TAR Puglia (BA) Sez. III sent.2308 del 3 ottobre 2008
Urbanistica. Sanatoria e volumetria

La locuzione “costruzione originaria”, rispetto alla quale l’art. 32 comma 25 parte prima impone di verificare l’entità dell’ampliamento abusivamente realizzato, non significa, necessariamente, “costruzione preesistente”, già ultimata ed abitata prima della realizzazione delle opere abusive, potendo riferirsi anche alla costruzione prevista nell’originario progetto assentito: sul punto la norma non è affatto precisa. Lo stesso dicasi per il concetto di “ampliamento”, riferibile sia ad una ipotetica costruzione già ultimata, abitata o meno, sia ad una costruzione progettata e non ancora realizzata o in corso di realizzazione.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 146 del 2008, proposto da:
Gaetano Armenise, Giuseppe Mittica, Maria Civitella, Giuseppe Zanghi, Emanuele Fabio Zanghi, rappresentati e difesi dagli avv. Nicola Fabio De Feo, Francesco Paolo Sisto, con domicilio eletto presso Francesco Paolo Sisto in Bari, via Roberto Da Bari, 36; Vera Loizzi, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Paolo Sisto, Nicola Fabio De Feo, con domicilio eletto presso Francesco Paolo Sisto in Bari, via Roberto Da Bari, 36;


contro

Comune di Bari in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dagli avv. Augusto Farnelli, Renato Verna, con domicilio eletto presso Renato Verna in Bari, c/o Avv.Ra Comunale via P.Amedeo 26;


per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

dei provvedimenti di diniego di condono edilizio:

271321 dell'11.10.2007, notificato il 13.12.2007;

273875 del 12.10.2007, notificato il 29.10.2007;

273638 del 12.10.2007, notificato il 30.10.2007;

275125 del 15.10.2007 e 278684 del 16.10.2007, notificati ambedue il 29.10.2007;.







Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 09/07/2008 il dott. Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:




FATTO

Con ricorso notificato il 22/12/2007 e depositato il successivo 22/01/2008, i ricorrenti Capuano Rosa, Rinaldi Giuseppina, Sibilla Damiano, Plantamura Vita, Cavaliere Giovanni, in qualità di proprietari e/o promissari acquirenti di unità immobiliari site nel complesso residenziale S. Fara, ubicato in Bari alla via Camillo Rosalba, ricorrevano a questo Tribunale per ottenere l’annullamento dei provvedimenti in epigrafe indicati, con i quali il Dirigente della Ripartizione Qualità Edilizia del Comune di Bari respingeva le istanze di condono edilizio ex L. 326/2003, presentate dai ricorrenti.

Il ricorso veniva affidato ai seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 32 L. 326/2003, eccesso di potere per presupposto erroneo, illogicità interna, difetto di istruttoria, erroneità della motivazione provvedimentale: il Comune ha errato nel respingere le istanze di sanatoria sulla mera constatazione che la volumetria complessiva supera di oltre 3.000 mc quella originariamente assentita, dal momento che l’aumento è quantificabile in meno di mc 750 per singola richiesta ed ai sensi del comma 25 parte prima ciò che conta è che la singola istanza di condono non abbia ad oggetto una volumetria superiore ai 750 mc. Il Comune, inoltre, ha errato nel ritenere la costruzione oggetto di sanatoria una “nuova costruzione”, trattandosi di abuso consistente in cambio di destinazione d’uso, il quale può afferire solo ad una costruzione già esistente;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 30 D.P.R. 380/01 in relazione all’art. 32 n. 1 e 2 dello stesso D.P.R. 380, eccesso di potere per assoluto difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti: il Comune ha errato nell’affermare che il semplice cambio di destinazione d’uso, in cui si sono compendiati gli abusi per i quali è stata richiesta la sanatoria, sia suscettibile di dar luogo alla formazione di una nuova maglia urbanistica, dal momento che nel caso di specie gli abusi si sono consumati, appunto, all’interno di fabbricato realizzato su area già ampiamente trasformata;

c) violazione dell’art. 3 L. 241/90, eccesso di potere, difetto di istruttoria, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, insussistenza dei presupposti: la motivazione con la quale i provvedimenti affermano la sussistenza di una lottizzazione abusiva è apodittica ed autoreferenziale;

d) eccesso di potere per contraddittorietà con precedente permesso di costruire in sanatoria rilasciata dallo stesso Comune di Bari, in particolare con la c.e. in sanatoria 3382 del 24/03/2006;

e) eccesso di potere per assoluto difetto di presupposti e travisamento di fatti: le unità immobiliari della cui sanatoria si discute hanno già ottenuto la abitabilità, in conformità a quanto statuito dalle sentenze di Questo Tribunale 3850 e 3883/2005, e del Consiglio di Stato n. 7305/2006.

Si è costituito in giudizio il Comune di Bari chiedendo la reiezione del ricorso.

Il ricorso veniva chiamato alla Camera di Consiglio del 13/02/2008, quando parte ricorrente rinunciava alla istanza di tutela cautelare.

Alla pubblica udienza del 09/07/2008 il ricorso veniva introitato a decisione definitiva.

DIRITTO

1. Premette il Collegio che la vicenda portata alla attenzione del Tribunale con il ricorso in epigrafe presenta aspetti di particolare delicatezza, in ragione del fatto che buona parte delle unità immobiliari, ad uso residenziale e commerciale, realizzate abusivamente dalla impresa Rubino, sono state nel frattempo alienate o promesse in vendita a terzi soggetti: solo in minima parte le unità realizzate sono ancora di proprietà della ricorrente. In particolare sono circa un centinaio le famiglie che, avendo già stipulato un atto di acquisto, riceverebbero un ingente danno dalla perdita della proprietà dei locali acquistati conseguente alla demolizione dei fabbricati o anche solo alla acquisizione di essi al patrimonio del Comune. Si tratta di una situazione che, senza retorica, può definirsi drammatica, dovendosi immaginare che molti di coloro che hanno acquistato delle unità realizzate nel complesso in contestazione abbiano, allo scopo, contratto un mutuo che non hanno ancora terminato di rimborsare, e che per costoro – come del resto per i circa quaranta promissari acquirenti - il fatto di ottenere un risarcimento adeguato appare prospettiva quanto mai aleatoria poiché strettamente dipendente dalla solvibilità della impresa ricorrente.

Nel caso di specie appare quindi particolarmente necessario che l’opera interpretativa della normativa di riferimento, finalizzata alla ricerca della volontà del legislatore, sia improntata al massimo rigore della indagine, affinché essa risulti completa, esaustiva, e non si fermi a quello che appare essere il senso letterale delle parole, nonché alla massima serenità.

2. Va ancora premesso che la sentenza del Tribunale Penale di Bari sez. I, n. 709 del 30/04-14/06/2007, che ha riconosciuto la penale responsabilità dei soci della impresa ricorrente in ordine ai fatti oggetto del presente giudizio, integranti i reati di cui all’art. 44 lett. b) e c) D.P.R. 380/01, non risulta essere passata in giudicato, e quindi essa non è vincolante nel presente giudizio – che peraltro non ha ad oggetto una domanda risarcitoria – ai sensi dell’art. 651 c.p.p.

3. Ciò premesso, giova rammentare quanto segue, in punto di fatto.

3.1. Su richiesta presentata il 30/10/1986 il Sindaco di Bari, il 02/07/1991 rilasciava alla Rubino s.n.c. la concessione edilizia n. 465/86 per realizzare, su un’area di circa 27.000 mq destinata in PRG a “servizi per la residenza e strade di p.r.g.”, un complesso polivalente costituito da otto corpi di fabbrica, due dei quali da destinarsi ad alloggi per studenti, e gli altri a centro culturale, mensa, centro sportivo e servizi: veniva nell’occasione assentita una volumetria di complessivi ca. mc. 55.076.

In data 26/09/1993 veniva rilasciata la concessione 136/93 per la realizzazione di variante in corso d’opera, consistente in una ridefinizione plano-volumetrica del complesso, non comportante mutamento della originaria destinazione d’uso.

Nell’agosto 1995 la ricorrente presentava n. 118 domande di condono ex L. 724/94 per sanare il mutamento di destinazione d’uso impresso alle porzioni immobiliari ubicate nei corpi di fabbrica nn. 1, 3, 5, 6, 7 e 8, trasformate in appartamenti per civile abitazione: le relative concessioni in sanatoria venivano rilasciate tra il 06/06 ed il 03/10/1996.

Il 12/05/1998 il cantiere veniva sottoposto a sequestro preventivo penale nell’ambito del procedimento penale n. 5216/RGNR, che vedeva i soci della collettiva ricorrente indagati, e poi imputati, del reato di cui all’art. 20 lett. b) L. 47/85, in relazione alla totale difformità delle costruzioni realizzate rispetto alle concessioni edilizie 465/86 e 136/93 ed alla illegittimità delle concessioni in sanatoria rilasciate nel 1996 in quanto afferenti ad opere non ultimate nel termine previsto dalla L. 724/94: il giudizio si concludeva con sentenza 27/04/2003 con la quale la Corte d’Appello di Bari dichiarava l’intervenuta estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Il cantiere era però stato dissequestrato sin dal 10/05/2001, con sentenza del giudice di primo grado, di guisa che la impresa ricorrente chiedeva ed otteneva dal Comune di Bari la concessione edilizia 22/07/2001, rilasciata l’08/08/2001, per il completamento funzionale delle opere già condonate.

Con la ripresa dei lavori veniva aperta una nuova indagine penale - n. 8159/2003 RGNR - nell’ambito della quale veniva nuovamente contestata sia la contravvenzione di cui all’art. 44 lett. b) D.P.R. 380/01, in relazione alle opere poste in essere successivamente al 10/05/2001, sia la contravvenzione di cui all’art. 44 lett. c) (lottizzazione abusiva): disposto un nuovo sequestro preventivo del cantiere dal Tribunale del Riesame di Bari, in data 15/03/2004, la Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 294 del 24/02/2005, resa in sede di impugnazione avverso il citato provvedimento del Tribunale del Riesame di Bari, annullava il sequestro in relazione al reato di lottizzazione abusiva, confermandolo solo con riferimento alla ipotesi di reato di cui all’art. 44 lett. b) D.P.R. 380/01.

Il procedimento penale n. 8159/2003 RGNR veniva infine deciso con sentenza del Tribunale penale di Bari, sezione I, n. 709 del 30/04/2007, la quale, riconosciuta la penale responsabilità soci della Rubino s.n.c. in relazione ad entrambi i capi di imputazione, ha ordinato la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e di tutti i corpi di fabbrica che sopra sono stati realizzati, nonché la demolizione delle opere abusivamente realizzate sui corpi di fabbrica 1, 3, 5, 6, 7 e 8.

