Tar Abruzzo (PE) sent. 167 del 19 febbraio 2007
Urbanistica. Stabilimento balneare. Sostituzione di struttura precaria con altra definitiva



n. 167/07 Reg. Dec.
n. 113/06
Reg. Gen.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L’ABRUZZO
Sezione Staccata di Pescara
composto dai signori:
Dott. Antonio Catoni Presidente
Dott. Michele Eliantonio Consigliere, estensore
Dott. Luciano Rasola Consigliere
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso n. 113/06, proposto dalla società Sirenetta s.a.s. di Zuccarini Maurizio & C., con sede in Pescara, in persona del socio accomandatario sig. Maurizio Zuccarini, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Cerceo, elettivamente domiciliato presso il proprio difensore in Pescara, viale G. D’Annunzio, 142;
contro
il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura comunale in persona dell’avv. Marco De Flaviis presso cui domicilia;
e nei confronti
di Zavarella Alba, in proprio e nella qualità di concessionaria dello Stabilimento balneare “Sirenetta Mare”, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marcello Russo, Manuel De Monte e Pasquale Giovannucci, elettivamente domiciliata presso i primi difensori in Pescara, c.so Vittorio Emanuele II, 10;
per l’annullamento
dei seguenti atti del Dirigente dell’Area tecnica urbanistica del Comune di Pescara:
- del provvedimento 10 febbraio 2006, n. 812, con il quale è stato disposto l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire 10 novembre 2005, n. 201/SUAP/05, assentito alla ricorrente per la realizzazione di interventi di sostituzione di una struttura ombreg-giante ubicata sul marciapiede comunale;
- dell’ordinanza 23 febbraio 2006, n. 6, di demolizione delle opere già realizzate;
- dell’ordinanza 22 giugno 2006, n. 20, di demolizione delle ulteriori opere nel frattempo realizzate;
- degli atti presupposti e connessi.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pescara e della controinteressata Zavarella;
Viste le ordinanze collegiali 23 marzo 2006, n. 91 e 7 settembre 2006, n. 223, con le quali sono state accolte le domande incidentali di sospensione dei provvedimenti impugnati “limitatamente alla demo-lizione delle opere già realizzate”;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie ragioni;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Udito alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2007 il relatore consigliere Michele Eliantonio e uditi, altresì, l’avv. Giulio Cerceo per la parte ricorrente, l’avv. Marco De Flaviis per l’Amministrazione resistente e gli avv.ti Marcello Russo e Manuel De Monte per la controinteressata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
La società Sirenetta s.a.s. di Zuccarini Maurizio & C. riferisce di essere titolare in Pescara di uno stabilimento balneare adibito a ristorante pizzeria, realizzato su una zona demaniale marittima, assentita da ultimo dalla Regione Abruzzo con concessioni per finalità turistiche ricreative 28 maggio 2002, nn. 534/02 e 535/02.
Riferisce, altresì, che con istanza dell’8 maggio 2004, aveva chiesto il rilascio di permesso di costruire per eseguire dei lavori di ammodernamento della struttura ombreggiante ubicata sul marciapiede comunale, consistenti nella demolizione della precedente struttura realizzata in tubolari in ferro e teloni e nella edificazione di una nuova struttura in legno, con sovrastante copertura in legno e vetro, con pavimentazione anch’essa in legno. In accoglimento di tale istanza il Comune ha assentito il permesso di costruire 10 novembre 2005, n. 201/SUAP/05, sottoponendolo però ad alcune specifiche condizioni.
Una volta iniziati i lavori, è pervenuto al Comune un esposto da parte della sig.ra Zavarella, titolare di uno stabilimento balneare adiacente, ed il Comune con nota 20 gennaio 2006, n. 401, ha dato comunicazione alla società Sirenetta dell’avvio del procedimento per l’annullamento d’ufficio del permesso rilasciato in ragione dell’inesistenza di pregresse autorizzazioni relative alla preesistente struttura ombreggiante e del contrasto del permesso con l’art. 5, comma 10, del Piano Regionale Marittimo Regionale.
Dopo aver ricevuto le controdeduzioni della ricorrente, il Comune dapprima con provvedimento 10 febbraio 2006, n. 812, ha disposto l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire e successivamente con ordinanza 23 febbraio 2006, n. 6, ha ingiunto la demolizione delle opere realizzate.
Con il ricorso in esame la società interessata è insorta dinanzi questo Tribunale avverso tali atti, deducendo le seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 6 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito nella L. 4 dicembre 1993, n. 494, dell’art. 20 della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18, dell’art. 2 della L.R. Abruzzo 17 dicembre 1997, n. 141, dell’art. 5, comma 10, del piano demaniale marittimo regionale, e degli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per errore sui presupposti e per travisamento.
L’annullamento d’ufficio è stato disposto in ragione del contrasto dell’intervento edilizio con il Piano demaniale marittimo regionale. Tale piano, però, non è immediatamente precettivo, in quanto nel Comune di Pescara non è stato ancora adottato il c.d. Piano Spiaggia. In ogni caso il permesso rilasciato ha riguardato il modesto intervento di sostituzione della preesistente struttura ombreggiante (costituita di tubolari in ferro), con una nuova struttura ombreggiante in legno, mentre il P.D.M. esclude l’applicabilità della disciplina in esso contenuta alle strutture ombreggianti.
2) Violazione degli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, e di ogni norma o principio in materia di annullamento d’ufficio di atti della Pubblica Amministrazione. Violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, per contraddittorietà, per illogicità e per travisamento dei fatti.
Pur essendo stati ultimati i lavori autorizzati al momento dell’avvio del procedimento, nell’atto impugnato non è indicata alcuna ulteriore ragione di interesse pubblico, diversa dal mero ripristino della legalità violata.
3) Illegittimità derivata. Violazione dell’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e di ogni norma o principio in materia di ingiunzione di demolizione, di inoppugnabilità degli atti amministrativi e di diritto alla tutela giurisdizionale, di giusto procedimento, di imparzialità, correttezza e buon andamento. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta.
L’ingiunzione di demolizione, oltre ad essere inficiata da invalidità derivata, è stata assunta in pendenza del termine assegnato dalla legge per insorgere avverso l’annullamento d’ufficio.
Dopo che con ordinanza collegiale 23 marzo 2006, n. 91, era stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato “limitatamente alla demolizione delle opere già realizzate”, il Comune ha accertato che la società ricorrente aveva realizzato nuove opere; conseguentemente, con ordinanza 22 giugno 2006, n. 20, ha ingiunto la demolizione di tali ulteriori opere nel frattempo realizzate.
Con motivi aggiunti è stata estesa l’impugnativa a tale nuova ordinanza e sono state dedotte le seguenti censure:
1) Violazione degli artt. 7 e segg. della L. 7 agosto 1990, n. 241, e di ogni norma o principio in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento e di partecipazione dei privati interessati. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, per travisamento dei fatti, per ingiustizia manifesta e per sviamento.
Non è stata data comunicazione all’interessata dell’avvio del procedimento.
2) Eccesso di potere per difetto dei presupposti, per carenza di istruttoria, per travisamento dei fatti e per sviamento.
I lavori relativi alla posa in opera della pavimentazione erano stati da tempo ultimati, mentre il posizionamento delle fioriere non ha alcun rilievo a fini urbanistici; infine la copertura della struttura ombreggiante con vetrate e l’istallazione dell’insegna pubblicitaria non costituiscono “opere ulteriori” rispetto a quelle realizzate alla data della pronuncia cautelare di questo Tribunale, ma dei modesti interventi necessari per rendere fruibile e funzionale la struttura, senza determinare alcun aumento di superficie e/o di volumetria.
Tali censure la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria depositata il 5 gennaio 2007.
Il Comune di Pescara si è costituito in giudizio e con memorie depositate il 22 marzo ed il 6 settembre 2006 ed il 27 gennaio 2007 ha diffusamente confutato il fondamento delle censure dedotte.
Si è anche costituita in giudizio la controinteressata Alba Zavarella, titolare di uno stabilimento balneare adiacente, che con memorie depositate il 22 marzo 2006, il 5 agosto 2006 ed il 25 gennaio 2007 ha difeso la legittimità degli atti impugnati.
Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2007 la causa è stata introitata a decisione.

D I R I T T O

1. - Il ricorso in esame è diretto in via principale avverso il provvedimento 10 febbraio 2006, n. 812, con il quale il Dirigente dell’Area tecnica urbanistica del Comune di Pescara ha disposto l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire 10 novembre 2005, n. 201/SUAP/05, assentito alla ricorrente per la realizzazione di interventi di sostituzione di una struttura ombreggiante ubicata sul marciapiede comunale.
Sono stati impugnati, altresì, tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui le ordinanze 23 febbraio 2006, n. 6, e 22 giugno 2006, n. 20, di demolizione delle opere nel frattempo realizzate.
Tale ricorso, deve subito precisarsi, appare privo di pregio.
2. - Ai fini del decidere appare opportuno meglio precisare in punto di fatto le vicende che hanno condotto all’adozione del primo degli atti impugnati, quali si rilevano dagli atti versati in giudizio anche dall’Amministrazione resistente, e ciò anche per meglio individuare e puntualizzare la motivazione posta a sostegno di tale atto.
La società ricorrente - come sopra esposto - ha in concessione una zona demaniale marittima, assentita per finalità turistiche ricreative, sulla quale vi è uno stabilimento balneare adibito a ristorante ed a pizzeria. Sul marciapiede comunale era stata da tempo realizzata una tenda “per ombreggio” costituita di tubolari in ferro e di teloni, di circa mq. 176.
Con istanza dell’8 maggio 2004 la società in questione ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire per eseguire dei lavori di ammodernamento di tale struttura ombreggiante ubicata sul marciapiede comunale, consistenti nella demolizione della precedente struttura e nella edificazione di una nuova struttura in legno, con sovrastante copertura in legno e vetro e con pavimentazione anch’essa in legno. Nella relazione tecnica allegata all’istanza i lavori progettati sono stati testualmente qualificati come un intervento di “manutenzione straordinaria esterna e rinnovo qualificativo con sostituzione di tende-gazebo esistenti” e nella descrizione dell’intervento si è precisato che l’intera struttura del gazebo non avrebbe superato le quote esistenti.
In accoglimento di tale istanza il Comune ha assentito il permesso di costruire 10 novembre 2005, n. 201/SUAP/05, sottoponendolo però - come più volte evidenziato in tale titolo edilizio - ad alcune specifiche condizioni, tra le quali quella fissata dal Responsabile del procedimento, secondo la quale avrebbe dovuto essere “rispettato quanto previsto dall’art. 60 delle N.T.A. del P.R.G. vigente e di quello adottato”, e quella introdotta dalla Commissione edilizia secondo la quale le strutture esterne avrebbero dovuto essere “realizzate con strutture ombreggianti nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5, comma 10, del Piano Demaniale Marittimo (tende ombreggianti)”.
Tale art. 60 (sostanzialmente identico nelle due predette versioni) dispone, invero, che nella zona in questione, in attesa del Piano spiaggia, avrebbero potuto essere realizzati solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché interventi di ristrutturazione edilizia e di risanamento conservativo; mentre il predetto comma 10 dell’art. 5 del Piano Demaniale Marittimo (P.D.M.), approvato con deliberazione del Consiglio regionale 29 luglio 2004, n. 141/1, dispone che le superfici copribili con volumi e tettoie, “escluse le tende ombreggianti”, avrebbero dovuto costituire il 20% delle aree in concessione, facendo però salvo “l’esistente legittimamente realizzato o condonato”.
La società ricorrente ha ritirato tale permesso di costruire e, senza contestare la legittimità di tali condizioni, ha iniziato i lavori.
Poiché era pervenuto al Comune un esposto da parte della sig.ra Zavarella, titolare di uno stabilimento balneare adiacente, il Dirigente dell’Area tecnica urbanistica con nota 20 gennaio 2006, n. 401, ha dato comunicazione alla società Sirenetta dell’avvio del procedimento per l’annullamento d’ufficio del permesso rilasciato in ragione dell’inesistenza di pregresse autorizzazioni relative alla preesistente struttura ombreggiante e del contrasto, quindi, del permesso con l’art. 5, comma 10, del Piano Demaniale Marittimo Regionale.
Un volta ricevuto tale atto, la ricorrente ha trasmesso un certificato di ultimazione dei lavori e nelle sue controdeduzioni si è limitata ad evidenziare che, essendo stati i lavori ultimati, per l’eventuale annullamento d’ufficio del permesso era necessaria, a giustificazione del sacrificio imposto al privato, la presenza di un interesse pubblico autonomo, diverso dal mero ripristino della legalità violata.
Il Comune con il provvedimento 10 febbraio 2006, n. 812, dopo aver rilevato che dal sopralluogo effettuato era emerso che i lavori non erano stati in realtà ultimati, ha disposto l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire in ragione nella sostanza del fatto che il permesso era stato ottenuto in violazione del predetto art. 5, comma 10, del Piano Demaniale Marittimo Regionale.
Successivamente, con ordinanza 23 febbraio 2006, n. 6, è stata ingiunta la demolizione delle opere realizzate.
In estrema sintesi, dall’esame degli atti si rilevano le seguenti circostanze:
a) che sul marciapiede in questione era stato realizzata da tempo un struttura ombreggiante, che per le sue specifiche caratteristiche tipologiche (si trattava di una struttura precaria) era stata realizzata senza di specifico titolo edilizio (autorizzazione/concessione), ma che tale opera, pur avendo perso di fatto il carattere della precarietà (in quanto non era stata smontata nel periodo invernale), non era mai stata condonata;
b) che in asserita esecuzione di un intervento di “manutenzione straordinaria” era stato chiesto un permesso di costruire che comportava la realizzazione di una struttura “in legno, con sovrastante copertura in legno e vetro e con pavimentazione anch’essa in legno”, cioè una struttura che, per le sue caratteristiche costruttive, non può certo definirsi una “struttura ombreggiante”;
c) che il permesso richiesto è stato assentito a condizione che si trattasse effettivamente di un’opera di manutenzione straordinaria e che le strutture esterne fossero “realizzate con strutture ombreggianti nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5, comma 10, del Piano Demaniale Marittimo (tende ombreggianti)”;
d) che solo successivamente, ma prima della completa ultimazione delle opere, si era appurato che la preesistente struttura non era mai stata autorizzata.
Fatte tale precisazioni in punto di fatto, può passarsi all’esame della motivazione posta a sostegno dell’atto di annullamento d’ufficio e giova sul punto ricordare che l’adeguatezza della motivazione, come è noto (cfr. Cons. St., sez. VI, 16 giugno 2006, n. 3557), va valutata con riferimento anche al concreto iter procedimentale di cui il provve-dimento costituisce l’esito finale.
Ciò posto, va evidenziato che con l’atto di autotutela impugnato il Comune ha annullato il permesso di costruire assentito in quanto tale permesso era stato ottenuto in violazione del predetto art. 5, comma 10, del P.D.M., da momento che, come si evince dagli atti del procedimento, per un verso la struttura preesistente non era mai stata autorizzata e per altro verso l’opera così come progettata non era certamente qualificabile come una tenda ombreggiante.
Peraltro, l’obbligo da parte della ricorrente di rispettare il predetto P.D.M. aveva costituto oggetto di specifica condizione apposta sul permesso di costruire in parola (non contestata neanche in questa sede dalla società la Sirenetta); per cui può ragionevolmente sostenersi che l’Amministrazione comunale, nell’annullare d’ufficio l’atto in questione, aveva, in realtà, preso atto della circostanza che l’apposizione della condizione predetta, così come inserita nell’atto autorizzatorio, si risolveva nella sostanza in un diniego a realizzare l’opera con quelle specifiche caratteristiche costruttive.
In definitiva, da un’attenta lettura degli atti il Collegio è dell’avviso che con l’atto di autotutela in parola il Comune abbia inibito la costruzione dell’opera progettata perché questa non aveva le caratteristiche delle “tende ombreggiati”; né avrebbero potuto eseguirsi, per altra via, delle opere di manutenzione di un manufatto, in ipotesi, preesistente (da qualificarsi, cioè, come una tettoia) in quanto tale struttura era da ritenersi abusiva.
3. - Fatte tali precisazioni in punto di fatto e così meglio precisato il contenuto dell’atto impugnato, può utilmente passarsi all’esame delle censure dedotte avverso l’impugnato atto di autotutela.
Nei confronti di tale atto la parte istante ha dedotto i primi due motivi di gravame - che possono esaminarsi congiuntamente - con i quali si è lamentata nella sostanza delle seguenti circostanze:
a) che il Piano demaniale marittimo regionale non era imme-diatamente precettivo, in quanto nel Comune di Pescara non era stato ancora adottato il c.d. Piano Spiaggia;
b) che il permesso rilasciato era relativo ad modesto intervento di sostituzione della preesistente struttura ombreggiante (costituita di tubolari in ferro), con una nuova struttura ombreggiante in legno;
c) che, pur essendo stati ultimati i lavori autorizzati al momento dell’avvio del procedimento, nell’atto impugnato non era stata indicata alcuna ulteriore ragione di interesse pubblico, diversa dal mero ripristino della legalità violata.
Tale doglianze, come già detto, sono tutte prive di pregio.
In via pregiudiziale occorre meglio descrivere e qualificare la natura dell’intervento progettato, che, come sopra precisato e come si rileva dagli atti progettati e dalle fotografie di quanto realizzato versate in atti, non ha certo le caratteristiche di una struttura precaria; del resto, la parte istante, per realizzare tale opera, ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire, in ragione proprio delle particolari caratteristiche dell’opera progettata, consistente nella edificazione di una struttura in legno di circa mq. 176, con sovrastante copertura non solo con teloni (in parte), ma anche in legno ed in vetro e con pavimentazione anch’essa in legno.
Giova, invero, al riguardo ricordare che - come costantemente e pacificamente affermato dalla giurisprudenza - non abbisognano del previo rilascio di un titolo edilizio le sole costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall’origine a soddisfare esigenze contingibili e circoscritte nel tempo (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 19 settembre 2006, n. 5469); mentre un titolo edilizio è sempre richiesto tutte le volte in cui si sia in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistica-edilizia del territorio con perdurante modifica dello stato dei luoghi, prescindendo dal materiale utilizzato (che può anche essere il legno) e dal fatto che le opere siano infisse al suolo mediante bullonatura (Cons. St. sez. V, 13 giugno 2006, n. 3490). E’ noto, inoltre, che il concetto di nuova costruzione si estende fino a comprendere il risultato di opere che modifichino una costruzione esistente in modo tale da realizzare un organismo edilizio diverso dal precedente (Cons. St., sez. V, 26 ottobre 2006, n. 6399).
Del resto, in conformità di tale indirizzo, il predetto P.D.M. al n. 15 dell’art. 12 prevede espressamente che “per la realizzazione di modeste strutture mobili per tendaggi destinate ad ombreggio ... il concessionario può procedere previa mera comunicazione al Comune”, con la limitazione, però, tali tende non superino il 5% dell’area in concessione, in conformità peraltro a quanto previsto dallo stesso piano al più volte citato art. 5, n. 10.
Una volta qualificata la struttura in progetto come un’opera non precaria destinata a produrre una permanente modifica dello stato dei luoghi, deve anche rilevarsi che l’istante non ha mai contestato che la precedente struttura non fosse stata realizzata a seguito del rilascio di un titolo edilizio: in realtà, come sembra emergere dagli atti, la precedente struttura, proprio perché precaria (come sembra evidente, in quanto non era stata acquisita al demanio), non abbisognava di un titolo edilizio.
Con il permesso di costruire in questione, in definitiva, la società ricorrente aveva inteso trasformare tale opera precaria in una struttura diversa, che per le sue caratteristiche costruttive, come già detto, comportava una trasformazione urbanistica-edilizia del territorio con perdurante modifica dello stato dei luoghi. Nel descrivere l’intervento proposto come un intervento di “manutenzione straordinaria”, si era, in realtà, inteso trasformare una tenda ombreggiante in una struttura diversa, priva del carattere della precarietà.
Il Comune, pur formalmente rilasciando il permesso richiesto, aveva in realtà inibito la completa realizzazione dell’opera così come programmata, in quanto - come già detto - aveva subordinato la realizzazione dell’opera a due specifiche condizioni:
a) che si trattasse effettivamente di un’opera di manutenzione, così come “previsto dall’art. 60 delle N.T.A. del P.R.G. vigente e di quello adottato”;
b) che le strutture esterne fossero “realizzate con strutture ombreggianti nel rispetto di quanto previsto dall’art. 5, comma 10, del Piano Demaniale Marittimo (tende ombreggianti)”.
Tali condizioni, come sembra evidente, inibivano in realtà di realizzare le opere progettate.
Peraltro, essendo emerso che, pur volendo qualificare le opere preesistenti come tettoie, tali opere non erano state mai autorizzate o condonate, l’Amministrazione, al fine di evitare ogni dubbio in merito, ha deciso di annullare d’ufficio il permesso assentito in quanto, in ogni caso, non veniva rispettata la normativa contenuta nel P.D.M., che nel frattempo era stata recepita dal Comune con atto adottato dal Comune con deliberazione consiliare 8 febbraio 2006, n. 31.
Ciò posto, deve rilevarsi innanzi tutto che di certo non è stato esclusivamente l’atto impugnato ad inibire la realizzazione dell’opera così come progettata, in quanto tale divieto derivava già dall’apposizione delle predette condizioni in sede di rilascio del permesso di costruire, che avrebbero in realtà imposto alla società ricorrente di rimodulare il progetto in conformità alle predette prescrizioni.
Peraltro, costituisce un principio pacifico in giurisprudenza che non possano svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo e mai oggetto di sanatoria edilizia e che tale ulteriore attività costruttiva non possa spiegare alcun effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l’opera abusiva nella sua interezza (Cons. St., sez. V. 29 ottobre 1991 n. 1279).
In definitiva, ritiene il Collegio che, ove si volesse aderire a quanto dedotto con il gravame - e cioè che il permesso era stato, in realtà, rilasciato per realizzare un modesto intervento di sostituzione della preesistente struttura ombreggiante (costituita di tubolari in ferro), con una nuova modesta struttura ombreggiante in legno - sembrerebbe pacifico che l’istante abbia posto in essere un abuso edilizio, in quanto, invece di realizzare una struttura ombreggiante, aveva in realtà, realizzato una vera e propria tettoia.
Ove, invece, voglia ritenersi che il Comune abbia autorizzato la completa realizzazione dell’opera progettata, va rilevato che tale permesso non avrebbe mai potuto essere assentito perché contrastante non i predetti principi in materia e con le predette previsioni urbanistiche vigenti nella zona (art. 60 delle N.T.A. del P.R.G. vigente e di quello adottato), di cui il P.D.M. costituisce in realtà un mera conferma, in quanto con delle opere di manutenzione straordinaria non è possibile realizzare una struttura (tettoia) tipologicamente diversa da quella esistente (tenda).
Sembra a questo punto evidente rilevato che la contestazione operata con il gravame in ordine al carattere immediatamente precettivo del Piano demaniale marittimo regionale non possa assumere un particolare rilievo (peraltro, prima dell’adozione dell’atto impugnato era stato in effetti adottato dal Comune di Pescara, come già detto, il c.d. Piano Spiaggia, il quale descrive oggi con precisione all’art. 15, n. 26, le caratteristiche costruttive delle “strutture ombreggianti”).
In ogni caso va osservato che il predetto P.D.M. contiene anche delle norme immediatamente precettive e tra queste sono di certo da ricomprendere anche quelle contenute nel predetto art. 12, n. 15, il quale a sua volta richiama quella di cui all’art. 5, n. 10, che non può non ritenersi, in virtù di tale richiamo, anch’essa immediatamente precettiva, senza bisogno del suo ulteriore recepimento nel piano spiaggia
Rimane a questo punto da esaminare l’ultima doglianze dedotta nei confronti dell’atto di autotutela, con la quale l’istante sostiene che i lavori autorizzati erano stati ultimati, per cui l’atto di annullamento d’ufficio doveva essere sorretto dall’indicazione di un’ulteriore ragione di interesse pubblico, diversa dal mero ripristino della legalità violata.
Sul punto va, però, pregiudizialmente osservato in punto di fatto che – come emerge dagli atti di causa e dall’accertamento svolto dal Comune – tali opere non erano state di certo ultimate, per cui la situazione di fatto non era consolidata.
Peraltro, va in aggiunta ricordato che se è pur vero che in base al predetto art. 21-nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, nei casi di annullamento d’ufficio la Pubblica Amministrazione deve tener conto “degli interessi dei destinatari”, nella specie tale considerazione non poteva non recedere non solo in relazione al fatto che le opere non erano state ultimate, per cui la posizione del destinatario dell’atto non si era consolidata, ma anche e soprattutto perché il titolo edilizio era stato rilasciato in virtù di una falsa rappresentazione dello stato di fatto, in quanto l’istante, come sopra precisato, aveva omesso di specificare che il preesistente manufatto era stato realizzato senza un titolo edilizio, che ne legittimasse poi la trasformazione in una struttura non precaria.
4. - Una volta giunti a tale conclusione, una volta cioè ritenute infondate le censure dedotte nei confronti dell’atto di autotutela, sembra evidente che sia priva di pregio la censura di illegittimità derivata dedotta nei confronti del primo degli ordini di demolizione, assunti dal Comune.
Mentre, non sembra vizio idoneo a travolgere la legittimità di tale atto la circostanza che l’ordine di demolizione sia stato assunto in pendenza del termine assegnato dalla legge per insorgere avverso l’annullamento d’ufficio.
Una volta, infatti, che l’Amministrazione abbia rilevato l’abusività di un’opera realizzata contra legem non può non ordinarne la demolizione, nel rispetto delle garanzie partecipative riconosciute dalla legge al destinatario dell’atto.
Va, per concludere, rilevato, che, una volta acclarata l’abusività dell’opera e la legittimità della disposta demolizione, può prescindersi dall’esaminare le censure dedotte avverso il secondo ordine di demolizione, in quanto allo stato diventa irrilevante accertare se le opere nel frattempo realizzate costituiscano o meno “opere ulteriori” rispetto a quelle realizzate alla data della pronuncia cautelare di questo Tribunale o se siano dei modesti interventi necessari per rendere fruibile e funzionale la struttura.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere respinto.
La spese, come di regola, seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, respinge il ri¬corso specificato in epigrafe.
Condanna la parte ricorrente al pagamento a favore delle parti resistenti al pagamento delle spese e degli onorari di giudizio, che liquida nella complessiva somma di € 2.000 (duemila) a favore del Comune di Pescara e nella complessiva somma di € 2.000 (duemila) a favore della controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministra¬tiva.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2007.
Il Presidente L’Estensore


Il Segretario d’udienza


Pubblicata mediante deposito il 19.02.2007
Il Direttore della Segreteria