TAR Campania (NA) Sez. VIII n. 2684 del 26 giugno 2020
Urbanistica.Competenze professionali geometri ed ingegneri

A norma dell'art. 16, lett. m), r.d. 11 febbraio 1929, n. 274 e dalle l. 5 novembre 1971, n. 1086 e 2 febbraio 1974, n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla l. 2 marzo 1949, n. 144 (recante la tariffa professionale), la competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle comportanti l'adozione — anche parziale — di strutture in cemento armato. Solo in via di eccezione, la competenza in ordine alla progettazione da parte dei geometri si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l), del medesimo art. 16, r.d. n. 274 cit., purché si tratti di piccole costruzioni accessorie nell'ambito di edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che, per la loro destinazione, non comportino pericolo per le persone. Per il resto, la suddetta competenza è, comunque, esclusa nel campo delle costruzioni civili, ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione, qualunque ne sia l'importanza, è pertanto riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali. Anche in caso di sussistenza di complessiva modestia dell’opera, quindi, è comunque necessario che, in ogni caso, i calcoli relativi alle opere in cemento armato siano curati da un professionista abilitato e solo ciò può eventualmente consentire di considerare legittimo il titolo abilitativo rilasciato su progetto redatto da un geometra. Infatti, stante quanto detto, in base al principio generale della collaborazione tra titolari di diverse competenze professionali, può essere consentito che la progettazione e direzione dei lavori relativi alle opere in cemento armato sia affidata al tecnico in grado di eseguire i calcoli necessari e di valutare i pericoli per la pubblica incolumità, e che l’attività di progettazione e direzione dei lavori, incentrata sugli aspetti architettonici della “modesta” costruzione civile, sia affidata, invece, al geometra.

Pubblicato il 26/06/2020

N. 02684/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01325/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1325 del 2014, proposto da
A.N., rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Carideo e Vincenzo Bocchino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Giorgio del Sannio in persona del Sindaco pro tempore non costituito in giudizio;

nei confronti

S.G., rappresentato e difeso dagli avvocati Silvio Ferrara, Giampiero Marallo, con domicilio eletto presso lo studio Mario Barretta in Napoli, via del Duomo n. 314;

per l'annullamento

- del permesso di costruire n.31/2012 rilasciato dal Responsabile del Servizio Lavori Pubblici ed Urbanistica del Comune di San Giorgio del Sannio in data 24/07/2012;

- di ogni altro atto anteriore, presupposto, connesso e conseguente, lesivo degli interessi del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del controinteressato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 10 giugno 2020 - calendarizzata in attuazione del Piano di riduzione dell’arretrato approvato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in applicazione dell’art. 16 delle norme di attuazione del c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione - il dott. Fabrizio D'Alessandri e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. 17.3.2020 n. 18, convertito in legge 24.4.2020 n. 27 e dell’art. 5 del Decreto Presidenziale n. 22/2020/SEDE;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Parte ricorrente ha impugnato il permesso di costruire n.31/2012 rilasciato dal Responsabile del Servizio Lavori Pubblici ed Urbanistica del Comune di San Giorgio del Sannio in data 24/07/2012, relativo a un immobile ubicato su una particella adiacente a quella su cui è sito un appartamento di esclusiva proprietà del medesimo ricorrente.

Il ricorrente ha formulato i seguenti articolati motivi di ricorso:

I) Violazione falsa applicazione dell'articolo 3 del D.P.R. 06.06.2001 numero 380. Violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e seguenti del D.P.R. 06.06.2001 numero 380. Violazione e falsa applicazione del Piano Urbanistico Comunale del Regolamento Urbanistico Edilizio Comunale e delle Norme Tecniche di Attuazione. Illegittimo aumento di superficie e di volumetria dell'immobile. Eccesso di potere, carenza assoluta di motivazione ed istruttoria, illogicità, arbitrarietà e travisamento;

II) Violazione del vincolo di inedificabilità ed asservimento. Eccesso di potere. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria.

Si è costituito in giudizio il controinteressato, resistendo al ricorso ed eccependo in via preliminare l’irricevibilità del ricorso per tardività.

In corso di giudizio è stato rilasciato il permesso di costruire n. 13/2016 in variante a quello originariamente impugnato n. 31/2012 e con voltura in favore della società Vanity Srl. Quest’ultimo permesso di costruire non risulta essere stato impugnato e la parte ricorrente ha dedotto l’intervenuta improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del gravame in esame.

Con atto depositato il 2.3.2020 si è costituito in giudizio per la parte ricorrente l’avvocato Vincenzo Bocchino, in aggiunta al difensore precedentemente nominato.

All'udienza di smaltimento del 10 giugno 2020, il Collegio si è riservato la decisione allo stato degli atti.

DIRITTO

1) Il ricorso si palesa fondato per le ragioni che seguono.

2) Infondata è l’eccezione di irricevibilità per tardività del ricorso.

La parte controinteressata ha eccepito al riguardo che il ricorso è stato notificato il 7.2.2014, ovverosia 540 giorni dopo l’avvenuto rilascio del permesso di costruire, quando i lavori di esecuzione erano iniziati il 20.8.2012 e si trovavano in avanzato stato di realizzazione, essendo stata completata la struttura con la definizione della volumetria fuori terra e interrata e, in sostanza, mancando solo i servizi e le finiture interne degli ambienti.

2.1.- Al riguardo, secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza, ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnazione di un permesso di costruire da parte di un proprietario di immobile limitrofo, occorre che le opere rivelino, in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento e che, di conseguenza, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre con il completamento dei lavori (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 dicembre 2016 n. 5123; Cons. Stato, Sez. IV, 23-7-2009, n. 4616; C.G.A.R.S. Sez. I, 28 maggio 2007 n. 421; Cons. Stato, Sez. V, 23 settembre 2005 n. 5033).

A tale regola generale si fa eccezione nel caso in cui venga provata una conoscenza anticipata oppure si deducano censure di assoluta inedificabilità dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso (Cons. Stato, Sez. IV, 10-12-2007, n. 6342).

Nel caso in cui, infatti, il ricorrente affermi l’inedificabilità assoluta dell’area, già la prima forma di intervento sul fondo rende lo stesso perfettamente cosciente dell’incompatibilità dell’opera con la disciplina applicabile. Ne deriva che, in quest’ultimo caso, il termine decadenziale per la proposizione dell’azione deve ritenersi decorrente dal giorno in cui il soggetto abbia conoscenza dell’attività edilizia in corso.

2.2.- La più recente giurisprudenza sottolinea, tuttavia, come il principio di certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporti che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso di costruire edilizio nell’incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura, poiché, nelle more, il ritardo dell’impugnazione si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all’ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi.

Se da un lato, infatti, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con i principi ordinamentali.

Infatti, colui che intende avversare un intervento edilizio ha il preciso onere di attivarsi tempestivamente secondo i canoni di buona fede in senso oggettivo, senza differire colposamente o comunque senza valida ragione l’impugnativa del relativo titolo alla fine dei lavori, quando ciò non sia oggettivamente necessario ai fini ricorsuali. E ciò, tenuto conto anche del fatto che resta in ogni caso salva la possibilità per il ricorrente di proporre eventuali motivi aggiunti, a seguito di una successiva e più approfondita analisi di tutta la documentazione rilevante ai fini della causa (Cons. Stato, sez. IV, 28/10/2015, n. 4909 e n. 4910).

Al riguardo, infatti, viene riaffermato che la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi viene individuata nel momento in cui i lavori hanno avuto inizio nel caso si contesti in radice l’edificabilità dell’area, mentre per le altre censure con la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori, che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo (Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15; Sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5170; Sez. V n. 3777 del 27 giugno 2012; Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2959).

Il completamento dei lavori è, quindi, considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata (Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705; Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 264).

2.3.- Tali affermazioni, tuttavia, vengono anche contemperate con la tutela delle esigenze di certezza dell’ordinamento, per cui il terzo non può essere considerato libero di decidere, se e quando accedere agli atti. La giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla luce dei principi di effettività e satisfattività, ha, infatti, cercato un punto di equilibrio tra i menzionati principi e quello della certezza degli atti amministrativi ritenendo equo fissare il dies a quo del termine decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal paradigma legale (Cons. Stato, Sez. II, 11 novembre 2019, n. 7692).

Così, se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del completamento dell’opera quando questi non sia in condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, se lo stato di avanzamento dei lavori sia già tale da indurre il sospetto di una possibile violazione della normativa urbanistica, il ricorrente ha l’onere di documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, al fine di verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed inibire l’ulteriore attività realizzativa. Non può, quindi, limitarsi ad attendere il completamento dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso.

2.4.- Nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra.

Infatti, il principio di trasparenza, sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di attivare non appena abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente (Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 322).

Quindi, se il termine di impugnazione inizia a decorrere in linea di principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla portata dell’intervento, al contempo, il principio di certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso di costruire edilizio nell’incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura, poiché, nelle more, il ritardo dell’impugnazione si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all’ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi (Cons. Stato, IV Sez., 28 ottobre 2015, n. 4909).

Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con gli evidenziati principi ordinamentali.

Si possono, quindi, individuare una serie di fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei confronti dell’intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale o comunque extraprocessuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli motivi che possano legittimare l’interessato ad una impugnazione differita dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori (Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3191).

2.5.- In conclusione, la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine per la impugnazione di un titolo edilizio viene individuata nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), al completamento dei lavori o, in relazione al grado di sviluppo degli stessi, nel momento in cui si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, del manufatto in costruzione (Cons. Stato, Sez. II, 12 agosto 2019, n. 5664; Sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583; id., 23 maggio 2018, n. 3075).

2.6.- Nel caso di specie il ricorrente ha formulato censure di diverso tenore dove alcune coinvolgono lo stesso diritto ad edificare sull’area (ovverosia attinenti al rilascio stesso del permesso di costruire a fini edificatori), mentre altre attengono al quomodo dell’edificazione (ovverosia sono attinenti al contenuto del permesso di costruire).

2.6.1.-Nell’ambito della prima tipologia di censure ricade sicuramente quella inerente all’esistenza di un vincolo di inedificabilità e asservimento gravante sull’area su cui è stato rilasciato il permesso di costruire gravato, in favore del fondo limitrofo, stabilito con atto del notaio Delli Veneri del 9 maggio 2005, ai sensi del quale nessuna costruzione sarebbe stata possibile sul fondo in questione.

Tale censura di inedificabilità assoluta si palesa, quindi, tardiva in quanto l’onere di impugnazione è sorto con lo stesso inizio lavori.

2.6.1.1. -A nulla vale al riguardo la circostanza di fatto che il ricorrente sia stato materialmente assente dall’Italia per un lungo periodo (siccome residente in Venezuela) perché mera circostanza soggettiva di fatto inidonea a incidere sull’onere di impugnativa.

2.6.2.- Le altre censure attengono, invece, al quomodo dell’opera, ovvero ad aspetti che non riguardano l’inedificabilità dell’area o l’inesistenza del diritto ad edificare, rispetto ai quali non può dirsi che la parte controinteressata fosse gravata dall’onere immediata d’impugnativa, in quanto non vi è evidenza che si trattasse di aspetti resi palesi dal grado di sviluppo dell’opera ben prima dell’avvenuta impugnazione, o riguardo ai quali possa evidenziarsi una negligenza nella mancata tempestiva impugnazione.

2.6.2.1.- D’altra parte l’onere della a prova dell’esistenza dell’effettiva conoscenza dei termini del permesso di costruire prima del termine dei lavori grava sulla parte che eccepisce la tardività, che in questo caso non ha assolto tale onere con elementi specifici.

3) Priva di pregio risulta anche la deduzione della sopravvenuta carenza di interesse del ricorso a seguito del rilascio del permesso di costruire in variante n. 13/2016.

Quest’ultimo costituisce indubbiamente un nuovo titolo abilitativo edilizio che varia il precedente oggetto di impugnativa, ma che tuttavia ha portata limitata e, in quanto tale, non ha spiegato effetto novativo o assorbente rispetto l’atto gravato.

Il permesso di costruire in variante n. 13/2016 riguarda, infatti, la variazione della destinazione d’uso parziale del piano terra da deposito a locale commerciale con diversa distribuzione degli spazi interni e la diversa distribuzione degli spazi interni del primo piano destinato ad abitazione con modifica sul prospetto su viale Spinelli.

Si tratta quindi di aspetti di mera modifica dell’immobile esistente che non incidono in maniera sostanziale sulle eventuali illegittimità inerenti al titolo abilitativo originario di realizzazione dell’immobile.

4) Nel merito il Collegio rileva come sia fondato il motivo di ricorso secondo cui il progetto allegato al permesso di costruire risulta sottoscritto da un geometra, come tale non abilitato alla progettazione di costruzioni con cemento armato.

4.1.- Al riguardo, a norma dell'art. 16, lett. m), r.d. 11 febbraio 1929, n. 274 e dalle l. 5 novembre 1971, n. 1086 e 2 febbraio 1974, n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla l. 2 marzo 1949, n. 144 (recante la tariffa professionale), la competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle comportanti l'adozione — anche parziale — di strutture in cemento armato. Solo in via di eccezione, la competenza in ordine alla progettazione da parte dei geometri si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l), del medesimo art. 16, r.d. n. 274 cit., purché si tratti di piccole costruzioni accessorie nell'ambito di edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che, per la loro destinazione, non comportino pericolo per le persone.

Per il resto, la suddetta competenza è, comunque, esclusa nel campo delle costruzioni civili, ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione, qualunque ne sia l'importanza, è pertanto riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali (Tar Napoli, sez. VIII, 23 agosto 2016, n. 4092; Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2015, n. 833; id. 28 aprile 2011, n. 2537; Cass., sez. II, 24 marzo 2016, n. 5871; id. 2 settembre 2011, n. 18038; id. 26 luglio 2006, n. 17028).

Anche in caso di sussistenza di complessiva modestia dell’opera, quindi, è comunque necessario che, in ogni caso, i calcoli relativi alle opere in cemento armato siano curati da un professionista abilitato e solo ciò può eventualmente consentire di considerare legittimo il titolo abilitativo rilasciato su progetto redatto da un geometra (Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6036).

Infatti, stante quanto detto, in base al principio generale della collaborazione tra titolari di diverse competenze professionali, può essere consentito che la progettazione e direzione dei lavori relativi alle opere in cemento armato sia affidata al tecnico in grado di eseguire i calcoli necessari e di valutare i pericoli per la pubblica incolumità, e che l’attività di progettazione e direzione dei lavori, incentrata sugli aspetti architettonici della “modesta” costruzione civile, sia affidata, invece, al geometra.

4.2.- Non si tratta, tuttavia, di assicurare la mera presenza di un ingegnere progettista delle opere in cemento armato, che controfirmi o si limiti ad eseguire i calcoli (Cass. civ., Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038). Il professionista, che svolge la progettazione con l’uso del cemento armato, deve pertanto essere competente a progettare e ad assumersi la responsabilità del segmento del progetto complessivo riferito alle opere in cemento armato (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 aprile 2013, n. 361, ed implicitamente TAR Marche, Ancona, 11 luglio 2013, n. 559), nel senso appunto che l’incarico non può essere affidato al geometra, che si avvarrà della collaborazione dell’ingegnere, ma deve essere sin dall’inizio affidato anche a quest’ultimo per la parte di sua competenza e sotto la sua responsabilità (Cass. Civ. Sez. II, 30 agosto 2013, n. 19989).

4.3.- Nel caso di specie il progettista che ha sottoscritto l’atto è unicamente un geometra, Geom. Marallo, come tale a ciò non abilitato, né è stata comprovata l’intervento di un tecnico abilitato per quanto riguarda la progettazione delle strutture del cemento armato (partecipazione alla progettazione che peraltro dovrebbe possedere i requisiti indicati).

4.3.1.- Non trova riscontro in senso contrario l’allegazione del controinteressato secondo cui il medesimo progetto sarebbe stato sottoscritto anche da un architetto, Arch. Mottola, che al contrario risulta chiaramente solo come direttore lavori. Allo stesso modo non trova riscontro la deduzione difensiva secondo cui il progetto depositato presso il genio civile sarebbe stato sottoscritto dall’Ing. Lombardi, di cui quello depositato presso il Comune avrebbe mero contenuto riproduttivo, in quanto sfornita di evidenze probatorie a supporto.

Per le suesposte ragioni il ricorso va accolto.

5) Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6) Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2020, tenutasi con collegamento da remoto in videoconferenza tramite Microsoft Teams (piattaforma in uso presso la Giustizia amministrativa, ai sensi dell’art 3, comma 2, dell’Allegato 3 al d.P.C.S. N. 134/2020), ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020, e del Decreto Presidenziale n. 22/2020/Sede, con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gaudieri, Presidente

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

Viviana Lenzi, Primo Referendario