3.2. A questo punto è bene ricordare che il progetto originario prevedeva la costruzione di più corpi di fabbrica distribuiti in residence (maschile e femminile), centro culturale, una mensa con centro sportivo ed annessi servizi e spogliatoi, per un totale di 55.076 mc su una superficie di 27.529 mq.: il centro era destinato ad ospitare 381 studenti.

Con la concessione edilizia in variante n. 136/93 veniva approvata una diversa forma e dimensione dei vari corpi di fabbrica, rimanendo invariata la destinazione d’uso del complesso, però con un incremento dei posti letto da 381 a 477: nella occasione veniva rettificata anche la superficie fondiaria ( da 27.529 mq a 27.441 mq) nonché la volumetria (portata da 55.076 mc a 54.868,45 mc.)

Nel corso dei lavori venivano eseguite opere non autorizzate interessanti i corpi di fabbrica nn. 1, 3, 5, 6, 7 e 8, che riassuntivamente si possono così descrivere: a) i porticati a piano terra sono stati trasformati, mediante tampognamento, in locali commerciali; b)le residenze per studenti sono state trasformate, mediante accorpamento e ridefinizione delle divisioni interne e degli spazi comuni, in alloggi per civili abitazioni; c) le scale antincendio esterne sono state eliminate ed i relativi ballatoi trasformati in volumi aggettanti; d) ai piani attici sono state realizzate unidici unità abitative non previste, attraverso la trasformazione degli originari vani tecnici. Le anzidette difformità hanno dato luogo a mutamento di destinazione dei corpi di fabbricati sopra indicati, adibiti non più a centro residenziale per studenti, sibbene a civili abitazioni, uffici e negozi, oltre ad un piccolo locale portineria e ad un locale ad uso bar nell’area destinata ad impianto sportivo. Esse hanno inoltre comportato l’utilizzo di una volumetria di circa 15.486 metri cubi superiore a quella originariamente assentita, comportante secondo la perizia svolta in sede penale, un ulteriore aumento del carico insediativo, quantificabile in 532 potenziali residenti, in luogo dei 477 autorizzati a mezzo della variante n. 136/03. Va precisato, ai fini di quanto in appresso si esporrà, che tale ampliamento volumetrico risulta “spalmato” sui sei corpi di fabbrica in contestazione in modo che in nessun caso esso supera i 3.000 mc per corpo di fabbrica. In termini percentuali, invece, l’ampliamento di che trattasi rappresenta meno del 30% rispetto alla volumetrìa complessivamente assentita con le concessioni edilizie 465/86 e 136/93, mentre corrisponde a circa il 35% ove si prenda in considerazione solo la volumetria assentita per i sei corpi di fabbrica in contestazione, escludendo perciò quella relativa ai corpi nn. 2 e 4.

L’edificio 2, infatti, non è in contestazione, è stato adibito a centro culturale ed è attualmente di proprietà della Università di Bari, mentre l’edificio 4, pure non in contestazione, è destinato a centro di fisioterapia, ed è attualmente al rustico

Risulta insomma, dalla sentenza del Tribunale Penale di Bari sopra ricordata nonché dalla relazione a firma ing. Tatò prodotta anche nel presente giudizio, che rispetto al complesso edilizio regolarmente assentito quello in realtà realizzato si è compendiato da una parte nella realizzazione delle opere edili necessarie ad adeguare la costruzione alla nuova destinazione impressa (essenzialmente fusione di unità immobiliari e modifiche di prospetto), d’altra parte nella realizzazione di ampliamenti volumetrici non consentiti.

Per quanto riguarda l’area utilizzata per realizzare l’intervento, va ricordato che, come sopra si diceva, trattasi di una superficie di circa 27.000 mq, , tipizzata in PRG quale “area per servizi della residenza”, compresa nella maglia 17 , della quale rappresenta circa il 17% della superficie totale: al momento in cui l’intervento edilizio veniva assentito all’interno di detta maglia esistevano già, o erano in corso di realizzazione, servizi commerciali, opere di urbanizzazione primaria ed opere di urbanizzazione secondaria di tipo sportivo, scolastico e sanitario.

4.Tanto ricordato in punto di fatto, è ora possibile procedere alla disamina del contenuto del provvedimento in relazione alle specifiche doglianze.

4.1. I provvedimenti impugnati fondano il diniego della sanatoria ai sensi della L. 327/2003 essenzialmente su due motivi, il primo dei quali poggia sulla constatazione che “le opere abusive afferiscono un complesso organismo edilizio unitario di nuova costruzione residenziale avente cubatura eccedente i 3.000 mc”.

In comparsa di costituzione e risposta la difesa del Comune di Bari, ripercorrendo l’iter argomentativo fatto proprio dal Giudice penale, ha integrato tale laconica motivazione sostenendo che gli abusi contestati non possono essere sussunti nella categoria del mutamento di destinazione d’uso né in quella dell’ampliamento, posto che entrambe le categorie sarebbero riferibili solo a costruzioni già esistenti. Nel caso di specie si osserva, invece, che le opere abusive, nelle quali si é compendiato il mutamento di destinazione d’uso nonché l’incremento del volume abitabile, sono state poste in essere nel corso dei lavori, quando ancora la costruzione, così come originariamente assentita, non era stata ultimata.

Secondo tale prospettiva, in sostanza, mentre il complesso progettato non sarebbe mai venuto alla luce, quello in concreto realizzato dovrebbe essere considerato, nella sua interezza, come una nuova costruzione, non condonabile in quanto avente una volumetria complessiva ben superiore al limite di 3.000 mc che l’art. 32 comma 25 pone alla condonabilità delle nuove costruzioni. A diversa conclusione si sarebbe invece potuti giungere solo ove la costruzione originariamente assentita fosse stata ultimata e le opere abusive fossero state realizzate successivamente.

Secondo la tesi del Comune, insomma, ove le opere abusive risultino poste in essere in corso d’opera esse sarebbero sanabili solo ai sensi del comma 25 seconda parte; in caso contrario, e quindi se realizzate a costruzione ultimata, esse sarebbero sanabili ai sensi del comma 25 prima parte, norma che, contemplando alla apparenza solo abusi consistenti in ampliamenti, sembra riferirsi ad abusi consumati su edifici già ultimati.

4.2.Tale motivazione non è condivisibile.

4.2.1. Va anzitutto precisato che la locuzione “costruzione originaria”, rispetto alla quale l’art. 32 comma 25 parte prima impone di verificare l’entità dell’ampliamento abusivamente realizzato, non significa, necessariamente, “costruzione preesistente”, già ultimata ed abitata prima della realizzazione delle opere abusive, potendo riferirsi anche alla costruzione prevista nell’originario progetto assentito: sul punto la norma non è affatto precisa. Lo stesso dicasi per il concetto di “ampliamento”, riferibile sia ad una ipotetica costruzione già ultimata, abitata o meno, sia ad una costruzione progettata e non ancora realizzata o in corso di realizzazione.

D’altro canto è evidente che la seconda parte dell’art. 32 comma 25 tende a consentire la sanatoria di quegli abusi che si sono compendiati non in singole opere o in singole parti di edifici, ma in interi fabbricati, che la norma stessa considera condonabili al concorso di due condizioni essenziali, e cioè: a) che si tratti di fabbricati adibiti a residenza (evidentemente perché destinati a soddisfare un bisogno primario), e b) che il volume complessivo del fabbricato non superi i 3.000 mc. Ed é proprio il riferimento alla volumetria, contenuto anche nella seconda parte dell’art. 32 comma 25, che fa intendere come scopo principale di tale norma non sia tanto quello di consentire la sanatoria di singole opere abusive realizzate nel corso della realizzazione di un nuovo fabbricato, quanto piuttosto quello di consentire la sanatoria di interi fabbricati abusivi.

Secondo questa prospettiva, quindi, l’aggettivo “nuove”, che la seconda parte del comma 25 riferisce alle “costruzioni residenziali”, non assume il significato di “recente”, o di “non ancora abitati” o di “non ancora ultimati”, quanto semplicemente di fabbricato realizzato abusivamente ex novo, cioè nella sua interezza: in altre parole, mentre il comma 25 parte seconda si riferisce alle costruzioni interamente abusive, il comma 25 parte prima si riferisce alle costruzioni abusive solo in parte, per essersi l’abuso consumato su costruzione regolarmente assentita, ultimata o meno, alla quale ha apportato modifiche o ampliamenti.

4.2.2. Argomentare diversamente, ritenendo che il comma 25 prima parte sia applicabile solo alle costruzioni già ultimate e/o abitate al momento della realizzazione delle opere abusive, e che invece la seconda parte sia applicabile solo alle costruzioni non ultimate al momento dell’abuso, porta a conseguenze che non paiono corrispondere allo spirito che informa la normativa sul condono ed ai principi costituzionali.

L’ampliamento abusivo realizzato in corso d’opera su una nuova costruzione regolarmente assentita, ad esempio, non potrebbe mai comportare un aumento superiore ai 750 mc, allorché l’ampliamento consumato su una “vecchia” costruzione potrebbe anche concretizzarsi in una maggiore volumetria, purché essa corrisponda al 30% di quella originariamente realizzata ( in un edificio di 3000 mc sarebbe quindi ammissibile un ampliamento di 900 mc se l’edificio sia preesistente, e solo di 750 mc se afferente ad un edificio non ultimato): e qui si apprezza come illeciti della medesima natura vengano trattati differentemente in modo ingiustificato.

D’altro canto se il discrimine tra il comma 25 prima parte e seconda parte dovesse individuarsi nella già avvenuta ultimazione o meno della costruzione, rispetto al momento in cui l’abuso viene posto in essere, si giungerebbe alle seguenti paradossali conclusioni: a) un fabbricato interamente abusivo di 3.000 mc potrebbe essere sempre sanato ai sensi del comma 25 seconda parte - giacché in tal caso tutti gli abusi vengono posti in essere, per definizione, in corso d’opera -; b) la medesima cubatura in ampliamento di una costruzione già ultimata - la quale, a rigore di logica, pure rappresenta una costruzione in totale assenza di titolo edilizio - sarebbe invece ammessa solo se rappresentante al massimo il 30% di quella già esistente; c) detta cubatura, poi, ove realizzata in aggiunta alla volumetrìa di un qualsiasi fabbricato regolarmente assentito ma in corso d’opera, non sarebbe, invece, mai ammessa, in quanto la nuova costruzione che ne risulterebbe avrebbe una volumetria finale maggiore di 3.000 mc.

Come si vede, l’interpretazione del comma 25 adottata dal Comune – nonché dal Giudice penale – presta il fianco a censure di costituzionalità: essa all’evidenza favorisce colui che, per aver realizzato una intera costruzione abusiva non conforme alla normativa urbanistica, per definizione ha dato luogo al più alto grado di compromissione del territorio e della potestà di pianificazione di esso, ed introduce inoltre un trattamento differenziato tra abusi ontologicamente simili a seconda che essi afferiscano o meno a costruzioni già ultimate.

Trattasi di trattamenti differenziali che non trovano giustificazione logica.

4.2.3. In particolare va precisato che quando gli abusi risultino comunque inseriti nel contesto di una costruzione assentita da titolo edilizio, non è possibile valutarli diversamente a seconda delle modificazioni che ad esse conseguono, giungendo ad affermare che ove la costruzione in concreto realizzata non rispecchi più quella originariamente assentita deve considerarsi come costruzione realizzata ab origine in totale assenza di titolo.

In disparte i problemi applicativi che il ricorso ad un simile criterio comporta (quando si può dire che una costruzione non rispecchia più quella originariamente assentita?), non si può dimenticare che il rilascio di qualsiasi titolo edilizio per una nuova costruzione è espressione della accettazione, da parte dell’Ordinamento, di una sia pur limitata e ponderata compromissione del territorio e della potestà di pianificazione, la quale dalla nuova costruzione viene definitivamente condizionata; di guisa che eventuali modifiche abusive che al progetto assentito vengano apportate non saranno mai idonee ad esprimere un disvalore equiparabile a quello insito nella realizzazione di una costruzione totalmente realizzata in assenza di titolo edilizio, che invece interessa un’area rispetto alla quale l’Ordinamento non ha rinunciato ad interessarsi.

4.3. Ritiene pertanto il Collegio che una interpretazione dell’art. 32 comma 25 d.l. 269/03, costituzionalmente orientata, porti a ritenere che:

1) in tutti i casi in cui gli abusi edilizi siano stati consumati su costruzioni regolarmente assentite, ultimate o meno, deve trovare applicazione l’art. 32 comma 25 parte prima, di guisa che detti abusi saranno sempre sanabili quando non si siano tradotti in un aumento della volumetria originariamente assentita superiore al 30% o a 750 mc;

2) in tutti i casi in cui gli abusi edilizi siano stati consumati su costruzioni mai assentite, deve trovare applicazione l’art. 32 comma 25 seconda parte, di guisa che essi saranno sanabili alla condizione che le singole nuove costruzioni abbiano una volumetria complessiva non superiore ai 3.000 mc.

4.4. Seguendo il sopra esposto ragionamento, si deve dire che il caso di specie, in cui le opere abusive si sono inserite nel contesto di in un organismo edilizio regolarmente assentito, deve essere scrutinato alla luce di quanto previsto dal comma 25 parte prima: la ammissibilità delle istanze di condono presentate dalla ricorrente, dunque, in tanto saranno ammissibili in quanto non si siano tradotte in una volumetria complessiva superiore a 750 mc (sul punto non si può condividere l’opinione della ricorrente, secondo la quale il limite dei 750 mc sarebbe riferibile ad ogni singola domanda di condono, in quanto ciò porterebbe ad ammettere, in taluni casi – come quello in esame -, aumenti di volumetria assolutamente abnormi) ovvero al 30% di quella assentita.

4.4.1. Il Tribunale Penale di Bari ha ritenuto che tale percentuale non sia stata rispettata dovendosi fare riferimento non alla volumetria relativa agli otto corpi di fabbrica, originariamente assentiti con c.e. 465/86 e 136/93, ma solo ai sei corpi di fabbrica in contestazione.

Tale ragionamento non è condivisibile, poiché, come si legge anche nei provvedimenti impugnati, ciò che viene in considerazione è un organismo edilizio unitario, rinveniente da una unica concessione edilizia, composto da otto corpi di fabbrica pressoché uguali: che uno di questi corpi di fabbrica possa essere di proprietà della Università di Bari ed un altro sia ancora al rustico non fa venir meno l’unitarietà del complesso edilizio, che è recintato e che usufruisce, all’interno, degli spazi comuni destinati a verde e parcheggi. E’ interessante notare che la stessa sentenza 30/04/2007 del Tribunale Penale di Bari - a pag. 54, in fondo - rammenta che “Il complesso S. Fara è stato edificato su un’area di 27.441 mq. Esso è formato da otto fabbricati che – con la eccezione dell’edificio n. 1 isolato dai restanti sette – sono tutti tra loro collegati….” : se dunque la volumetrìa dell’edificio n. 1 non deve essere conteggiata a sé, pur essendo isolato dagli altri sette, non si vede per quale motivo la volumetria dei corpi di fabbrica nn. 2 e 4, in relazione ai quali lo stesso Giudice Penale dà atto essere collegati a quelli in contestazione, non debba essere considerata al fine di conteggiare il 30% di volumetria condonabile.

Pertanto, tenuto conto del fatto che la volumetria definitivamente assentita con la c.e. 136/93, per gli otto corpi di fabbrica, ammontava a 54.868,45 mc e che quella in esubero in concreto realizzata è quantificabile in circa 15.486,62 mc. ed è perciò inferiore al 30% di quella assentita, si ha che gli abusi portati alla attenzione del Tribunale risultano condonabili ai sensi dell’art. 32 comma 25 parte prima.

4.5. I provvedimenti impugnati sono dunque illegittimi laddove, con una prima motivazione e sul presupposto che le opere abusive in contestazione concretizzano una nuova costruzione, applicano il limite di 3.000 mc previsto dall’art. 32 comma 25 parte seconda.

5. Con una seconda motivazione i provvedimenti impugnati fondano il diniego di sanatoria degli abusi contestati sulla constatazione che essi avrebbero “conferito all’area interessata dalla edificazione, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e, comunque, delle leggi statali e regionali e senza la prescritta autorizzazione, un diverso assetto territoriale tale da trasformare l’area interessata in una nuova maglia di tessuto urbano residenziale”, e da comportare lottizzazione abusiva.

Anche in tale parte i provvedimenti impugnati sono, ad avviso del Collegio, illegittimi.

5.1. Orbene, i provvedimenti impugnati sono privi di motivazione e si risolvono in una affermazione apodittica: essi non spiegano, invero, per quale ragione gli edifici realizzati dalla ricorrente avrebbero conferito all’area interessata un nuovo assetto urbanistico, e la mancanza di tali spiegazioni non configura un mero vizio formale ove si tenga conto delle obiezioni che seguono.

5.2. Giova preliminarmente ricordare che il Tribunale Penale di Bari, premettendo che costituisce lottizzazione ogni attività edificatoria che di fatto, e cioé in mancanza di una convenzione lottizzatoria avente funzione esecutiva o di raccordo rispetto alle previsioni contenute nello strumento generale, realizzi una trasformazione che conferisca all’area interessata un diverso assetto urbanistico, vanificando il potere pubblico di pianificazione del territorio; e che si ha trasformazione urbanistica che conferisce un diverso assetto del territorio – e richiede perciò un preliminare atto di pianificazione territoriale - quando l’attività edificatoria richieda la realizzazione di opere di urbanizzazione; ha ritenuto che gli abusi posti in essere dalla ricorrente abbiano dato luogo ad una lottizzazione abusiva per le seguenti ragioni:

a) l’assentito residence per studenti non ha mai visto la luce, e quindi gli abusi commessi non possono valutarsi in termini di semplice mutamento di destinazione d’uso;

b) è stato invece realizzato un complesso residenziale che, in applicazione dei parametri previsti dal d.m. 1444/68, ha una potenzialità abitativa di 532 abitanti, che “ha certamente provocato un aggravamento del carico urbanistico sulle fragili infrastrutture esistenti, aggravamento configurabile sia come ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante”: l’insediamento genera infatti un fabbisogno di aree a standards di ben 12.170 mq.;

c) l’impatto creato da tale complesso residenziale non è paragonabile a quello che sarebbe stato indotto dal centro residenziale per studenti, poiché questo avrebbe configurato un insediamento aperto ad una intensa frequentazione pubblica, avrebbe favorito la socializzazione ed avrebbe quindi svolto la funzione, propria delle aree destinate a servizi, di “ricucitura ed integrazione fra le varie porzioni” della città; mentre il complesso residenziale in concreto realizzato costituisce un luogo “introverso” ad uso esclusivo, il quale di fatto ha fatto venir meno l’offerta - che era stata ritenuta di pubblico interesse e che perciò aveva orientato il Consiglio Comunale a deliberare la approvazione del progetto originario – di 450 posti letto necessari alla città universitaria, così creando uno squilibrio ,“forse irreparabile”, per il Comune, il quale si trova ora obbligato a reperire altrove sia le aree a standards sia i posti letto per gli studenti;

d) il complesso residenziale in contestazione è stato realizzato all’interno di una maglia che, all’epoca del rilascio della originaria concessione edilizia si presentava come “un’area scarsamente urbanizzata caratterizzata da vasti spazi liberi ad uso agricolo”, nell’ambito della quale il complesso medesimo costituiva “il primo significativo intervento di edificazione residenziale”, realizzato in presenza di “gravi carenze infrastrutturali, certamente evidenti quanto alle opere di urbanizzazione primaria…., pressoché assolute relativamente alla urbanizzazione secondaria.”. Tale situazione richiedeva la preliminare approvazione di un piano di lottizzazione che, raccordando il progetto al preesistente e prevedendo un significativo potenziamento delle opere di urbanizzazione, restituisse al Comune la potestà programmatoria della zona.

5.3. Ebbene, le ragioni per le quali il Giudice Penale ha ritenuto che gli abusi realizzati dai sigg. Rubino abbiano integrato una lottizzazione abusiva, certamente puntuali e pertinenti, fanno passare sotto silenzio alcune particolarità del caso specifico e proprio per tale ragione lasciano l’impressione che la valutazione inerente la sussistenza di una lottizzazione abusiva si sia mantenuta più ad un livello astratto che concreto.

5.3.1. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno rammentare che il bene giuridico che il reato di lottizzazione abusiva tende a preservare è il potere pianificatorio e programmatorio spettante ai comuni: appare quindi arduo considerare in termini di lottizzazione abusiva un intervento di edificazione ove tale potere pianificatorio di fatto non risulti compromesso, o perché il comune risulta averlo esercitato, o perché di fatto esso può ancora essere esercitato nonostante l’intervenuta edificazione.

5.3.2. Da questo punto di vista non può essere sottaciuta l’importanza che riveste la approvazione del progetto relativo al residence per studenti, che il Comune aveva approvato ed autorizzato con delibera di Consiglio Comunale.

5.3.2.1. Il progetto originario contemplava la realizzazione: di due corpi di fabbrica, ciascuno di quattro piani fuori terra, da destinare ad alloggi per studenti; di un corpo ad un solo piano da destinare a servizi e spogliatoi per gli impianti sportivi; di un corpo ad un piano fuori terra destinato a mensa e cucina; di due corpi di fabbrica destinati ad uffici, hall e portinerie, ed infine un piccolo corpo destinato a guardiola. Tale complesso, come più volte è stato detto, era destinato ad ospitare, nella versione definitiva approvata con la variante n. 136/93, 477 studenti.

Orbene, tale progetto, sebbene assentito con intervento diretto, era però sottoposto al vaglio del Consiglio Comunale, il quale lo aveva approvato con delibera n. 1132 del 21/03/1990 in ossequio alle direttive assunte dal Consiglio Comunale con delibera 436/88. Tale provvedimento aveva infatti determinato, sulla scorta delle indicazioni scaturenti dalla sentenza 302/86 di Questo Tribunale, di “subordinare gli interventi dei privati in aree a servizi, ove compatibili con le relative destinazioni d’uso, a verifica di congruità (d.m. 1444/68) caso per caso e per zone omogenee”.

Ritiene il Collegio che tale circostanza, e cioè il fatto che il Consiglio Comunale sia stato attivamente coinvolto nella fase di approvazione del progetto, non possa essere priva di significato giuridico, dal momento che in quella sede non può non essere stato preso in considerazione l’impatto urbanistico che l’insediamento avrebbe procurato. Non avendo il Consiglio Comunale ritenuto, in quella sede, di dover preliminarmente approvare un piano di lottizzazione, facendo sottoscrivere alla ricorrente la relativa convenzione, si deve presumere che il residence sia stato approvato come struttura privata non convenzionata, come tale dotata di quegli stessi standards di legge che richiede un qualsiasi complesso residenziale, per la realizzazione dei quali non è stata però ritenuta necessaria la adozione di un preliminare atto di programmazione in ragione dell’intervenuta decadenza del vincolo preordinato alla espropriazione.

Va, al riguardo, sottolineato che le determinazioni dell’organo comunale – cui la legge demanda la potestà di valutare la necessità o meno di un piano di lottizzazione – non possono essere oggetto di un sindacato giurisdizionale che sostituisca una propria valutazione a quella della P.A., trattandosi della manifestazione di un potere tipico di valutazione “di merito” attribuito alla P.A., insindacabile dal giudice, essendo rimesso al giudizio della sola P.A.

In vero, il Consiglio Comunale, ha approvato il procedimento finalizzato al rilascio dell’originario titolo edilizio, e con ciò ha innegabilmente esercitato la propria potestà pianificatoria, ritenendo con propria valutazione di merito della situazione di fatto, che sulla scorta di sentenza emesse da Questo Tribunale confronti dello stesso Comune, non era necessaria la previa adozione del piano di lottizzazione onde non aggravare indebitamente il procedimento di rilascio del titolo edilizio in zona a vincolo decaduto.

Il Giudice Penale potrà anche non concordare con tale procedura, ma essa è stata seguita dal Comune nell’intento di conformarsi a precedenti giudicati amministrativi e ciò non può essere considerato privo di rilevanza giuridica, bensì risolutivo nel caso di specie.

In definitiva, la delibera consiliare n. 1132 del 21703/1990, data la particolarità del caso di specie ben può essere valutata quale atto di programmazione, in quanto espressione dell’esercizio della potestà di pianificazione, che la legge demanda alla esclusiva competenza della P.A.

5.3.2.2. L’intervenuta approvazione, con delibera del Consiglio Comunale, del residence originariamente progettato, riveste dunque, nel caso di specie, forza e portata giuridica risolutiva al fine della esclusione o meno della lottizzazione, perché sostituisce, nella costituisce, nella sostanza, espressione della potestà di pianificazione.

Approvando quel progetto il Consiglio Comunale ha accettato di conformare quella specifica parte della maglia 17 destinandola, tra i vari servizi ipoteticamente realizzabili su quell’area, alla realizzazione di residenze, benché di tipo temporaneo, ritenute come servizi di interesse comune: in altre parole, approvando il progetto originario il Consiglio Comunale ha autolimitato l’esercizio della futura attività di pianificazione nell’ambito della maglia 17 in generale, nonché nell’ambito della specifica area interessata dall’intervento.

E’ innegabile che il Consiglio Comunale abbia approvato un intervento comportante trasformazione dell’assetto territoriale dell’area ; il che non consente di qualificare l’intervento quale lottizzazione abusiva.

5.3.2.3. Ulteriore corollario di quanto sopra affermato è che la valutazione delle conseguenze che il complesso residenziale attualmente esistente ha prodotto non deve essere effettuata con riferimento a tutti i possibili interventi alternativi che il PRG consentiva di effettuare in quell’area, ma deve essere condotta alla stregua della destinazione che all’area era stata impressa mercé il rilascio delle concessioni edilizie 465/86 e 136/93.

5.3.2.4. Peraltro, non si può seriamente sostenere che, attesi gli abusi commessi ed il cambio di destinazione d’uso impresso alle costruzioni, il progetto originariamente approvato dal Consiglio Comunale in realtà non sia mai venuto in essere e che perciò le valutazioni che il Consiglio Comunale aveva compiuto in quella sede abbiano perduto di attualità.

Va rammentato, invece, che il vincolo preordinato all’esproprio era decaduto, e che non consta che il Comune abbia preteso la sottoscrizione di una convenzione allorché approvò il progetto originario: gli alloggi, pertanto, erano destinati a rimanere di proprietà privata, e ad essere messi a disposizione degli studenti a titolo di affitto e non quale fruizione di un pubblico servizio.

Rispetto a questa iniziale destinazione d’uso, il complesso in concreto realizzato non é incompatibile nella struttura, poiché nella maggioranza le unità immobiliari di fatto sono state adibite a residenze ed uffici, e non c’è nulla che oggi impedisca di ospitare in tale complesso – che ha un potenziale abitativo di 532 persone - i 477 studenti che avrebbe dovuto ospitare il residence per studenti: le città sede di università, del resto, sono piene di studenti che vivono in alloggi privati, anche di consistente superficie, che vengono affittati da 3, 4 o più studenti.

Che gli appartamenti realizzati dalla impresa ricorrente non vengano affittati a studenti dipende, allora, non dalla struttura in sé, ma da un elemento puramente volontaristico, e cioè dalla volontà dei singoli proprietari degli appartamenti, problema questo che si poneva nei medesimi termini anche nei confronti dell’originario progetto e che, però, il Consiglio Comunale non aveva ritenuto ostativo all’intervento.

In teoria, le unità abitative realizzate potrebbero immediatamente essere messe a disposizione di studenti, ed essendo esse dotate di cucina o di angolo cottura è venuta meno l’esigenza di realizzare la sala mensa prevista in progetto, che tra l’altro comporterebbe i costi di mantenimento del personale che dovrebbe lavorarci. Si tratterebbe poi soltanto di recuperare alcune delle unità adibite ad uffici o locali commerciali per realizzarvi i servizi e gli spogliatoi accessori agli impianti sportivi, il che non appare impossibile a farsi, tanto più che il corpo di fabbrica n. 4 si trova ancora allo stato di rustico; infine la guardiola prevista in origine è stata di fatto realizzata, così come l’impianto sportivo.

Il Collegio ritiene poi che anche l’impatto urbanistico cui ha dato luogo il complesso in concreto realizzato non differisca sensibilmente da quello che avrebbe indotto il residence per studenti. Sempre di residenze si tratta: quelle originariamente progettate destinate ad ospitare studenti e docenti, quelle attuali, presumibilmente, famiglie. Le famiglie con bambini hanno esigenze che non hanno studenti universitari e docenti e viceversa, ma molti altri bisogni coincidono per tutte le categorie (impianti sportivi, edifici di culto, supermercati, etc. etc.). Si afferma che l’attuale complesso sia in grado di accogliere circa 60 posti letto in più, ma la circostanza non è dimostrata, e si ricava solo attraverso l’applicazione di coefficienti legislativi. E’ anzi verosimile che il numero di posti letto sia inferiore, poiché la volumetrìa sulla base della quale i periti assunti in sede penale hanno calcolato la potenzialità abitativa comprende anche i locali ad uso commerciale, la cui natura non è indicata, benché da essa, all’evidenza, dipenda l’indotto.

Insomma, pare che la affermazione secondo la quale il complesso effettivamente realizzato abbia un impatto urbanistico non paragonabile a quello del residence originariamente approvato, si basi su mere presunzioni, e pertanto vada dimostrata e motivata alla luce di specifiche allegazioni.

5.3.3. Nella sostanza l’intervento non differisce da quello approvato dal Consiglio Comunale – se non in maniera molto marginale e perciò non essenziale – nell’ambito dell’esercizio della sua esclusiva potestà pianificatoria espressa con la delibera consiliare 1132 del 21/03/1990.

5.4 In vero, alla luce delle sovra esposte considerazioni può affermarsi che il complesso residenza S. Fara, realizzato dalla impresa ricorrente, nella sostanza corrisponde al residence originariamente assentito mediante le c.e. 465/86 e 136/93, rilasciate previa deliberazione conforme del Consiglio Comunale n. 1132 del 21/03/1990, che per la funzione che in concreto ha inteso svolgere va qualificato quale atto di programmazione.

Pertanto, se di nuovo assetto urbanistico si può parlare – il che è discutibile, considerando appunto che l’attuale assetto non differisce significativamente da quello che ormai era stato impresso all’area mercé il rilascio delle c.e. 465/86 e136/93 – esso deve considerarsi debitamente autorizzato.

Pertanto, non avendo i provvedimenti impugnati toccato alcuna di tali rilevanti questioni - essendosi la motivazione sul punto tradotta in una mera affermazione apodittica - ritiene il Collegio che anche in tale parte i provvedimenti impugnati debbano essere annullati per evidente difetto di motivazione ed istruttoria.

5.5. Se ed in quanto sussistano tutte le condizioni di cui all’art. 32 comma 25 e segg. L. 326/2003, la ricorrente ha diritto ad ottenere il rilascio della concessione in sanatoria anche ove ritenuta la sussi-stenza di una lottizzazione abusiva, giacché tale concessione contribuisce a sanare il titolo di pro-prietà di coloro che nel frattempo hanno acquistato, di guisa che non è detto che i provvedimenti contemplati all’art. 30 comma 7 ed 8 D.P.R. 380/01 o la sentenza con la quale il giudice penale di-spone la confisca delle aree oggetto di lottizzazione ai sensi dell’art. 44 comma 2 D.P.R. 380/01, siano loro opponibili.

6. Meritano dunque di essere accolti i motivi di ricorso formulati sub a) e b), con assorbimento di ogni ulteriore censura.

7. Attesa la complessità e delicatezza delle questioni trattate sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.




P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo per la Puglia-Bari, sezione III, accoglie il ricorso e per l’effetto annulla i provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali il Comune di Bari ha respinto le istanze di condono ex L. 326/2003 presentate dai ricorrenti.

Compensa integralmente le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 09/07/2008 con l'intervento dei Magistrati:



Amedeo Urbano, Presidente

Vito Mangialardi, Consigliere

Roberta Ravasio, Referendario, Estensore







L'ESTENSORE IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/10/2008

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO