Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 13962 del 16/06/2006
Presidente: Vitrone U. Estensore: Giusti A. Relatore: Giusti A. P.M. Carestia A. (Diff.)
Asm Brescia Spa ed altro (Pafundi ed altro) contro Provincia Brescia (Storace)
(Cassa con rinvio, Trib. Brescia, 23 Settembre 2002)
SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - IN GENERE - Disciplina in tema di tutela delle acque dall'inquinamento - Fognature convoglianti anche scarichi di acque reflue industriali - Valori - Limite di emissione di cui alla tabella 3 dell'Allegato 5 al d.lgs. n. 152 del 1999 (acque industriali) - Assoggettamento.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, nel caso di fognature miste, assistite da un impianto di depurazione, che raccolgano non solo acque reflue domestiche, ma anche acque reflue industriali, provenienti da un agglomerato, è altresì obbligatorio il rispetto dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3 dell'Allegato 5 al d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, riferita precipuamente alle acque industriali.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ASM Brescia S.p.A, in persona del Presidente pro-tempore, e ingegner CARBONE Silvia, rappresentate e difese, in forza di procura a margine del ricorso, dall'Avv. SALVADORI Vito, elettivamente domiciliate presso lo studio dell'Avv. Gabriele Pafundi (studio Romanelli - Pafundi) in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14, scala A, interno 4;
- ricorrenti -
contro
PROVINCIA di BRESCIA, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del controricorso, dall'Avv. STORACE Francesco, elettivamente domiciliata presso quest'ultimo in Roma, via Crescenzio, n. 20);
- controricorrente -
avverso la sentenza del Tribunale di Brescia n. 2868 depositata in data 23 settembre 2002.
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23 maggio 2006 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
udito, per le ricorrenti, l'Avv. Cesare Ioppoli, per delega, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avv. Francesca Paulucci, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generala Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con ricorso ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, la Società per azioni ASM Brescia, in persona del Presidente pro- tempore, ente gestore della fognatura e del depuratore del Comune di Capriano del Colle, località Fenili Belasi, e l'ing. Carbone Sivia, quest'ultima nella qualità di responsabile dell'impianto di depurazione, proponevano opposizione avverso l'ordinanza di data 24 gennaio 2002 con cui la Provincia di Brescia aveva ad esse ingiunto il pagamento, in via solidale, della somma di Euro 2.065,00 a titolo di sanzione amministrativa per violazione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 54, comma 4, del essendo stata contestata la mancata adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento (art. 63, comma 12, del D.Lgs. cit.), con specifico riferimento all'accertata inosservanza dei limiti di accettabilità di cui alla tabella A della "legge Merli" da parte dello scarico dell'impianto di depurazione del Comune di Capriano del Colle - località Fenili Belasi (in gestione all'ASM) con recapito in corpo idrico superficiale.
A sostegno dell'opposizione, le ricorrenti, oltre alla mancata comunicazione dell'esito delle analisi (ciò che non aveva consentito ad essi di attivare l'eventuale procedura di revisione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 15), deducevano: (a) che - premessa l'insussistenza di alcun limite nella tabella 1 dell'Allegato 5 per quanto concerne l'azoto nitroso - il superamento dei limiti tabellari con riferimento, a tale parametro non potesse ritenersi più sanzionabile, e ciò in forza della riserva finale contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 12, che fa salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli introdotte dal medesimo decreto; (b) che il campione prelevato non poteva ritenersi rappresentativo dello scarico, non essendo state osservate le modalità all'uopo previste dalla legge per il prelevamento, e che in ogni caso il prelievo effettuato non dimostrava, di per sè, alcun ipotetico aumento dell'inquinamento del depuratore rispetto al periodo precedente all'entrata in vigore del decreto legislativo; (c) che nessuna colpa poteva essere ascritta all'ing. Carbone, essendosi costei sempre attenuta alle direttive impartite dall'azienda.
2. - Nella resistenza dell'amministrazione provinciale convenuta, il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 2868 depositata in data 23 settembre 2002, rigettava l'opposizione.
2.1. - Per quanto qui ancora rileva, in relazione al motivo di opposizione concernente l'applicazione della tabella 3 dell'Allegato 5, avanzata sul presupposto dell'applicabilità, versandosi in fattispecie di acque urbane, della sola tabella 1, ove non compare l'azoto nitroso, il Tribunale riteneva la censura infondata, perché nella specie si trattava di un caso non di acque urbane, ma di fognature in cui sono convogliati anche scarichi di acque reflue industriali, con la conseguenza che i limiti di emissione da prendere in considerazione erano quelli di cui alla tabella 3, non già quelli di cui alla tabella 1. In ogni caso, osservava il Giudice di Brescia, i valori-limite di cui alla tabella 3, riferiti precipuamente alla acque industriali, devono pur sempre essere rispettati in presenza di quella peculiare tipologia di acque urbane costituite dal miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento, a condizione che, in questo secondo caso, si tratti di acque convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato (D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 2, lettera 1,). Inoltre, il Tribunale rilevava che, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo - e, quindi, dello scarico - occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque scaricate: se in esso sono convogliate anche acque industriali, come nel caso di specie, tale deve essere ritenuta anche la natura del refluo.
Ed osservava che, per quanto riguarda l'azoto nitroso, vi era perfetta coincidenza tra le previsioni della "legge Merli" e quelle della nuova disciplina: il che rendeva evidente l'obiettiva sussistenza, nella fattispecie concreta, di un fenomeno di aumento dell'inquinamento, atteso che, attraverso il pur unico prelievo effettuato, era stato constatato il superamento dei valori-limite di emissione di sostanze inquinanti, con riferimento al parametro azoto, secondo la disciplina in vigore al tempo della "legge Merli". Anche la nuova disciplina - precisava il primo Giudice - contempla, nella tabella 3 dell'Allegato 5, l'azoto nitroso, sicché risultava soddisfatta la disposizione di salvezza delle disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999, contenuta nell'art. 62, comma 12, ultimo inciso, del medesimo decreto. 2.2. - Quanto alla censura concernente la metodica di campionamento prescelta dagli accertatori, avanzata dalle ricorrenti per sostenere l'inutilizzabilità dei risultati delle analisi ai fini della dimostrazione della sussistenza della violazione, il primo Giudice rilevava che, a seguito del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, l'adozione del campione medio e tornata ad essere, per gli scarichi industriali in acque superficiali e per quelli sul suolo, solamente tendenziale e non tassativa, potendo l'autorità, dandone adeguata motivazione nel verbale di prelievo, effettuare il campionamento su tempi diversi, al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico, qualora lo giusti ficchino particolari esigenze legate alla specificità del singolo accertamento. Nel caso, premesso che in concreto era stato effettuato un campionamento "a metà strada" tra l'istantaneo ed il medio, essendosi prelevate otto aliquote di un litro ciascuna, poi versate in unico recipiente e mescolate tra loro, nell'arco di venti minuti, il Tribunale - considerata la legittimità di una diversa metodica di campionamento, purché finalizzata ad ottenere un campione adeguatamente rappresentativo della scarico - riteneva che la tipologia di scarico in questione (da impianto di depurazione) giustificasse pienamente il ricorso ad una forma di prelievo quale quella attuata, rendendo al tempo stesso superfluo la specificazione, nel verbale, delle ragioni che avevano condotto ad una tale scelta.
3. - Avverso la sentenza del Tribunale di Brescia, con atto notificato il 18 novembre 2002 la Società per azioni ASM Brescia e l'ing. Silvia Carbone hanno interposto ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi di censura, ai quali ha resistito, con controricorso, la Provincia di Brescia.
In prossimità dell'udienza le ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 54, comma 4, e dell'Allegato 5, tabelle 1 e 3, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5).
Osservano che lo scarico in questione rientra nel regime transitorio di tre anni durante i quali devono essere rispettati, non i limiti di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, bensì quelli individuabili sulla base delle precedenti normative, salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999. Orbene, il Decreto n. 152 del 1999 prevede che gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane, come quello del Comune di Capriano del Colle - località Fenili Belasi, siano tenuti ad osservare valori-limite che riguardano esclusivamente i parametri relativi a COD, BOD5 ed ai solidi sospesi. Nessun valore sarebbe previsto per l'azoto nitroso. Lo si ricaverebbe - assumono le ricorrenti - dalla nota 2 alla stessa tabella 3, la quale prevede che, per quanto riguarda gli scarichi delle acque reflue urbane, valgono i limiti indicati nella tabella 1. I valori-limite che gli scarichi di acque reflue urbane sono tenuti a rispettare riguardano esclusivamente i parametri BOD, COD e solidi sospesi, mentre nessun valore-limite sarebbe previsto per l'azoto nitroso. Poiché tale disposizione, rimasta immutata con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, sarebbe evidentemente più favorevole per il gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane in riferimento all'azoto nitroso, rispetto alla previgente normativa, essa sarebbe applicabile già nel periodo transitorio, rendendo così in radice inconfigurabile l'illecito contestato.
Del tutto illogica e contraddittoria sarebbe la motivazione della sentenza impugnata, la dove ritiene applicabile al capo de quo la tabella 3, relativa agli scarichi industriali.
Nel caso di specie ci si troverebbe di fronte ad uno scarico di acque reflue urbane, e la presenza di acque industriali non cambierebbe la natura del refluo, D.Lgs. n. 152 del 1999, ex art. 2, lettera i). Quest'ultima disposizione definisce reflue urbane le "acque domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento".
Essendo nel caso i valori-limite da rispettare quelli di cui alla tabella 1, la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 152 del 1999, non contenendo valori-limite per l'azoto nitroso negli scarichi di acque reflue urbane, sarebbe più favorevole rispetto a quella prevista dalla "legge Merli".
2. - Il motivo - che pone una questione da scrutinare (in una fattispecie, come l'attuale, di scarico già esistente, in cui è stato contestato l'illecito amministrativo di inosservanza dell'obbligo di adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento) nella prospettiva della clausola di salvezza delle disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999, contenuta nell'ultimo periodo dell'art. 62, comma 12, del citato D.Lgs. - è infondato.
2.1. - Al riguardo, occorre rilevare che, con accertamento in fatto assistito da congrua e logica motivazione, e quindi insindacabile in questa sede, il Tribunale ha accertato che nella specie si è al cospetto di fognatura in cui sono convogliate anche acque reflue industriali, essendosi in presenza di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove le acque immesse nella rete provengono da un agglomerato.
Muovendo da questa premessa, il Tribunale è giunto alla conclusione che i valori-limite di cui alla tabella 3, riferiti precipuamente alle acque industriali, devono pur sempre essere rispettati allorché ci si trovi di fronte a quella particolare tipologia di acque reflue urbane definite dall'art. 2, comma 1, lettera i), quali "miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento". Il Giudice a quo ha altresì osservato che, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo - e, quindi, dello scarico - occorra fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque di fatto scaricate: se in esso sono convogliate anche "acque industriali", come è sicuramente nel caso di specie, tale dovrà essere anche la natura del refluo.
2.2. - L'interpretazione e l'applicazione delle norme sulla tutela delle acque dall'inquinamento operata dalla sentenza impugnata sfugge alla censura delle ricorrenti.
Vero è che, in un caso analogo venuto all'attenzione della il Sezione civile di questa Corte, la sentenza 23 marzo 2006, n. 6566 ha osservato (pagina 7) che quando i reflui siano costituiti da un miscuglio di acque domestiche, di dilavamento e industriali, i valori a cui fare riferimento sono, non quelli della tabella 3, relativa agli scarichi industriali, ma quelli della tabella 1, relativa agli scarichi urbani.
Ritiene il Collegio che quest'ultimo indirizzo non sia condivisibile, e debba essere preferita - per le ragioni che si andranno ad esporre - la soluzione alla quale è pervenuta, in un caso similare, la sentenza di questa Sezione 16 maggio 2006, n. 11479, vale a dire che nel caso di scarichi in corpo idrico superficiale di reflui urbani misti - in cui, cioè, siano presenti reflui di natura industriale - è obbligatorio anche il rispetto dei parametri della tabella 3. Infatti, per espressa previsione normativa (D.Lgs. n. 152 del 1999, punto 1.1. dell'Allegato 5, dettata con specifico riferimento alle acque reflue urbane, "nel caso di fognature miste che raccolgono scarichi di insediamenti industriali", "devono essere rispettati (...) i limiti di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'art. 28, comma 2", e "l'autorità competente per il controllo deve altresì verificare", con la frequenza minima stabilita, "il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3", precisandosi che "i parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura".
In questo contesto, il significato della nota 2) della tabella 3 - là dove si prevede che "per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili, anche quelli di tabella 2", e che "per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L" - è quello, non di esonerare gli scarichi delle fognature miste che raccolgono anche acque reflue industriali dal rispetto dei valori-limite di cui alla tabella 3, ma di dettare una disciplina specificativa, a seconda del parametro interessato del campionamento e del tipo di scarico considerato. Di talché quando tale nota ha riguardo al parametro fosforo e azoto, essa si riferisce esclusivamente alle acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili (per le quali, appunto, dal secondo periodo della nota 2 viene prescritto il rispetto, non dei limiti di tabella 3, ma di quelli, più restrittivi, fissati nella nota stessa), fermo restando che, qualora il campionamento relativo al parametro azoto riguardi, come nel caso di specie, acque reflue urbane contenenti reflui di natura industriale, i limiti di concentrazione di tale parametro rimangono quelli della tabella 3. Viceversa, il riferimento agli scarichi di acque reflue urbane è rivolto ai parametri di BOD, COD e solidi sospesi di cui alla tabella 3: per essi si applicano i valori di concentrazione previsti dalla tabella 1 (o della tabella 2 nel caso di recapito in aree sensibili). Questa interpretazione è confermata dalla giurisprudenza costituzionale. