate. La ‘ndrangheta col cemento e l’asfalto continua a fare affari d’oro. Non solo con la grandiosità della Salerno-Reggio Calabria e dell’A4. La Dda reggina ha individuato possibili infiltrazioni delle ‘ndrine negli appalti che riguardano due grandi opere pubbliche della Locride. Il pericolo di turbativa mafiosa riguarda la nuova strada che collegherà Bovalino a Bagnara e il rinnovamento di un tratto, da Ardore a Gioiosa jonica, della statale 106. A Platì, un piccolo paesino aspromontano di 3600 abitanti, sono presenti 18 imprese edili registrate alla camera di commercio. Una di queste desta particolare attenzione per la sua doppia sede legale, una a Platì e una a Buccinasco, paesino dell’hinterland milanese famoso per le infiltrazioni da parte delle ‘ndrine Sergi, Perre eTrimboli.

 

Le ultime vicende che hanno visto coinvolte la Calcestruzzi spa e l’Impregilo rappresentano l’emblema dell’assenza di etica in ogni parte d’Italia, non solo nelle terre di mafia. Invece di farsi promotrici di una cultura imprenditoriale sana queste grandi imprese hanno assecondato, assorbito i disvalori mafiosi: la Calcestruzzi spa ha deciso di scendere a patti con l’illegalità cronica tipicamente italiana.

 

E’ dell’ aprile 2009 l’intervento in una nota trasmissione televisiva, di Marco Travaglio il quale in un articolato e documentatissimo intervento denuncia che, sono passati cento anni dal terremoto di Messina, sono intervenute innumerevoli leggi antisismiche, ma in realtà ( sono dati forniti dalla Protezione Civile) solo il 18% degli edifici in Italia è in regola e questo perché c’è una chiara volontà mafioso-amministrativo-imprenditoriale di appropriarsi dei soldi pubblici ottenendo il massimo ricavo economico on il minimo costo e ciò a scapito della sicurezza in materia di edilizia e, quindi, dell’incolumità dei cittadini.

Due sono gli esempi emblematici che vengono portati a conferma e sostegno .

L’ospedale crollato dell’Aquila, sulle cui modalità di costruzione è stata aperta un’indagine dalla locale Procura: il nosocomio risulta costruito dal “Impreglro-Cogefari Impresit” la stessa società responsabile dello scandalo dei rifiuti a Napoli e che si dovrebbe occupare della costruzione del ponte di Messina.

I rapporti con associazioni mafiose in ambito sicilano della Calcestruzzi s.p.a (come in precedenza accennato),  il primo produttore italiano di cemento armato, divenuta Italcementi di Giampiero Pesenti.

 Giampiero Pesenti è indagato a Caltanisetta per riciclaggio, frode aggravata e per aver favorito associazioni mafiose.

 A propria volta due ex dirigenti della Calcestruzzi, sempre a Caltanisetta, sono indagati per attentato ai trasporti e frode in pubbliche forniture per aver prodotto cemento armato non armato, utilizzato per la costruzione del nuovo padiglione dell’ospedale di Caltanisetta ( che ha rischiato di crollare prima della sua inaugurazione) nonchè per la realizzazione di un tratto della autostrada Messina-Palermo, autostrada inaugurata pochi anni fa dal presidente della regione Sicilia Cuffaro e dal presidente del Consiglio, e di cui è venuto già giù lo svincolo di Castelnuovo.

 

Il modo di fare impresa dei mafiosi è stato esportato nel resto d’Italia. Diluire il cemento con l’acqua è paradigmatico di una situazione drammatica. Un contesto afflitto da puri interessi individuali in cui è il bene collettivo diviene superfluo e a vincere è l’egoismo imprenditoriale.

 

3.       IL BUSINESS DELL’ABUSIVISMO : IL CONDONO EDILIZIO

 

L’abusivismo edilizio ha rappresentato come già accennato, insieme ai subappalti delle opere pubbliche, uno dei principali volani dell’imprenditoria mafiosa soprattutto camorristica. L’incessante attività edilizia essenzialmente nell’area del napoletano ha determinato una saldatura tra la città di Napoli e i centri vicini con la crescita di un’area urbanizzata che quasi senza soluzione di continuità si estende sulla costa fino ai comuni di Caserta e Salerno.

Come riportato da un interessante dossier di Legambiente , una serie di norme riportate nell’ultimo decreto legge sul condono , ossia quelle che hanno inserito in meccanismo del silenzio assenso per il rilascio del nullaosta paesaggistico ed altresì quelle che hanno disposto la rinuncia , in cambio di una indennità, al principio della obbligatorietà della demolizione e del ripristino dei luoghi, hanno determinato le organizzazioni criminali ad assaltare anche zone , escluse da precedenti condoni, costituite da parchi e oasi naturali, aree archeologiche e zone demaniali. Si tratta di un abusivismo particolarmente grave dal punto di vista ambientale perché finisce per devastare zone di grande pregio, e alimentare il business in quanto permette la realizzazione, rendendole legali, di abitazioni che proprio perché collocate in zone esclusive , immesse sul mercato, risultano di enorme valore economico. 

E’ il caso di aggressioni al territorio i cui risultati si vedono nella loro interezza oggi , a distanza di oltre quindici anni dal decreto di condono, che hanno massicciamente riguardato ad esempio l’ Oasi del Simeto, in provincia di Catania, riserva naturale perché collocata in zona umida, in cui sono state realizzate oltre 3.000 case abusive.; la Valle dei Templi di Agrigento, dove sono state costruite 700 abitazioni abusive nella cd, zona A, sottoposta a vincoli di inedificabilità assoluta, e circa 2000 nelle zone B , C ed E (aree di rispetto ad edificabilità limitata), nonché le centinaia di abitazioni costruite abusivamente, dopo la sua istituzione, nel parco dell’Etna. Un ulteriore assalto del territorio è stato effettuato sul litorale Domizio Flegreo, in provincia di Napoli. Una indagine dell’epoca ha permesso di accertare l’esistenza, fin dal 1989, di decine di costruzioni abusive , miniappartamenti affittati d’estate , bar, ristoranti ed attività commerciali che hanno rappresentato per i gruppi camorristici della zona un’enorme opportunità di riciclaggio di denaro sporco.

I grandi interessi della criminalità organizzata nel settore edilizio si sono ulteriormente incentrati sulla regolamentazione urbanistica di gran parte delle località del Mezzogiorno le cui amministrazioni si compongono o decompongono a seconda dell’approvazione o meno di un piano regolatore. Si tratta di un vero e proprio racket nel quale si realizza un intreccio tra criminalità organizzata ed amministratori locali, assolutamente letale per la gestione del territorio.

CAMPANIA. Diffusissimo è l’abusivismo edilizio . A fronte del cosiddetto abusivismo per necessità dovuto dalla mancanza nalla gran parte dei comuni di strumenti urbanistici, cn edilizia bloccata, vi sono casi in cui l’attività edilizia viene realizzata a fini speculativi e con il beneplacito delle amministrazioni locali, imprenditori e criminalità organizzata i cui interessi strettamente si intrecciano nel settore di appalti di opere e servizi. Le zone del litorale campano anche di proprietà demaniale sono state stravolte con realizzazione ed immediata vendita di costruzioni abusive da parte delle organizzazioni che si sono mosse per rapporti di connivenza con le amministrazioni locali.

PUGLIA  Sono stati registrati anche episodi di attentati ai danni di amministratori pubblici nei comuni del brindisino ( S.Pietro Vernotico, S. Vito dei Normanni, Francavilla Fontana e Carovigno). Le indagini giudiziarie hanno portato ad ascrivere tali fatti a tentativi di condizionamento della attività politico amminitrativa di costoro, come sintomaticamente emerge dal fatto che in alcuni di tali comuni al momento degli attentati si stava procedendo all’esame dei piani regolatori.

 
 

4.       IL CONDONO EDILIZIO E IL SUO INDOTTO : DALLE CAVE ABUSIVE, AI CEMENTIFICI ALLE IMPRESE EDILI

 

L’ultimo condono edilizio ha avuto a tutti gli effetti , per la sua enorme portata, natura tombale.

Tra coloro che ne hanno tratto beneficio vi sono stati sicuramente i clan mafiosi che negli ultimi anni hanno saccheggiato il Mezzogiorno d’Italia, giovandosi della complicità delle amministrazioni locali. Insieme a loro gli imprenditori edili e le società immobiliari che hanno alimentato una vera e propria industria illegale dell’abusivismo.

Il vero volto dell’abusivismo condonato non è infatti dato dalla realizzazione , in spregio della programmazione urbanistica e dell’ambiente, delle ville al mare o delle verande nelle abitazioni, o delle costruzioni in zone vocate all’attività agricola, bensì al grande business che alimenta.

La gran parte delle case abusive è concentrata nel meridione d’italia e non a caso. Le organizzazioni criminali infatti , fin dalla seconda metà degli anni ottanta hanno alimentato il business dell’abusivismo in quanto, attraverso l’abusivismo, sono stati riciclati ingenti capitali sporchi provenienti dalle altre attività criminali. Si è sviluppata un’imprenditoria complessa e articolata che passa attraverso il controllo delle cave, cementifici ed imprese edili, e che coinvolge anche i produttori e fornitori di materiali per l’edilizia. Le organizzazioni criminali, giovandosi anche delle mancate demolizioni, dell’omessa o ritardata approvazione dei piani regolatori, hanno così riaffermato anche il controllo del territorio.

Ma non basta: grazie al condono edilizio le case abusive rientrano a pieno titolo nel mercato legale, con un raddoppio di valore di quanto costruito.

 

"Se il governo annuncia condoni edilizi i primi a stappare bottiglie di champagne sono i mafiosi. Anche il solo annuncio di nuove sanatorie edilizie è un atto vergognoso e irresponsabile che punisce i cittadini onesti e premia e incentiva chi costruisce in spregio di vincoli urbanistici, norme ambientali, regole antisismiche. E tra i premiati c'è naturalmente anche quella speculazione edilizia fuorilegge gestita più o meno direttamente dalla criminalità organizzata. E' una rottamazione della legalità".

Legambiente non usa mezza termini nel commentare l'avvio della discussione della finanziaria al Senato che - a detta dello stesso relatore - potrebbe far rientrare a Palazzo Madama proprio quei provvedimenti di sanatoria edilizia rigettati dall'aula di Montecitorio.

"Il legame mafia-abusivismo edilizio è implicito nei numeri. Dal 1994, l'anno del condono , a oggi sono state edificate in Italia 331.855 case abusive, per una superficie di oltre 46milioni di metri quadrati e un valore stimato in oltre 23 milioni di euro. Oltre la metà (il 58,7%) sono state costruite nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia). Sempre in queste quattro regioni si concentra oltre il 50% dei 7.103 reati relativi al ciclo del cemento accertati nel 2001 e qui operano - in base a risultanze della magistrature e atti parlamentari - 89 cosche e clan criminali (i Corleonesi a Palermo e provincia o i Santapaola a Catania) impegnate nell'ecomafia del cemento (cave, imprese edili e abusivismo edilizio). Insomma il condono edilizio è da considerare a tutti gli effetti come una rottamazione della legalità".

 Una delle tante conferme arriva, ad esempio, dalla Relazione sulla criminalità organizzata in Campania approvata dalla Commissione parlamentare antimafia in data 24 ottobre 2000: "La presenza in Campania di un elevato abusivismo edilizio, favorito in alcuni casi dalle inerzie dei Comuni incapaci di dotarsi di piani regolatori adeguati ai tempi, fa sì che gran parte dei lavori per la costruzione di vani abusivi, proprio per essere illeciti diviene appannaggio delle ditte vicine alla camorra".

 

Che produca effetti moltiplicativi dell’illegalità anche il solo parlare di possibili condoni edilizi lo testimoniano ancora una volta le cifre raccolte da Legambiente: "La semplice ipotesi di condono edilizio sia all'epoca del provvedimento del Governo Craxi , sia all'epoca del Governo Berlusconi ha determinato i maggiori picchi di abusivismo edilizio . “

Negli anni in cui di discusse il primo condono (varato poi nell'85) le costruzioni abusive superarono nel 1983 il tetto delle 105mila, nel 1984 la cifra di 125.000. Erano state 70mila nell'82 e scesero a 60mila nel 1985.

Lo stesso è avvenuto nel 1994, seconda legge di sanatoria urbanistica. Durante i mesi di discussione delle legge sono state costruite 83mila abitazioni fuorilegge, cifra record per l'ultimo decennio (l'anno prima erano state 58mila, l'anno successivo scesero a 59mila).

 

L'intreccio mafia-abusivismo. Ecco cosa potrebbe sanare un nuovo condono:

 

Casal di Principe (Ce): a gennaio 2002 i carabinieri del comando provinciale denunciano 27 persone responsabili di abusivismo edilizio, mettendo sotto sequestro sette immobili per un valore di circa tre miliardi. Tra i denunciati vi sono affiliati al clan dei casalesi.

San Giuseppe Jato (Palermo): la "casa degli orrori", villetta nelle campagne di San Giuseppe Jato, dove venne seviziato e ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito di Cosa nostra, è stata costruita abusivamente, senza alcuna licenzia edilizia. Per questo reato, nell'aprile 1999, sono finiti sotto processo tre pentiti: Vincenzo Chiodo, Giuseppe Monticciolo ed Enzo Brusca.

Marina di Gioiosa Jonica (Rc): nel maggio del 1999 viene sequestrato un complesso turistico in un'area demaniale della famiglia Mazzaferro. Nell'arco di dieci anni, la famiglia Mazzaferro aveva realizzato strutture turistiche e balneari in un'area soggetta a vincoli di inedificabilità assoluta. Più volte denunciati per abusivismo edilizio i Mazzaferro erano riusciti comunque a far entrare in funzione il loro lido.

Catania: due ville abusive ad Acicatena, di proprietà di un presunto affiliato al clan Laudani, sono state sequestrate il 6 novembre 1998.

San Antonio Abate (Na): il capoclan Gioacchino Fontanella e la sua famiglia hanno costruito una villa bunker, una favola da mille e una notte, un paradiso piantato in una paese degradato e sfregiato. Una villa abusiva costruita con i proventi delle estorsioni e dove il boss aveva ripetutamente violato i sigilli. Una villa da un valore di circa un miliardo e mezzo di lire, realizzata su due piani, con i classici comfort e sistemi di sicurezza, una piscina ed un recinto alto dieci metri. Si aspetta ancora la demolizione.

Reggio Calabria: nell'ottobre 1997 la Direzione investigativa antimafia e il Comando provinciale dell'Arma dei carabinieri effettuano un'ampia indagine sull'abusivismo edilizio: in un mese di controlli vengono sequestrati 60 immobili, per un totale pari a 70.000 metri cubi di cemento e un valore di circa 10 miliardi di lire. Le persone denunciate sono ben 110 ma, soprattutto, dalle indagini emerge che la "pertinenza dei beni è da attribuirsi a soggetti affiliati a una cosca mafiosa operante in Reggio Calabria", come recita il bollettino ufficiale di questa operazione.

Ottaviano (Napoli): nel decreto di scioglimento del Comune (8 settembre 1997) emerge che un immobile abusivo del clan Fabbrocino ospita un ristorante e una sala da ballo.

Terzigno (Napoli): questo Comune viene sciolto per infiltrazione mafiosa il 28 luglio 1997. Nella Relazione del ministero dell'Interno si legge: "Altro riscontro della collusione della malavita organizzata si rinviene nel settore edilizio, per i sistematici omessi controlli per i mancati interventi contro l'abusivismo edilizio".

Altavilla Milicia (Palermo): questo Comune viene sciolto l'11 luglio 1996. L'ufficio tecnico e la polizia municipale, si legge nel decreto di scioglimento, "contestano pochissime irregolarità edilizie, nonostante l'abusivismo edilizio abbia assunto proporzioni rilevantissime!".

 
 
 

5.       L’USO E ABUSO DEL CONDONO EDILIZIO: I SISTEMI TRUFFALDINI PER EDIFICARE IN ZONE NON EDIFICABILI O AD EDIFICABILITA’ LIMITATA

 

L’ultimo condono edilizio pare un ricordo lontano anche se i disastri causati sono sotto gli occhi di tutti.

I Tribunali continuano ad essere intasati, almeno in Puglia, da procedimenti che si concludono con dichiarazione di estinzione dei reati edilizi per intervenuta sanatoria delle opere abusive attraverso il condono edilizio.

I Comuni trattano stancamente le relative pratiche.

Il numero di procedimenti amministrativi e giudiziari in corso, unitamente al decorso del tempo, hanno determinato una generale rassegnazione ed un abbassarsi del livello di attenzione.

E tuttavia, al contrario, l’emissione del provvedimento finale di condono richiederebbe una attentissima vigilanza. Alla ordinaria rassegnazione dovrebbe sostituirsi una più attenta vigilanza.

Rimasti nell’ombra nella prima fase, i palazzinari cominciano ora ad uscire allo scoperto utilizzando un sistema abbastanza semplice.

Come si sa il condono consente di sanare costruzioni che, altrimenti, non potrebbero esistere.

Nel tempo è diventato , come si è detto in precedenza, uno strumento potente nelle abili mani di organizzazioni criminali e abili imprenditori.

Il trucco sta nel richiedere per tempo e con tutti i documenti necessari il condono di baracche, vecchi ruderi, stalle, depositi o capannoni…., dichiarando però che l’originaria destinazione d’uso era già stata modificata in “residenziale”, allegando qualche foto con improbabili esterni e altrettanto improbabili interni, arredati come normali appartamenti, degni di questo nome.

Il falso nella domanda consiste sostanzialmente e alternativamente nel fare richiesta di sanatoria:

·         per opere superiori al realizzato o per opere diverse dal realizzato in particolare in zone sottoposte a vincoli anche solo di destinazione o cubatura 

·         per opere mai realizzate ma dichiarate come tali sulla base di falsi “reportage” fotografici spesso assistiti dalla creazione di strutture precarie analoghe alle scenografie teatrali o di Cinecittà.

 Il condono, rilasciato da distratti tecnici comunali, legittima così l’esistenza di un manufatto residenziale in una zona dove non potrebbe mai esistere perché indicata nel piano regolatore ad es. come “agricola” o a “ verde pubblico”.

Si tratta evidentemente di condotte che integrano, quando accertate ( in genere grazie ad esposti di nemici o vicini di casa o ad una attenta attività della polizia giudiziaria), il reato di falso nell’atto di condono che può realizzarsi, a seconda che vi sia connivenza o meno dell’ufficio tecnico e/o della pubblica amministrazione, in falso indotto o falso diretto artt. (48)-479; (48)-480,       (48)-481, in concorso col delitto di cui all’art.483 c.p. . 

Ma non si tratta di un “falso isolato”.

Ottenuto il provvedimento di condono, l’attento committente richiede al Comune, sempre corredando la domanda con tutti i documenti del caso, di procedere alla ristrutturazione del manufatto mediante demolizione ( che cancella ogni prova dell’operazione truffaldina) e successiva ricostruzione .

Il condono ottenuto sulla base di falsi presupposti, crea un “credito” che poi viene opportunamente sfruttato nei successivi abusi edilizi

Ciò determina la commissione di un doppio reato di falso nell’iter del condono: ossia il falso nella domanda e il falso nell’atto.

 

Come intervenire per sventare la realizzazione di questi reati ed una così eclatante violazione delle norme edilizie ed urbanistiche?

La Procura di Bari, che ha avuto modo di accertare in varie occasioni (soprattutto nei comuni della provincia ) il ricorso da parte di committenti, tecnici e imprenditori a queste modalità truffaldine, una volta giunta la notizia di reato presso gli uffici giudiziari di un sospetto falso nella domanda relativa alle opere per cui era stato chiesto il condono, ha “allertato” la polizia specializzata in edilizia ,attraverso dettagliate deleghe di indagine.

 
 
 

Accanto infatti alle prescrizioni generali relative alla verifica di tutti i presupposti affinché l’opera fosse astrattamente condonabile, ossia che:

  1. la data di ultimazione delle opere abusive non fosse posteriore al 31.3.2003;
  2. l’opera fosse ultimata e che risultasse pertanto eseguito il rustico  e la copertura;
  3. qualora l’opera abusiva avesse comportato l’ampliamento di edifici preesistenti, che l’entità dell’ampliamento risultasse pari al 30% della volumetria della costruzione originaria, o, in alternativa, che non fosse superiore complessivamente a 750 mc;
  4. qualora l’esecuzione di opere abusive avesse riguardato nuove costruzioni residenziali, che le unità non fossero superiori a 750 mc per ogni singola istanza di sanatoria e, in presenza di edifici con più unità, che l’intero nuovo edificio abusivo non superasse comunque mc.3000;
  5. l’esistenza di vincoli ( indicati in dettaglio) e l’ eventuale esistenza di autorizzazioni paesaggistiche.

si chiedeva agli organi di P.G. di accertare specificamente, previa verifica delle fotografie allegate alla domanda di condono e successivo sopralluogo, eventuale acquisizione di sommarie informazioni testimoniali, contratti, fatture di acquisto e documentazione ritenuta utile, che :

1. la realizzazione   di costruzioni nuove e quella di opere in ampliamento avesse, alla data del 31.3.2003, effettiva natura edilizia e non fosse invece frutto di artificiose elaborazioni fotografiche spesso assistite dalla creazione di strutture precarie;

2. quanto alle opere abusive interne ad edifici già esistenti e a quelle non destinate a residenza, che le stesse fossero state completate funzionalmente nel senso che, in relazione all’esecuzione di tali lavori, potesse inequivocabilmente desumersi la effettiva destinazione d’uso che si era inteso conferire all’immobile;

3. se i titoli conseguiti riguardassero effettivamente l’opera di cui trattavasi (per accertare ulteriori abusi rispetto al condonato/condonabile).

 

Ove la denuncia avesse riguardato opere che avevano già ottenuto il provvedimento di condono, si chiedeva altresì di verificare se fosse stata successivamente presentata presso gli uffici comunali competenti domanda di ristrutturazione del manufatto mediante demolizione e successiva ricostruzione.

A tal fine, oltre alle acquisizioni testimoniali e documentali, si disponeva di effettuare una verifica , in caso di opera già demolita, sul trasporto e smaltimento dei rifiuti da demolizione.

 

Nel caso in cui, invece, la denuncia in base alla quale si era operata l’apertura del procedimento giudiziario fosse stata generica, quale ad esempio “la classica denuncia” su irregolarità relative a pratiche di condono edilizio in un determinato Comune (ossia di quelle che si è soliti iscrivere a modello 45 perché “atti non costituenti notizia di reato” o che vengono comunque iscritte a modello 21 nei confronti di persone in corso di identificazione), la Procura di Bari, previa acquisizione presso l’Ufficio Tecnico di riferimento delle pratiche sospette o dell’elenco istanze di condono da rigettare, è stata solita nominare un consulente tecnico di ufficio per la disamina delle pratiche di condono acquisite, e, dopo il deposito della relazione preliminare da operarsi in tempi brevi, ha delegato la polizia giudiziaria (coadiuvata dallo stesso consulente) ad effettuare tutte le verifiche in loco, testimoniali e documentali, indicate in precedenza.

 

Francesca Romana Pirrelli, Sostituto Procuratore della Repubblica Bari



cfr. sull’argomento L’impresa a partecipazione mafiosa (economia legale ed economia criminale), Enzo Fantò, Dedalo editore

 

da un articolo giornalistico di Giovanni Tizian

In tema di falsità in atti, quando il pubblico ufficiale inconsapevolmente raccolga dal privato una falsa attestazione relativa a fatti dei quali essa è destinata a provare la verità e quando detta attestazione venga poi utilizzata dal soggetto ingannato per descrivere od attestare una situazione più ampia di quella certificata dal mentitore, resta integrata la fattispecie del falso ideologico per induzione ( artt. 48-479; 48-480; 48-481 c.p.) la quale, nel caso di specie concorre con il delitto di cui all’art.483 c.p., atteso che la falsa dichiarazione del privato, prevista di per sé come reato, è in rapporto strumentale con la falsità ideologica che il pubblico ufficiale, in quanto autore mediato, ha posto in essere ( fattispecie relativa al rilascio di una concessione edilizia in sanatoria da parte del Sindaco, tratto in inganno da una falsa attestazione dell’interessato, il quale aveva affermato, in dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che determinate opere di trasformazione edilizia erano state ultimate anteriormente alla data del 31 dicembre 1993) Cass. Pen. Sez. V, 25 sett.2001 n.38453, Perfetto.