La perequazione urbanistica insita nel d.m. 1444/1968
(Nota critica a Cons. Stato, Sez. IV, n. 4991 del 30.10.2017)

di Massimo GRISANTI

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato (Pres. Troiano, Est. Taormina) afferma – al punto 3, lettera d) delle considerazioni svolte in DIRITTO – : “… si rammenta altresì che sempre più spesso, per scelta “politica”, ovvero anche, semplicemente, per carenza di risorse per potere procedere agli espropri, i comuni hanno attuato la pianificazione territoriale attraverso il ricorso ad un variegato (nelle modalità attuative) modulo operativo, che prende il nome di perequazione: essa – che può o meno essere disposta in una norma di legge-cornice - non opera un principio conformante l’azione del Comune, ma rappresenta una delle modalità con le quali può essere esplicata la facoltà pianificatoria a questi attribuita e, pertanto, il principio perequativo si applica se ed in quanto previsto nello stesso strumento generale (e, di regola viene poi attuato tramite un piano urbanistico esecutivo) …”.
Evidentemente i Giudici amministrativi non hanno ancora ben compreso, nonostante sia trascorso mezzo secolo, che la perequazione – termine il cui significato è quello di distribuzione o attribuzione in base a criteri di equità – è insita nella zonizzazione prescritta dall’art. 41 quinquies della Legge 1150/1942 a mezzo delle disposizioni contenute negli articoli 3, 4, 5 e 7 del D.M. 1444/1968. E qui se ne offre dimostrazione.
Innanzi tutto occorre ricordare che ai sensi dell’art. 4 D.M. cit. le aree necessarie per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, fissate nei minimi ex artt. 3 e 5, correlate agli insediamenti residenziali – e del pari ai sensi dell’art. 5 per quelli produttivi – devono essere ricomprese nelle Zone A, B, C ed E.   Di conseguenza tali aree a standard ne devono assumere la medesima classificazione di Zona A, B, C, D ed E: le disposizioni del decreto fanno implicito divieto del contrario.
Attribuire agli standard minimi ex artt. 3 e 5 D.M. cit. una classificazione di zona (zonizzazione) diversa da quella degli insediamenti ad essi strettamente correlati – come spesso viene fatto negli strumenti urbanistici generali inventandosi, il pianificatore, le sigle più disparate, senza che nulli rilevi la regione al momento dell’approvazione o dell’apporto del contributo istituzionale alla formazione – significa operare un’inammissibile cesura nel rapporto perequativo tra aree e volumetrie esistenti e/o ammesse prescritto dal legislatore con l’introduzione dell’obbligo di fissazione, negli strumenti urbanistici generali, del limite di densità edilizia territoriale ex art. 7 D.M. cit.
Invero, dal momento che il Legislatore impone ai comuni la fissazione, nelle zone A, B e C, di un limite di densità edilizia territoriale, ne sovviene che il volume scaturente dall’applicazione del limite di densità fondiaria che fosse stato stabilito in misura maggiore in una determinata area, altro non è che, per l’eccedenza, l’effetto dell’atterraggio di un’aggiuntiva capacità edificatoria generata in altri terreni compresi nella medesima zona territoriale omogenea. E mi riferisco a quei terreni che, pur contribuendo a generare il volume complessivo dell’intera zona territoriale omogenea attraverso l’indice di densità territoriale, sono stati vincolati dal pianificatore locale ad accogliere opere di urbanizzazione primaria e secondaria per il soddisfacimento degli standard ex artt. 3 e 5 D.M. cit.
Pertanto, la truffa urbanistica ai danni dei proprietari dei terreni vincolati a standard urbanistici o conformati a funzioni non edificabili come il verde privato ecc. – perché tale ritengo sia quella perpetrata dai comuni quando non applicano le norme su richiamate del D.M. 1444/1968 – muove dall’omessa fissazione dell’indice di densità edilizia territoriale negli strumenti urbanistici generali nonché dall’inammissibile classificazione degli standard con sigle inventate che fanno scomparire l’essenziale intimo collegamento, creato dal Legislatore, con gli insediamenti ed al cui servizio devono essere posti. Si ricorda che la mancanza degli standard o la loro sopravvenuta separazione dagli insediamenti determina l’insorgenza dell’illecito della lottizzazione abusiva.
Così come destinare a nuove edificazioni dei terreni in zone territoriali omogenee prive degli standard nella misura minima fissata dagli artt. 3 e 5 D.M. cit. significa attribuire, da parte dei comuni, un’inammissibile, perciò ingiusto ex art. 323 c.p., vantaggio economico ai relativi proprietari di aree che, legalmente e se il D.M. venisse correttamente applicato, sono inedificabili.
Il Legislatore ha imposto che, di regola, i servizi devono essere vicini agli insediamenti. Solo eccezionalmente, con riguardo agli insediamenti compresi nelle zone B, ha ammesso in via derogatoria che quando sia dimostrata l'impossibilità - detratti i fabbisogni comunque già soddisfatti - di raggiungere la predetta quantità di spazi su aree idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pubblici. Le aree che vanno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell’ambito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella effettiva (Art. 4 D.M. 1444/1968).
Pertanto, come dimostrato, non risponde assolutamente al vero che manchi nell’ordinamento della materia del governo del territorio, come inopinatamente mi sarei aspettato dal Consiglio di Stato, il metodo attuativo della disciplina urbanistica improntato alla perequazione.
Il fatto è che i piani regolatori generali non sono formati nel rispetto del D.M. 1444/1968 e niente osservano al riguardo le regioni quando i comuni li sottopongono al loro esame.   E niente dice, facendo il pesce in barile, il Ministro delle Infrastrutture che è chiamato a vigilare sulla corretta applicazione della legge urbanistica.   Men che mai dicono qualcosa i prefetti, i quali, qualora i comuni non si dotino degli strumenti urbanistici (quelli tipizzati dalla legge, non altri), dovrebbero proporre lo scioglimento dei consigli comunali.
Peraltro, la conseguenza non è soltanto quella dell’ingiustizia creata da un pianificatore disattento o infedele ai danni o a vantaggio del proprietario dei terreni, ma anche quella della lesione dei livelli essenziali prestazionali in tema di fornitura di servizi alla persona e alla comunità che i Comuni sono tenuti a garantire non solo ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 del D.M. 1444/1968, ma anche ai sensi dell’art. 13 del Testo unico degli enti locali.
Infatti, come stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 12878/2003 resa a sezioni unite, “… il concetto di carico urbanistico appare meritevole di attento approfondimento. Questa nozione deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cosiddetto primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari standars urbanistici di cui al decreto ministeriale 1444/68 che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone …”.
In conclusione, ritengo che il Consiglio di Stato abbia perduto, ancora una volta, l’occasione per stigmatizzare il pessimo comportamento dei comuni e delle regioni che, anziché applicare pedissequamente le disposizioni del D.M. 1444/1968, finiscono per creare, nella prassi, una sorta di diritto urbanistico parallelo – così come, purtroppo, ci sono la Costituzione di diritto e la costituzione materiale – che va tutto a vantaggio dello sviluppo e del consolidamento della corruzione nei pubblici uffici.
La Polizia Giudiziaria e i Procuratori della Repubblica dovrebbero indirizzare i loro sforzi investigativi non nel perseguire la creazione della finestra o il rialzamento del tetto abusivi, tanto per fare un esempio, bensì indagare le fasi di formazione degli strumenti urbanistici. Perché è lì che vengono apportati indebiti vantaggi economici e lesi i diritti dei cittadini e delle comunità ad un ambiente salubre, vivibile e dotato di quei servizi prescritti in misura minimale dal legislatore statale con il D.M. 1444/1968.
Infine, è auspicabile che i cittadini abitanti in quartieri non sufficientemente urbanizzati si uniscano per proporre una class action contro il comune e la regione che, avendo approvato strumenti urbanistici in violazione di legge, hanno contribuito a concausare i disagi e i danni che quotidianamente sono chiamati a sopportare. Atti amministrativi che non assicurano, anzi negano alla radice, i loro diritti fondamentali alla salute (che si persegue anche imponendo un adeguato rapporto tra aree edificate ed aree libere all’interno della zona territoriale omogenea, v. art. 27 delle sempre vigenti Istruzioni del 20.6.1896 date dal Ministro dell’Interno a cui, allora, spettava la tutela della salute pubblica) e ai servizi essenziali urbani.

Pubblicato il 30/10/2017

N. 04991/2017REG.PROV.COLL.

N. 01976/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1976 del 2016, proposto dal Signor Giovanni Racca, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Romano, Roberto Cavallo Perin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Romano in Roma, Lungotevere Sanzio,n. 1;

contro

comune di Cuneo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Contaldi, Vittorio Barosio, Serena Dentico, con domicilio eletto presso lo studio Mario Contaldi in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, 63;
regione Piemonte, non costituitasi in giudizio;

nei confronti di

Società Risso s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Contaldi, Fabrizio Gaidano, con domicilio eletto presso lo studio Mario Contaldi in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, n. 63;
società Granda Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabrizio Gaidano, Mario Contaldi, con domicilio eletto presso lo studio Mario Contaldi in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, 63;

e con l'intervento di

interveniente ad adiuvandum:
Federazione Nazionale Pro Natura, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Romano, Roberto Cavallo Perin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Romano in Roma, Lungotevere Sanzio, n. 1;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Piemonte – Sede di Torino- Sezione I n. 1699/2015, resa tra le parti, concernente approvazione prgc.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Cuneo, della società Risso s.r.l. e della società Granda Immobiliare s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati A. Romano, Cavallo, e S. Contaldi su delega di M. Contaldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 1699 del 4 dicembre 2015 il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte– sede di Torino – ha respinto il ricorso proposto dal Signor Giovanni Racca, (odierno appellante), volto ad ottenere l’annullamento della deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 7.7.2008 n. 40-9137, pubblicata sul BUR Piemonte 17.7.2008 n. 29, con la quale è stato approvato il nuovo PRGC del Comune di Cuneo, e di tutti gli atti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi, tra cui: la deliberazione del Consiglio Comunale di Cuneo 29.1.2002, n. 12; le deliberazioni del Consiglio Comunale di Cuneo 29.6.2004 n. 79, 30.6.2004 n. 81, 1.7.2004 n. 82; la deliberazione del Consiglio Comunale di Cuneo 21.12.2004 n. 147; le deliberazioni del Consiglio Comunale di Cuneo 21.6.2005 n. 76, 21.3.2007 n. 41, 30.8.2007 n. 108; la nota dell'Assessore regionale alle Politiche Territoriali 26.10.2006.

