TAR Sicilia (CT) Sez. I n.1038 del 15 aprile 2016
Urbanistica.Ordine di demolizione e applicazione della sola sanzione pecuniaria

Il privato sanzionato con l'ordine di demolizione per la costruzione di un'opera edilizia abusiva non può invocare l'applicazione in suo favore dell' art. 34 comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, che comporta l'applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l'ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo, perché per impedire l'applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio alla restante parte dell'edificio, consistente in una menomazione dell'intera stabilità del manufatto

N. 01038/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00292/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 292 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giovanni Lupo, rappresentato e difeso dagli avv. Paola Leone e Raffaele Leone, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Catania, Via C. Abate, 30;

contro

Comune di Noto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna Adragna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pietro Damigella in Catania, Via Ciccaglione, 15;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

- del provvedimento prot. n. 41912 del 5 dicembre 2011 con il quale il Dirigente del Settore IV del Comune di Noto, assetto e tutela del Territorio, ha rigettato la richiesta di concessione edilizia presentata in data 1-8-2011 prot. n. 5559;

- della proposta di provvedimento di diniego, avanzata dal responsabile del procedimento;

- di ogni altro atto, anche non conosciuto, presupposto e consequenziale

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 12 maggio 2012:

- dell'ordinanza n. 81/D del 9 marzo 2012 di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale ed immissione in possesso;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:

- del provvedimento prot. n. 21817 di rigetto della richiesta di annullamento in autotutela dell’ordinanza di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale ed immissione in possesso n. 81-D del 9.3.2012, presentata dal Sig. Lupo Giovanni il 05.12.2011;

- dell’ordinanza di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale ed immissione in possesso n. 376-D dell’11.10.2013 e notificata il 15.10.2013;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Noto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il signor Giovanni Lupo è proprietario di fabbricato nel Comune di Noto, c.da Falconara (realizzato in assenza di titolo edilizio e successivamente “condonato” con concessioni in sanatoria n.7/2001 e n. 540/2008) sul quale ha eseguito (in assenza di alcun titolo edilizio) ulteriori lavori - consistenti nell’ampliamento di un locale destinato a deposito e nella realizzazione di due tettoie, come descritte in atti - per i quali il Comune di Noto ha emesso l’ordinanza n. 147 del 29 aprile 2011, con la quale ha ingiunto la demolizione delle opere abusive sopra descritte.

In data 1 agosto 2011, il Sig. Lupo ha presentato due distinte richieste di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. 380/2001 rispettivamente concernenti: a) il locale deposito e b) le tettoie. L’istanza sub a) è stata respinta con il provvedimento prot. n. 41912 del 5 dicembre 2011 in ragione della rilevata difformità del progetto con lo strumento urbanistico vigente e, in particolare, con la disposizione contenuta nell’art. 30 punto c) delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. “per assenza della distanza minima assoluta tra fabbricati antistanti esistenti, ai sensi del D.M. 1444/1968”, mentre sull’istanza sub b) non è stato adottato alcun provvedimento espresso.

Con ricorso introduttivo, notificato in data 1 febbraio 2012, il Sig. Lupo ha impugnato il provvedimento di diniego di sanatoria e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

1) violazione degli artt. 9 e 10 del regolamento edilizio che richiedono il preventivo parere della CEC su “su tutte le questioni di carattere urbanistico ed edilizio” e che, invece, nel caso di specie non è stato reso;

2) violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, violazione dell’art. 30 delle N.T.A. ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria.

Il Comune di Noto si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto del ricorso, sostenendone l’infondatezza anche alla luce della dettagliata relazione del tecnico istruttore.

Con ordinanza n.81/D del 9 marzo 2012, il Comune di Noto - richiamata l’ordinanza di demolizione n. 147/2011, la successiva comunicazione d’inottemperanza e il provvedimento di diniego di concessione in sanatoria - ha dichiarato l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivamente realizzato, come accertato nel sopralluogo del 6 aprile 2011.

In relazione a tale ultimo provvedimento il ricorrente ha presentato istanza di annullamento in autotutela del 4 aprile 2012 e ha notificato, in data 12 maggio 2012, un ricorso per motivi aggiunti affidato ai seguenti motivi:

1) violazione di legge (art. 2 della legge n. 241/1990, art. 13 della legge n. 47/1985) ed eccesso di potere in relazione alla mancata adozione di un provvedimento espresso sull’istanza di sanatoria concernente le tettoie;

2) violazione di legge (artt. 7, 8, 10 e 12 della legge n. 47/1985 e artt. 31 e 34 del D.P.R. 380/2001): il Comune avrebbe erroneamente applicato la disciplina prevista per le opere eseguite in assenza di concessione edilizia, mentre nella specie si tratterebbe di opere realizzate in “parziale difformità” della concessione originaria;

3) violazione del regolamento edilizio, avuto riguardo alla mancata acquisizione del parere della CEC;

4) violazione di legge ed eccesso di potere in relazione all’errata determinazione dell’area di sedime.

Con determinazione n. 176/D del 14 maggio 2012 il Comune di Noto, in parziale accoglimento dell’istanza di autotutela, ha disposto la revoca dell’ordinanza n. 147/2011 e dell’ordinanza n. 81-D/2012, ma solo limitatamente alle due tettoie.

Il ricorrente, in data 2 dicembre 2012, ha presentato un’ulteriore domanda di riesame, al fine di ottenere un provvedimento di autotutela anche in ordine all’ampliamento del “vano deposito” che parte ricorrente ritiene configurabile alla stregua di un’ opera “in parziale difformità dalla concessione”.

Con provvedimento prot. 21817 del 15 luglio 2013, il Comune - dopo aver richiamato i precedenti provvedimenti e aver svolto alcune considerazioni sul contenuto della relazione tecnica allegata all’istanza di autotutela - ha rigettato l’ulteriore richiesta di autotutela affermando che “il caso trattato non rientra nella fattispecie dell’art. 12 della legge n. 47/85 in quanto non si tratta di interventi eseguiti in difformità ad una CE regolarmente rilasciata”e che “trattandosi di immobile in muratura ad un unico livello (…) l’unità strutturale può essere rimessa in pristino allo stato originario”.

Quindi, con ordinanza n. 376/D dell’11 ottobre 2013, il Comune ha adottato una nuova ordinanza avente ad oggetto “sgombero, acquisizione al patrimonio comunale ed immissione in possesso (…) dell’area di sedime e di quella circostante, nella misura di mq. 575 individuata in catasto al foglio 316 p.lla 180”.

I predetti atti sono stati impugnati con un secondo ricorso per motivi aggiunti nei quali sono articolate le seguenti censure:

A) Con riferimento al provvedimento prot. n. 21817 di rigetto della richiesta di annullamento in autotutela dell’ordinanza n. 81/D del 9 marzo 2012:

- violazione dell’art. 10bis della legge n. 241/1990;

- difetto di motivazione ed eccesso di potere;

- violazione di legge (artt. 7, 8, 10 e 12 della legge n. 47/1985 e artt. 31 e 34 del DPR 380/2001) ed eccesso di potere in relazione alla qualificazione delle opere erroneamente ritenute dall’ente come realizzate in assenza di concessione edilizia (terzo e quinto motivo di ricorso);

- violazione di legge ed eccesso di potere poiché, in ogni caso, i lavori di ampliamento sarebbero da qualificare come “ristrutturazione edilizia”, ai sensi dell’art. 20 della l.r. n.71/1978 e dell’art. 31 della legge n. 47/1985, per i quali è prevista soltanto la demolizione, non anche l’acquisizione al patrimonio comunale.

B) Con riferimento all’ordinanza n. 376/D dell’11 ottobre 2013:

- violazione di legge ed eccesso di potere in relazione alla qualificazione delle opere (riproposizione del terzo e quarto motivo di ricorso sopra esposti);

- difetto di motivazione e contraddittorietà con precedenti atti poiché l’ordinanza dichiara l’acquisizione al patrimonio comunale “dell’immobile accertato alla data del sopralluogo, dell’area di sedime e di quella circostante per mq. 575,00” vale a dire di tutti i manufatti abusivi, comprese le tettoie per le quali l’acquisizione era stata revocata col provvedimento 176-D del 14/5/12 (ottavo motivo di ricorso);

- violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 (nono motivo);

- violazione di legge ed eccesso di potere con riguardo alla mancata adozione di un nuovo provvedimento di demolizione successivo ai provvedimenti di definizione delle istanze di sanatoria (decimo motivo);

- violazione di legge avuto riguardo alla mancata adozione di un provvedimento espresso sull’istanza di sanatoria concernente le tettoie (undicesimo motivo);

- violazione di legge (artt. 7, 8, 10 e 12 della legge n. 47/1985 e artt. 31 e 34 del DPR 380/2001) ed eccesso di potere in relazione alla qualificazione delle tettoie /pergolato (dodicesimo motivo)

- violazione di legge ed eccesso di potere con riguardo alle misure sanzionatorie e in particolare all’estensione di mq. 575,00 pari a dieci volte la superficie occupata dalle opere così come originariamente contestate nelle ordinanze n. 147/2011 e n. 81/D (tredicesimo e quattordicesimo motivo).

Il Comune di Noto si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto del ricorso poiché gli interventi effettuati e accertati nell'immobile in questione non si risolvono in una mera e semplicistica parziale difformità dalla concessione rilasciata, ma configurano una fattispecie di totale difformità dal titolo edilizio.

Con ordinanza cautelate n. 1027/2013 è stata accolta la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati.

Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2016, il ricorso è stato posto in decisione, come da verbale.

DIRITTO

Il ricorso introduttivo, con il quale parte ricorrente censura la legittimità del provvedimento n. 41912 del 5 dicembre 2011 è infondato poiché il diniego di accertamento di conformità è adeguatamente motivato sull’oggettivo contrasto - non contestato dal ricorrente che, peraltro, ne era stato reso edotto con preavviso di diniego del 3 agosto 2011 - dell’ampliamento del locale deposito con l’art. 30, punto 3 lett. c) delle n.t.a., vale a dire il mancato rispetto della distanza minima di mt. 10 dai confini.

Parimenti infondata è la censura concernente l’omessa acquisizione del parere della C.E.C. che era già stata soppressa per effetto della disposizione contenuta nell’art. 19 della l.r. 5/2011.

Il ricorso per motivi aggiunti verte, invece, sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 81/D del 9 marzo 2012 con la quale l’ente - a seguito del diniego di accertamento di conformità impugnato con il ricorso introduttivo - ha disposto lo sgombero e l’acquisizione al patrimonio comunale del manufatto abusivo costituito dall’ampliamento del vano deposito e dalle tettoie.

Tale ordinanza è stata tuttavia superata:

- dalla determinazione n. 176/D del 14 maggio 2012 con la quale il Comune di Noto, in parziale accoglimento della prima istanza di autotutela del 5 aprile 2014, ha disposto la revoca dell’ordinanza n. 147/2011 e dell’ordinanza di acquisizione n. 81-D/2012, limitatamente alle due tettoie;

- dall’ordinanza n. 376/D dell’11 ottobre 2013, con la quale l’ente - successivamente al provvedimento di diniego di autotutela n. 21871 del 10 luglio 2013 - ha adottato una nuova ordinanza di sgombero e acquisizione al patrimonio comunale del manufatto abusivo e dell’area di sedime.

Ne consegue l’improcedibilità del primo ricorso per motivi aggiunti, per sopravvenuta carenza d’interesse.

Rimane, quindi, da esaminare il secondo ricorso per motivi aggiunti che riguarda: a) il provvedimento n. 21817 del 2 luglio 2013 di rigetto dell’ulteriore istanza di annullamento in autotutela dell’ordinanza n. 86/D, previa applicazione dell’art. 12 della legge n. 47/1985 e b) l’ordinanza di acquisizione n. 376/D dell’11 ottobre 2013.

Le censure formulate nei confronti del provvedimento di diniego n. 21817/2013 sono infondate tenuto conto che l’istanza di autotutela presentata dal ricorrente ha valore di mera sollecitazione all’esercizio del potere amministrativo, ma non costituisce fonte di un obbligo di procedere e provvedere per l’amministrazione, con conseguente irrilevanza della censurata omessa comunicazione dei motivi ostativi. Infatti, l’istanza del privato mirante ad ottenere il riesame da parte della pubblica amministrazione di un atto autoritativo, non impugnato tempestivamente dal medesimo ovvero impugnato con esito negativo o - come nella fattispecie in esame - impugnato in un giudizio pendente, non comporta, di regola, la configurazione di un obbligo di riesame, in quanto tale obbligo pregiudicherebbe le ragioni di certezza delle situazioni giuridiche e di efficienza gestionale che sono alla base dell’agire autoritativo della pubblica amministrazione ed il principio dell’inoppugnabilità dopo il termine di decadenza dei relativi atti. Ne consegue che ogni questione concernente la verifica di conformità dell’ampliamento del vano deposito è ormai definitivamente accertata con il provvedimento di diniego n. 41912 del 5 dicembre 2011 impugnato con il ricorso introduttivo, dato che il provvedimento di riesame si limita a richiamare il contenuto del predetto atto di diniego ed esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’art. 12 della legge n. 47/195 ( oggi art. 34 D.P.R. 380/2001).

Nessun rilievo può assumere, a tale riguardo, la circostanza dell’asserita impossibilità tecnica di procedere alla demolizione, dato che il privato sanzionato con l'ordine di demolizione per la costruzione di un'opera edilizia abusiva non può invocare l'applicazione in suo favore dell' art. 34 comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, che comporta l'applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l'ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo, perché per impedire l'applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio alla restante parte dell'edificio, consistente in una menomazione dell'intera stabilità del manufatto (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia - Catania Sez. I, 9 luglio 2015, n. 1882; T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. II, 8 gennaio 2015, n. 43 e sez. III, 11 giugno 2014, n. 1503). Nel caso di specie nessuna dimostrazione è stata fornita dal ricorrente, che si è limitato ad affermazioni generiche, né oggettivi rilievi di carattere tecnico sono rinvenibili nella relazione tecnica prodotta a sostegno dell’istanza di annullamento in autotutela.

Sulla base delle argomentazioni che precedono il ricorso avverso il provvedimento n. 21817 del 2 luglio 2013 è infondato e va respinto.

Il ricorso è, invece, fondato per la parte concernente l’ordinanza n. 376/D risultando condivisibili le censure formulate nell’ottavo e nel quattordicesimo motivo concernenti il fabbricato e l’area di sedime acquisiti nella medesima estensione di cui all’ordinanza n. 86/D, e che pertanto non appaiono più corrispondenti all’entità dell’abuso, tenuto anche conto della revoca della predetta ordinanza per la parte concernente le tettoie. Costituisce, infatti, ius receptum che qualora il Comune disponga, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva, che tale acquisizione - in assenza di motivazioni che ne giustifichino l’estensione ad un’area ulteriore - deve essere limitata all’area su cui insistono le sole opere abusive e non all’intero e più ampio manufatto. Ne consegue che allorché - come nel caso di specie - l’amministrazione comunale mostri di comprendere tra le aree oggetto di acquisizione anche una porzione ulteriore rispetto a quella coincidente con l’area di sedime dell’abuso, tale individuazione debba essere adeguatamente motivata in relazione al perseguimento di uno specifico interesse pubblico. Mentre, quindi, per l’area sulla quale insiste l’opera abusiva, l’automatismo dell’effetto acquisitivo rende superflua ogni motivazione sul punto, l’individuazione di un’area ulteriore da acquisire deve essere congruamente giustificata con l’esplicitazione delle ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto e l’indicazione dei criteri di determinazione della superficie complessiva che il Comune intende acquisire, anche mediante il riferimento alle opere necessarie, destinate ad occupare tale ulteriore area (in tal senso, ex multis, TAR Sicilia - Catania, sez. I, 23 ottobre 2015, n. 2472).

Per le suesposte ragioni e assorbite le ulteriori censure formulate nei confronti, il secondo ricorso per motivi aggiunti è in parte fondato e deve essere accolto limitatamente all’impugnazione dell’ordinanza n. 376-D dell’11 ottobre 2013 di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, per illegittima estensione all’intero manufatto edilizio. Per effetto di tale accoglimento parziale, solo tale ordinanza deve essere annullata, restando comunque salvo ed impregiudicato ogni ulteriore provvedimento che l’amministrazione resistente intenderà assumere, pur sempre tenendo conto dell’effetto conformativo che consegue alla presente pronuncia.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi, attese le concrete modalità di svolgimento della vicenda, per compensare fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) rigetta il ricorso introduttivo, dichiara improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti e accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui motivazione, il secondo ricorso per motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Francesco Bruno, Presidente FF

Agnese Anna Barone, Consigliere, Estensore

Eleonora Monica, Referendario

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/04/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)