La lottizzazione abusiva, il coraggio che manca ai giudici e il vizio di sostituirsi
(nota a Corte di cassazione, sez. III penale, n. 18527/2022)

di Massimo GRISANTI

Nel decidere un caso di lottizzazione abusiva, con la sentenza n. 18527/2022 la terza sezione penale della Corte di cassazione torna a fare un compendio dell’illecito urbanistico ribadendo che sovviene la «lottizzazione materiale» quando “… l’intervento è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale, presupponendo la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, o comunque quando si verifica un mutamento dell’assetto territoriale che implica la necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle esistenti …”.
Più volte ho avuto modo di criticare in negativo, al fine di una maggior tutela dell’ambiente, questo tipo di statuizioni dei giudici, anche amministrativi, che si discostano in senso favorevole al reo, giacché sembra che tutti siano rimasti ancorati al dettato dell’art. 28 della Legge Urbanistica come se il legislatore non avesse mai dato la definizione dell’illecito della lottizzazione con le disposizioni dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Invero, il legislatore ha stabilito che si ha lottizzazione abusiva “… quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione …”. Violazioni di qualsiasi tipo ed entità, nell’apparente silenzio della legge. Dico apparente perché le disposizioni dell’art. 36 d.P.R. 380/2001, ai sensi del quale ciò che non è sanabile per assenza della cosiddetta doppia conformità integra violazione della riserva di disciplina del governo del territorio a qualsiasi livello (legislativo e amministrativo), completano il concetto di lottizzazione abusiva.
In negativo rispetto all’art. 36 t.u.e., poi, è ricavabile la definizione di abuso edilizio e cioè è tale tutto quanto che, seppur costruito in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, è sanabile. Anche l’art. 27 t.u.e. rafforza il concetto di abuso edilizio quando impone al dirigente l’adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori “… in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici …”, ovverosia anche per i casi in cui sia stato rilasciato un titolo abilitativo contrastante con la disciplina urbanistico-edilizia.
Se il legislatore avesse voluto limitare l’illecito della lottizzazione abusiva alla carenza o assenza delle opere di urbanizzazione oppure degli standard urbanistici oppure all’assenza del piano urbanistico di dettaglio non avrebbe inserito il caso della “… violazione delle prescrizioni … comunque stabilite dalle leggi statali o regionali …”.
Statuire, come fanno i giudici, che per aversi lottizzazione abusiva occorre un quid pluris rispetto alla violazione di legge o degli strumenti urbanistici, ovverosia occorra un mutamento dell’assetto territoriale comportante la predisposizione di nuove opere di urbanizzazione, ebbene con tali sentenze si ritiene che essi non facciano applicazione del criterio letterale nell’interpretazione delle leggi, finendo così per prodursi un inammissibile sconfinamento del potere giudiziario in quello legislativo. Eppoi, l’assenza di un limite di legge che fissi la discrezionalità nella valutazione del quid pluris siamo certi che non costituisca arbitrio e manifesta violazione del principio costituzionale di eguaglianza in correlazione alle sanzioni stabilite dalla legge per gli illeciti?
In parole semplici e riduttivamente rispetto a quanto ribadito dalla sentenza in commento, quindi ponendomi nell’ottica di una maggiore tutela del territorio e del potere di pianificazione nonché del principio di eguaglianza, ritengo che per aversi lottizzazione abusiva sia bastevole, ad esempio, la violazione della densità edilizia (fondiaria o territoriale), dell’altezza degli edifici o della distanza tra essi, fissate negli strumenti urbanistici ai sensi e per gli effetti degli articoli 7, 8 e 9 d.m. 1444/1968, senza che ciò determini la necessità di reperire nuovi standard o di realizzare nuove opere di urbanizzazione.
Affermare, come è stato fatto sinora dai giudici, che ricorrendo tali «riduttive» violazioni si sia sempre nell’ambito del solo reato di costruzione in assenza di permesso di costruire equivale a dire che il prodotto dell’attività edilizia illecita sarebbe stato autorizzabile ex ante per mezzo del rilascio della «concessione edilizia». Equivale a dire che il proprietario del terreno sia sempre stato titolare dello ius aedificandi così come espresso nel concreto con gli atti materiali di edificazione.
Ma ciò è falso, a meno che non si voglia temerariamente cancellare la costituzionalizzazione della facoltà edificatoria, connessa al diritto di proprietà, operata con le famose sentenze n. 5/1980 e n. 127/1983 della Corte costituzionale, ove i giudici statuirono, prima, che “… la concessione a edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell’antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall’ordinamento per l’esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza …”, e ribadirono, poi, che “… Appare con altrettanta chiarezza che "il proprietario dell’area o chi abbia titolo" in suo luogo, come testualmente si esprime la legge, ha "diritto" di edificare, se la costruzione risulta rispettosa della disciplina urbanistica, e che il provvedimento dell’autorità che facoltizza l’esercizio del "diritto" in parola - prescindendo per ora dal nomen juris datogli dal legislatore - è un atto dovuto ed irrevocabile. È appena il caso di ricordare che la proposizione di cui all’art.  42, secondo comma,  Cost.,  se nella prima parte proclama che "la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge", nella seconda parte soggiunge che, tuttavia, essa è assoggettabile a "limiti", alla condizione che questi siano determinati con legge ed "allo scopo di assicurarne la funzione sociale", oltre che "di renderla accessibile a tutti" …”.
Pertanto, così come il proprietario del terreno non ha il diritto di ottenere il permesso di costruire per realizzare un edificio in violazione dei limiti edilizi ex artt. 7, 8 e 9 d.m. 1444/1968, quindi non è titolare dello ius aedificandi in tali termini, non si veda ove stia la logica dei giudici amministrativi e penali quando stabiliscono che una siffatta opera realizzata sine titulo, o in difformità da esso, integri solo un abuso edilizio così presupponendo, a torto, che sia rilasciabile ab origine quel permesso di costruire che la legge ne vieta l’emanazione.
Una volta che la Corte costituzionale ebbe a stabilire che la concessione edilizia assolveva alla medesima funzione della licenza edilizia perché presupponeva la sussistenza dello ius aedificandi, da accertarsene l’ampiezza a cura del funzionario comunale in sede istruttoria, ecco che il titolo edilizio che abilitasse il proprietario a realizzare un’opera in violazione delle leggi e degli strumenti urbanistici non sarebbe più sussumibile nella categoria degli atti amministrativi di autorizzazione, bensì in quella degli atti concessori costitutivi di diritti. Ma ciò significherebbe che saremmo in presenza di un titolo abilitativo edilizio radicalmente nullo, giuridicamente inesistente perché sconosciuto al legislatore, non più accertativo di facoltà preesistenti, ma attributivo di diritti nuovi.
Poiché gli attori del governo del territorio sono le istituzioni della Repubblica (Stato, Regioni, Province, Comuni), ognuno secondo le proprie prerogative, ecco che prevedendo che la lottizzazione abusiva sia integrata anche dalla violazione di legge, comminando la confisca e le pene ex art. 44, lett. c) d.P.R. 380/2001, il legislatore protegge il potere pianificatorio dello Stato e delle Regioni espresso con atti legislativi, da un lato, la funzionalizzazione sociale della proprietà privata, da un altro lato.
Sia chiaro che a chi scrive non sfugge  il problema che così applicando la legge si avrebbe l’effetto di sussumere nell’illecito di lottizzazione opere tra loro sostanzialmente diverse in termini di impatto sul territorio, ma un tale effetto sostanziale può determinare, come determinerebbe, solo un’evidente sproporzionalità delle sanzioni amministrative e penali, con evidenti incostituzionalità delle norme comminatrici, tale da obbligare il giudice a rimettere la questione alla Corte costituzionale. Non appare corretto, anziché interessare la Consulta, che i giudici continuino nell’attribuire all’art. 30 t.u.e. un significato diverso da quello che gli è proprio secondo le parole utilizzate.
Infine, sempre riguardo alla sentenza in commento, preme tornare a ribadire l’opinione che all’indomani dell’entrata in vigore della legge 47/1985 non esiste più il potere comunale di autorizzare ex post la lottizzazione abusiva.
Infatti il legislatore ha dedicato specificamente il Capo III della legge al “Recupero urbanistico di insediamenti abusivi”, le cui disposizioni prevalgono su quelle generali attributive del potere di pianificazione, ai sensi del quale sono recuperabili solo gli insediamenti esistenti al 1° ottobre 1983. Una data limite che mai è stata modificata dai successivi provvedimenti in tema di sanatoria edilizia straordinaria, tutti riguardanti i termini per accedere al condono fissati nel Capo IV della legge medesima, giammai nel Capo III.
La Corte di cassazione ha ribadito nella sentenza in commento “… che la positiva valutazione dell’amministrazione successiva all’intervento lottizzatorio – correlata al rilascio di autorizzazione ex post a lottizzare o di permessi di costruire in sanatoria – non produce effetti estintivi del reato ma può incidere sulla confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere realizzate …”. Ma a ben vedere, in ragione di quanto sopra, tale affermazione appare corretta nei limiti in cui si tratti solo di insediamenti abusivi venuti ad esistenza avanti il 1° ottobre 1983.
Per la tutela dell’ambiente e dei diritti fondamentali della persona è auspicabile che i giudici abbiano più coraggio e non si sostituiscano al legislatore o alla Corte costituzionale.