2. L’originaria parte ricorrente aveva prospettato tre macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, deducendo:

a) la nullità per indeterminatezza del piano regolatore, nella parte in cui esso aveva omesso di specificare l'ambito di trasformazione destinatario del trasferimento della cubatura prodotta dall'ambito di valorizzazione A V 1.11 (ossia dall'area di Villa Sarah-Villa Luchino);

b) l'illegittimità della norma di piano nella parte in cui consentiva che la cubatura prodotta dall'ambito AV1.11 venisse (non già trasferita in un altro ambito di trasformazione, bensì) concentrata in una zona circoscritta all'interno dell'ambito di provenienza, in quanto in contrasto con "l'obbligo di trasferimento negli Ambiti di trasformazione dell'edificabilità ivi prodotta e con la destinazione a parco urbano impressa a tale area";

c) il difetto d'istruttoria e di motivazione sotto due ulteriori profili della scelta del comune di consentire l'edificazione in una parte dell'ambito AV1.11 e di destinare a parco pubblico la restante parte dell'ambito medesimo, in quanto detta opzione non avrebbe tenuto conto "della circostanza che l'indicata area del Villino Luchino, della quale si prevede la dismissione al Comune, è collocata allo sbocco della galleria artificiale che immette al viadotto del torrente Gesso . .. dimostrandosi assolutamente inadatta alla prevista destinazione a parco panoramico o a parco naturale attrezzato per il tempo libero" e peraltro, il comune, anziché accogliere l'osservazione al PRG dei privati ed acquisire l'area di Villa Sarah-Villino Luchino mediante la dismissione prevista per la zona AV1.11, avrebbe potuto acquisire l'area stessa mediante un'espropriazione.

3. Il comune di Cuneo e le società Risso s.r.l. e Granda Immobiliare s.p.a. (attuali comproprietarie dell’area oggetto di ricorso) si erano costituite in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità, ovvero la reiezione del ricorso in quanto infondato

4. Il Ta.r. con la predetta sentenza n. 1699 del 4 dicembre 2015 ha innanzitutto riepilogato le principali tappe dell’attività amministrativa rammentando che:

a) con la deliberazione del Consiglio comunale 29 gennaio 2002, n. 12, il comune di Cuneo aveva adottato il progettato preliminare del nuovo Piano Regolatore, prevedendo, tra l’altro, che l'area a sinistra del torrente Gesso, cd. area “Villa Sarah-Villino Luchino”, di superficie pari a mq 46.600, fosse classificata come "TC3- Tessuto urbano con unità insediative isolate" (per questa tipologia di area, l'art. 41 delle NTA del progetto preliminare del PRG non consentiva nuove costruzioni ma solo un aumento del 20% della volumetria dei fabbricati esistenti):

b) a seguito della pubblicazione del progetto preliminare del PRG, gli allora proprietari della suddetta area Villa Sarah-Villino Luchino (e precisamente l'impresa Risso "I.R." e l’Ing. Luchino), nel formulare le loro osservazioni, avevano rivolto al Comune una proposta con la quale, dato atto della circostanza che una parte dell'area di Villa Sarah-Villino Luchino (pari a 6.500 mq) era destinata a giardino pubblico sin dal 1973, in forza del contratto di locazione intercorso tra il comune di Cuneo e l'allora proprietaria dell'area e precisato che il suddetto contratto di locazione era scaduto nel 1995 e che l'area destinata a giardino pubblico, al momento dell'adozione del progetto preliminare del PRG in questione, era oggetto di un contenzioso tra il comune di Cuneo e i privati circa la titolarità e il possesso della stessa avevano offerto al comune - in considerazione delle reciproche intenzioni di addivenire ad una definitiva soluzione della vertenza in essere e di mantenere la destinazione a giardino pubblico dell'area controversa, mai restituita ai proprietari - la cessione a titolo gratuito dell'area in questione, a fronte della possibilità riservata a detti proprietari di sfruttare la potenzialità edificatoria dell’intero ambito su una porzione circoscritta all'interno dello stesso;

c) tenuto conto che l’offerta formulata prevedeva, che l’area in questione sarebbe stata ceduta al comune (per una superficie di quasi 35.000 mq) ad eccezione di una parte (di 12.000 mq) che sarebbe rimasta agli originari proprietari e sulla quale si sarebbe concentrata la volumetria attribuibile all’intero fondo nella sua configurazione originaria, il comune di Cuneo aveva deciso di accogliere dette osservazioni, ritenendo che "l'ipotesi di notevole quantità di area in dismissione consentirebbe al Comune la realizzazione di un parco ambientale-naturalistico che, unito al verde in uso LIPU, costituirebbe un parco panoramico di consistente estensione verso il torrente Gesso";

d) in ottemperanza a detto “accordo” nel progetto definitivo del nuovo PRGC adottato dal comune di Cuneo con la d.C.C. 21 dicembre 2004, n. 147, l'area Villa Sarah-Villino Luchino era stata classificata non più come "TC3" bensì come "AV 1.11 ", in quanto tale munita di limitata potenzialità edificatoria da sfruttarsi in una porzione circoscritta dell'ambito stesso (dall'elaborato grafico allegato al progetto definitivo la parte di ambito destinataria del trasferimento di potenzialità edificatoria era identificata dal tratteggio orizzontale): quanto alla rimanente parte dell'ambito AV1.11 (esclusa cioè la porzione edificabile) ne era stata prevista la cessione in proprietà al Comune, in quanto destinata a parco pubblico.

4.1. Il T.a.r. ha poi posto in luce che:

a) il progetto definitivo del PRG, così come modificato in esito alle osservazioni dei privati, era stato trasmesso alla regione Piemonte, la quale, con la nota 26 ottobre 2006 aveva evidenziato l'esigenza di precisare (nella norma tecnica attuativa di riferimento) che il settore dell'area destinato all'edificazione prevista dalla normativa di Piano fosse quello evidenziato con tratteggio ed aveva rilevato che il vantaggio derivante dalla possibilità di acquisizione dei restanti settori dell'area di Villa Sarah e Villa Luchino poteva essere considerato prevalente solo a seguito di maggiori precisazioni su posizionamento e caratteristiche dell'edificazione: essa aveva quindi ha impartito al comune alcune prescrizioni relative alla regolamentazione dell'attività edificatoria ammessa sull'area;

b) proprio alla luce delle osservazioni formulate dalla regione Piemonte, il comune di Cuneo aveva integrato l'art. 51 delle NTA al progetto definitivo del PRG: aveva tuttavia omesso di inserire nell'art. 51 la precisazione del fatto che la parte di ambito A V1.11 edificabile corrispondesse a quella evidenziata con il tratteggio nell’elaborato grafico del progetto definitivo di PRG; tale precisazione era stata quindi inserita nell'art. 51 delle NTA dalla regione Piemonte (quale modifica "ex officio") al momento dell'approvazione del PRG, avvenuta con la d.G.R. 7 luglio 2008, n. 40-9137.

4.2. Il primo Giudice ha quindi esaminato partitamente le censure proposte e le ha respinte, deducendo che:

a) contrariamente a quanto eccepito dalle originarie parti resistenti il ricorso era ammissibile in quanto proposto da un soggetto che risultava legittimato a proporlo sulla scorta della vicinitas;

b) la censura di nullità per indeterminatezza del piano regolatore, era infondata, in quanto.

I) in punto di fatto l’art. 51 delle NTA precisava che "l'estensione massima dei settori edificabili degli ambiti AV1.ll e AV2.1 è evidenziata con tratteggio orizzontale di colore verde nelle cartografie..”: era quindi vero che la norma non indicava nominativamente l'ambito destinatario della volumetria prodotta dall'area “Villa Sarah-Villino Luchino” (ambito "AV", piuttosto che "AT", ecc.) ma era però incontestabile che tale ambito era comunque individuato mediante rinvio alle prescrizioni grafiche riportate nelle tavole del piano regolatore (nelle quali la zona destinataria della cubatura è indicata con un tratteggio verde): ciò consentiva di escludere ogni vizio di nullità per indeterminatezza dell’oggetto della previsione;

II) la deduzione che per “settori edificabili” dovesse intendersi l’area di destinazione - e non quella di origine (come ipotizzato dall’originario ricorrente) - dei diritti edificatori, costituiva conclusione imposta da un principio di conservazione dell’effetto giuridico (arg. ex art. 1367 c.c.), in quanto proprio la diversa lettura infondatamente ipotizzata dall’originario ricorrente avrebbe reso la norma predetta carente di un elemento di contenuto essenziale (l’indicazione dell’area di destinazione della capacità edificatoria);

III) peraltro la stessa parte originaria ricorrente aveva riconosciuto che nel PRGC non era “indicato alcun Ambito di Trasformazione o altra diversa area del territorio comunale distante dal Torrente Gesso che possa usufruire del trasferimento di edificabilità”, e per tale ragione aveva concluso che “l’unica possibile area di concentrazione edilizia è da individuarsi proprio nell’area “Villa Sarah-Villino Luchino”;

IV) in ultimo, a voler intendere per “settori edificabili” l’area di origine - e non quella di destinazione - dei diritti edificatori, sarebbe risultato incomprensibile (in assenza di specifica motivazione) per quale ragione l’area generatrice di capacità edificatoria in quest’unico caso avrebbe dovuto intendersi limitata ad una sola porzione dell’intero compendio “Villa Sarah-Villino Luchino”, in dissonanza con le disposizioni riguardanti i rimanenti ambiti AV, che proporzionavano la cubatura edificabile all’intera superficie degli stessi;

V) tali argomenti interpretativi dovevano fare ritenere che l’art. 51 delle NTA, nel fare riferimento ai settori edificabili, avesse inteso individuare la zona destinataria della cubatura generata dall’area “Villa Sarah-Villino Luchino”, e pertanto apparivano ingiustificabili i dubbi prospettati dall’originario ricorrente: per altro verso, la zona di recepimento della cubatura era stata puntualmente individuata mediante esaustive indicazioni cartografiche, il che consentiva di escludere anche sotto questo profilo l’eccepita nullità per indeterminatezza della disposizione di piano avversata;

c) era del pari insussistente asserita illegittimità della norma di piano nella parte in cui consentiva che la cubatura prodotta dall'ambito AV1.11 venisse (non già trasferita in un altro ambito di trasformazione, bensì) concentrata in una zona circoscritta all'interno dell'ambito di provenienza, (art. 51.02 NTA), in quanto:

I) tale circostanza non integrava elemento di manifesta e irragionevole discordanza con le linee generali della programmazione urbanistica, atteso che quest’ultima effettivamente prevedeva (all’art. 51.01 NTA) un generale criterio di trasferimento di cubatura, tale per cui ai singoli ambiti di valorizzazione ambientale veniva attribuito un indice edificatorio da sfruttare in un diverso ambito di trasformazione (cioè in una diversa zona urbana);

II) ma detto principio di trasferimento non era previsto come necessariamente vincolante e quindi inderogabile da parte di disposizioni di segno contrario;

III) ciò era dimostrato dalla circostanza che per gli ambiti AV2 le NTA ammettevano un regime diverso, che consente la concentrazione dell’edificabilità in loco “se indirizzata ad attività vivaistiche e servizi connessi a tale attività” (eccezione giustificata dalla delimitazione dell’intervento edificatorio ad attività compatibili con le esigenze di valorizzazione ambientale e paesaggistica di tali porzioni di territorio)

IV) in linea di principio, quindi, la deroga consentiva una contrazione dell’area libera da edificazione che trovava giustificazione nella relazione di servizio che legava i fabbricati di nuova edificazione alla rimanente parte dell’area (il sacrificio conseguente alla perdita di una parte dell’area risultava bilanciato dalla massima valorizzazione della rimanente parte non edificata).

4.3. Il T.a.r., nel prosieguo della impugnata sentenza ha quindi irrobustito la motivazione reiettiva del detto secondo versante di censura, deducendo che:

a) chiarito che la regola generale fissata dall’art. 51.01 NTA poteva ammettere motivate eccezioni, restava da esplorare la portata degli argomenti addotti dal comune a giustificazione delle scelte concernenti l’ambito AV1.11;

b) in tale caso, la scelta derogatoria aveva trovato giustificazione nel dichiarato interesse pubblicistico prevalente (condiviso dal comune e dalla regione) ad ottenere la cessione dei parchi privati dell'“area Villa Sarah Villino Luchino”, al fine di costituire una vasta area da destinare a parco pubblico naturalistico e panoramico, liberamente accessibile alla cittadinanza, compresa tra il Viale degli Angeli ed il torrente Gesso;

c) il meccanismo di bilanciamento che aveva giustificato per le aree AV1.11 la deroga al criterio generale del trasferimento di cubatura, era quindi equiparabile a quello previsto per le aree AV2, nel senso che - pur ammettendo la realizzazione di fabbricati non strettamente funzionali alla destinazione di valorizzazione ambientale - similmente a quest’ultimo si prevedeva una contrazione dell’area libera da costruzioni giustificata dalla maggior valorizzazione ambientale della rimanente parte;

d) detta lata determinazione discrezionale era immune da vizi, in quanto:

I) il meccanismo della concentrazione della capacità edificatoria in loco, in alternativa al suo trasferimento in altro ambito, era ipotesi contemplata dalle NTA, sia pure in termini derogatori alla regola generale;

II) con specifico riguardo all’ambito AV1.11, l’utilità perseguita dal comune (consistente nel potere disporre pienamente di un’area parco aperta e liberamente fruibile dalla cittadinanza) era stata legittimante ritenuta coerente con l’impostazione del progetto urbanistico riferita a tali ambiti territoriali;

III) l’intento di massima valorizzazione del pregio naturalistico e ricreativo dell’area non aveva comportato un sacrificio abnorme,in quanto:

- il Comune era venuto a disporre di un’area parco comprensiva sia dell'area destinata a parco giochi, della superficie di circa 6.500 mq, già concessa in locazione al comune ma oggetto di contenzioso; sia dell’ulteriore superficie di quasi 30.000 mq, già in proprietà di privati e da questi gratuitamente ceduta al comune;

- al contempo, la possibilità di costruire sulla porzione, circoscritta, dell'area "AV1.11", era stata disciplinata puntualmente, attraverso il recepimento delle osservazioni della regione e l’introduzione, proprio su impulso regionale, di apposite prescrizioni in merito al posizionamento e alle caratteristiche dell'edificazione assentibile;

- si era così previsto che la parte edificabile debba essere di 3.000 mq su una superficie complessiva di 12.000 mq (con indice edificatorio di 0,5 mq/mq) e che i nuovi fabbricati (sette villini di due piani fuori terra) dovessero avere un’altezza massima di circa 7,5 mt al filo di gronda); ulteriori prescrizioni era state elaborate per individuare porzioni di area non edificabili e per imporre la conservazione delle alberature esistenti;

- di non minor rilievo era la circostanza che i fondi circostanti l’area concessa ai privati erano a loro volta edificati, il che giustifica la localizzazione nella zona nord del lotto edificabile, sulla base di un criterio di omogeneità con il contesto interamente urbanizzato;

- nell’ipotesi in cui l'area di cui si discuteva avesse mantenuto la classificazione originariamente prevista nel progetto preliminare del PRG (ossia la classificazione "Tessuti urbani con unità insediative isolate-TC3"), essa sarebbe rimasta, sì, inedificabile (come era negli auspici della parte originaria ricorrente), ma tutta l'ampia area verde che la caratterizzava sarebbe rimasta di proprietà dei privati (salvo la limitata e circoscritta area destinata a giardino pubblico, della quale però i privati stessi rivendicavano la titolarità), senza alcuna possibilità per i cittadini di fruirne a scopi ricreativi: la soluzione alternativa perorata dalla parte originaria ricorrente avrebbe salvaguardato l’integrità dell’area a costo, tuttavia, di precludere la stessa ad ogni forma di fruibilità pubblica.

4.4. Nell’ultima parte dell’impugnata decisione il T.a.r. ha respinto anche la terza censura, deducendo che:

a) era evidente il carattere di omogeneità urbanistica che connotava il lotto edificabile (di 12.000 mq) rispetto alle aree circostanti, parimenti edificate; viceversa, l’area a sud confinava con aree inedificate, sicché appariva non irragionevole la scelta di localizzarvi il parco pubblico: sulla scorta dei rilievi planimetrici e fotografici allegati in atti, inoltre, l’interferenza della zona parco con la galleria interrata che immette al viadotto del torrente Gesso (in direzione est-ovest) risultava di minima consistenza, sia per la limitata estensione della superficie coinvolta, sia per il dislivello che separa il parco (in posizione sopraelevata) dalla galleria ed il limitato impatto del tratto viario sotterraneo sull’area a verde pubblico non inficiava di illogicità la scelta urbanistica del comune;

b) per altro verso, non era possibile, sindacare le scelte dell’amministrazione comunale rapportandole a ipotetiche soluzioni alternative, quale quella dell’acquisto dell’area in questione per via espropriativa o per effetto del trasferimento dei diritti edificatori originari in quanto il giudizio di convenienza del modulo acquisitivo dell’area era rimesso alla latissima discrezionalità amministrativa, tantopiù che le “alternative” prospettate dalla originaria parte ricorrente presentavano anch’esse profili di problematicità ed inconvenienti da superare ( riposanti, quanto all’espropriazione, nell’esborso economico per il pagamento dell’indennizzo; e, quanto all’acquisizione delle aree AV1 come effetto tipico del trasferimento dei diritti edificatori originati dalle stesse -art. 51.02 NTA-, nell’aleatorietà della effettiva integrazione di condizioni favorevoli alla traslazione di cubatura - connesse alla disponibilità di un’adeguata superficie urbana sulla quale far concentrare la potenzialità edificatoria rilasciata).

5. L’ originario ricorrente rimasto soccombente ha proposto appello deducendo le medesime doglianze disattese in primo grado, attualizzandole rispetto al contenuto della motivazione della sentenza.

6. In data 7.4.2016 l’appellata amministrazione comunale di Cuneo si è costituita depositando atto di stile chiedendo che l’appello venisse respinto.

7. In data 11.4.2016 è intervenuta ad adiuvandum la Federazione nazionale Pro Natura chiedendo l’accoglimento dell’appello.

8. In data 14.4.2016 le società appellate originarie controinteressate Risso s.r.l. e Granda Immobiliare s.p.a. si sono costituite depositando due memorie chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.

9. In data 9.6.2017 l’amministrazione comunale di Cuneo e la società Granda Immobiliare s.p.a. hanno depositato documentazione relativa ai fatti di causa.

10. In data 16.6.2017 la società Granda Immobiliare s.p.a. ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese ed in data 30.6.2017 ha depositato una memoria di replica.

11. In data 19.6.2017 l’amministrazione comunale di Cuneo ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese e chiedendo che l’intervento ad aiduvandum spiegato dalla Federazione nazionale Pro Natura venisse dichiarato inammissibile, ed in data 28.6.2017 ha depositato una memoria di replica.

12. In data 19.6.2017 l’appellante ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese ed in data 28.6.2017 ha depositato una memoria di replica.

13. In data 19.6.2017 l’interveniente ad adiuvandum Federazione nazionale Pro Natura ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese ed in data 28.6.2017 ha depositato una memoria di replica.

14. Alla pubblica udienza del 20 luglio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto.

2. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), e fatto presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., il Collegio farà esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno del ricorso in appello e già proposte in primo grado (senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali- cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015) al fine di definire il thema decidendi si osserva che:

a) posto che non v’è contrasto sulla ricostruzione fattuale, anche cronologica –e giuridica- della vicenda processuale, e posto che il Collegio condivide in via di principio la ricostruzione normativa e giurisprudenziale contenuta nella sentenza impugnata, il Collegio farà integrale riferimento in parte qua alle affermazioni del primo Giudice, in ossequio al principio di cui all’art. 64 comma 2 del cpa, ed al principio di sinteticità dei provvedimenti giurisdizionali;

b) armonicamente con la consolidata giurisprudenza (cfr. da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015 n. 5; Cass. civ, sez. un., 12 dicembre 2014 nn. 26242 e 26243), che privilegia il criterio della ragione "più liquida" purché non si pregiudichi il diritto di difesa delle parti in giudizio, ritiene il Collegio di potere prescindere dall’esame di tutte le eccezioni di inammissibilità dell’intervento atteso che il ricorso in appello (quest’ultimo comunque certamente ammissibile e non indeterminato nel contenuto, come inesattamente sostenuto dalle parti appellate) si appalesa infondato nel merito: peraltro la parte interveniente non potrebbe in alcun modo ampliare il perimetro dell’oggetto della controversia nè proporre motivi “nuovi” o comunque diversi da quelli proposti dall’originario ricorrente (art. 28 del c.p.a.);

c) seguendo il consolidato canone del “tempus regit actum” non possono spiegare efficacia decisiva sulla controversia gli atti prodotti nel presente grado di giudizio e successivi all’adozione dei provvedimenti impugnati (si fa riferimento, in particolare, alla determinazione della regione Piemonte n. 248 del 31 maggio 2017 con la quale è stato espresso dalla predetta Regione e dalla Soprintendenza parere favorevole - sotto il profilo dell’impatto paesaggistico - all’intervento edilizio progettato dalla società appellata).

3. Nel merito, si osserva che:

a) la necessità di fare riferimento ad una nozione ampia e funzionalizzata del concetto di “governo del territorio” è stata a più riprese affermata dalla Sezione, ancora assai di recente, e costituisce indirizzo dal quale il Collegio non intende discostarsi (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 22/02/2017, n. 821 “il potere di pianificazione urbanistica del territorio - la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita ex art. 117 comma 3, Cost. alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune - non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse; al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli -e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti-, ma che, per mezzo della disciplina dell'utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati; tali finalità, più complessive dell'urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della "disciplina urbanistica e dei suoi scopi" -art. 1-, non solo nell'assetto ed incremento edilizio dell'abitato, ma anche nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica"; in definitiva, l'urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo): la nozione ampia di “governo del territorio”, comportando la potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda, a cascata, sulla potestà amministrativa dei comuni in subiecta materia;

b) come è noto, nel sistema giuridico italiano all’Ente comune è tradizionalmente affidata la funzione amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117 comma III della Costituzione) che esso esercita, di regola attraverso una duplice direttrice (tra le tante Cons. Stato Sez. VI, 30-06-2011, n. 3888 “in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel relativo piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, occorre differenziare tra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata, tra cui rientrano le norme di cd. zonizzazione; di destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre regole che disciplinano più in dettaglio l'esercizio dell'attività edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze; la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati usi; l'assolvimento di oneri procedimentali e documentali ecc.”);

c) senza potere indugiare oltremisura sul tema, si rammenta poi che tale facoltà pianificatoria – che si esprime ed attualizza attraverso l’adozione dello strumento generale di governo del territorio, ovvero attraverso le varianti “generali” a quest’ultimo- è assistita da latissima discrezionalità;

d) e si rammenta altresì che sempre più spesso, per scelta “politica”, ovvero anche, semplicemente, per carenza di risorse per potere procedere agli espropri, i comuni hanno attuato la pianificazione territoriale attraverso il ricorso ad un variegato (nelle modalità attuative) modulo operativo, che prende il nome di perequazione: essa – che può o meno essere disposta in una norma di legge-cornice - non opera un principio conformante l’azione del Comune, ma rappresenta una delle modalità con le quali può essere esplicata la facoltà pianificatoria a questi attribuita e, pertanto, il principio perequativo si applica se ed in quanto previsto nello stesso strumento generale (e, di regola viene poi attuato tramite un piano urbanistico esecutivo)”.

3.1. Premesso che, in punto di fatto, un elemento che occorre ben tenere presente nella fattispecie attuale (e che l’appellante ha abilmente evitato di porre in luce) riposa nel pieno accordo tra regione Piemonte e comune di Cuneo in ordine alla attuazione della avversata, specifica, forma di pianificazione territoriale (argomento, questo, che si ometterà di ripetere, ma che fa da sfondo all’analisi delle singole doglianze) le censure prospettate dall’appellante, (delle quali sotto il profilo logico appare necessario invertire l’esame) postulano:

a) (secondo motivo) che nella data situazione, non fosse possibile accedere alla forma di pianificazione perequativa;

b) (primo motivo) che nel caso di specie, tale opzione fosse nulla per carenza dell’oggetto, ovvero indeterminata;

c) (terzo e quarto motivo) che la stessa fosse irragionevole, carente sotto il profilo istruttorio, sviata.

3.2. Seguendo tale ordine logico di esame, si osserva che:

a) la radicale doglianza di cui al secondo motivo di ricorso, non è fondata in quanto collide con la indicazione contenuta sub art. 51.02 ultimo comma delle Nta;

b) il Collegio non ha difficoltà ad affermare, come già peraltro riconosciuto del primo Giudice, che la regola dello strumento urbanistico in oggetto (e più in generale il comune utilizzo dello strumento perequativo) sia nel senso che il diritto edificatorio attibuito al privato “atterri” in area diversa rispetto a quella di provenienza (nel caso di specie quindi, in Ambiti di trasformazione);

c) ma ciò non implica né che tale regola sia assoluta, né che non possa soffrire di eccezioni;

d) e che il comma 2 dell’art. 51 costituisca eccezione alla regola generale espressa nel primo comma della disposizione medesima è dimostrato –ad avviso del Collegio- oltre che dal dato letterale (che va valutato unitamente al dato “ genetico”, sol che si consideri che all’ avversato assetto di interessi si perviene da un’osservazione dei privati proprietari, condivisa dal comune, avallata dalla regione, e “corretta” dalla regione medesima ) anche da una considerazione: se non interpretata in tale senso, la disposizione in parola sarebbe priva di qualsiasi effetto “utile”: costituirebbe un non senso, ed è noto che costituisce principio consolidato quello secondo il quale in materia di interpretazione della legge, ma anche delle prescrizioni urbanistiche, deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna prescrizione va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento, ed un' interpretazione utile, per cui ciascuna di esse deve essere intesa non solo in modo che abbia un senso, ma anche, che, tra le varie interpretazioni in astratto possibili debbano scegliersi quelle che non si pongono in contrasto con la Costituzione, e vada privilegiata quella ad essa più conforme, (tra le tante Cass. 22 ottobre 2002 n. 14900, nonché Cass. 17 gennaio 2006 n. 781);

e) si evidenzia a tale proposito, che al paragrafo cinque del comma 2 dell’art. 51 è stabilito che “l’estensione massima dei settori edificabili degli ambiti AV1.11 ed AV2 sia “evidenziata con tratteggio orizzontale di colore verde..”; detta disposizione non reca ulteriori limiti e, quindi, si riferisce sia alla superficie virtuale utilizzabile per un eventuale trasferimento (negli ambiti di trasformazione), ma anche alla superficie utilizzabile in loco (il che è avvenuto nel caso di specie), mentre il paragrafo due della predetta disposizione di cui al comma 2 dell’art. 51 spiega una ulteriore portata limitativa (“attività florovivaistiche e servizi connessi a tale attività”’ che, tuttavia, è limitata agli ambiti AV2 (e, quindi, non spiega refluenza nella presente controversia);

f) peraltro, l’appellante, che pur si duole della tesi del T.a.r., non prospetta alcuna plausibile interpretazione alternativa della disposizione medesima: di certo v’è, che se non interpretata in questo senso, la norma in oggetto apparrebbe priva di senso compiuto, posto che già il comma 1 impone il trasferimento degli indici edificatori verso gli Ambiti di trasformazione;

f) infine, è importante ribadire che sotto il profilo concettuale (il dato normativo, si ripete, seppure involuto pare al Collegio sufficientemente chiaro) non v’è ostacolo alcuno nella possibilità che l’ “atterraggio” della facoltà edificatoria concessa in cambio della cessione gratuita di aree, avvenga nello stesso ambito: tanto ciò è vero che, in assenza di vincoli di inedificabilità, sarebbe stato sufficiente al Comune ridurre l’ampiezza dell’ambito “di partenza” per disinnescare ogni dubbio prospettato dall’appellante.

3.2.1. Il secondo motivo di ricorso è quindi infondato; esiste una norma che facultizzava il comune a prevedere che il diritto edificatorio venisse esercitato in una porzione geografica dell’ambito di partenza, e non si rinviene alcuna prescrizione ostativa (mentre costituirà oggetto dell’esame dedicato al terzo versante di censura scrutinare se tale prescrizione possa essere tacciata di illogicità od irragionevolezza), dovendosi in ultimo precisare che neppure è stato criticato il passaggio motivazionale della sentenza di primo grado dedicato a chiarire che la “eccezione” di cui alla più volte citata disposizione di attuazione non è l’unica, né essa implica uno stravolgimento delle scelte generali di piano.

3.3. Non miglior sorte merita il primo motivo di censura in quanto:

a)in disparte ogni considerazione sulla circostanza che esso trascura il procedimento (di natura simil-negoziale, in qualche tratto accostabile alla fattispecie di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990) che ha condotto alla avversata determinazione, a partire dall’osservazione proposta dai proprietari dell’area, dalla circostanza che in passato una porzione dell’area era locata al comune, ed adibita a giardino, e che detta locazione era scaduta sin dal 1995, con conseguente contenzioso intercorso tra il comune di Cuneo e la proprietà, si osserva che:

I) in forza del comma II dell’art. 51 (che, come ci si è prima sforzati di dimostrare ciò consentiva, come eccezione ad una regola generale) il diritto edificatorio viene concesso sullo stesso ambito Av.11.;

II) detta previsione non è illegittima, e non è neppure nulla, od indeterminata, in quanto l’area destinataria della cubatura utilizzabile, è individuata (ed agevolmente individuabile) attraverso il rinvio alle prescrizioni grafiche delle tavole del prg ed al tratteggio verde, né la mancata indicazione nominativa integra vizio alcuno;

b) la censura in esame, in fondo, è una abile specificazione della doglianza che si è prima esaminata, in quanto muove dalla tesi della impossibilità che la cubatura sia riconosciuta nello stessa area di provenienza (rectius: in una parte di essa, certamente non connotata da vincoli di inedificabilità) e va del pari disattesa.

3.4. L’ultimo versante di censura (che verrà esaminato congiuntamente ad alcune prospettazioni di dettaglio contenute nella seconda censura) costituisce, a parere del Collegio, il proprium della causa (seppur logicamente subordinata alle prime due doglianze in quanto presuppone che la interpretazione dell’art. 51 comma II delle N.t.a. quale norma facultizzante ed intrinsecamente non illegittima sia esatta) ed attraverso la stessa si sostiene che la “eccezione” alla regola generale disposta dal comune sia illegittima, in quanto, illogica, irrazionale, e non supportata da adeguata istruttoria.

3.4.1 Nei limiti del sindacato proprio del giudizio di legittimità, il Collegio non concorda con la critica dell’appellante e non rinviene elemento alcuno di manifesta abnormità ovvero indici sintomatici di una istruttoria insufficiente o sviata, in quanto:

a) la valorizzazione delle aree fluviali attiene all’intero ambito, mentre le costruzioni non sono destinate a sorgere nell’adiacenza delle rive;

b) i possibili metodi alternativi di acquisizione di aree (espropriazione, etc) da destinare a giardino non possono essere assunti a tertium comparationis della scelta dell’amministrazione, salvo sconfinare in un inammissibile sindacato di merito;

c) non è contestato che nell’area prescelta l’attribuzione dell’indice di cubatura realizzabile sia tra i più bassi del territorio comunale;

d) nella fase genetica dell’accordo raggiunto (a partire dalla presentazione dell’osservazione poi accolta con modificazioni ed integrazioni) è stato pienamente chiarito sia quale fosse l’obiettivo tenuto presente dall’amministrazione comunale (assicurarsi un’area a verde fruibile dai cittadini) che il bilanciamento del contrapposto interesse (mantenere l’area TC3) che gli inconvenienti della scelta;

e) il Collegio non può spingersi sino a sindacare l’opzione –perseguita dall’amministrazione comunale -di mantenere parte dell’area a parco, mentre le altre argute considerazioni dell’appellante (massime la circostanza che parte dell’area-parco è interessata dall’ingresso della preesistente galleria) sono contraddette dagli argomenti con cui l’amministrazione comunale ha chiarito in fatto che:

a) l’edificazione dei villini avverrà in zona contigua ad una zona già edificata;

b) il parco rimane ad un livello più alto della galleria; quest’ultima non sarebbe addirittura percepibile dall’interno del parco, mentre l’impatto interferenziale del traffico veicolare sul viadotto è esterno all‘area adibita a parco.

3.5. Quanto sinora esposto pare al Collegio sufficiente per respingere l’appello, senza che sia necessario esplorare ulteriori argomenti di contorno prospetti dalle parti appellate, e tesi a dimostrare la scarsa invasività dell’intervento ipotizzato: si ripete infatti che tutte le questioni di natura “paesaggistica”, invero, si pongono al di fuori del perimetro del devolutum, sia cronologicamente (non è contestato che né la ex Villa Sarah, né le aree verdi a questa pertinenziale siano state mai assoggettate a specifico vincolo paesaggistico) che logicamente (il ricorso di primo grado censurava l’an della destinazione impressa all’area e censurava l’allocazione della cubatura in una porzione della stessa area, in parte ceduta a titolo gratuito al comune).

4. Conclusivamente, l’appello è infondato e va disatteso, e la sentenza merita conferma.

4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5.La complessità e relativa novità delle questioni esaminate legittima la integrale compensazione delle spese processuali del grado tra tutte le parti

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Fabio Taormina        Paolo Troiano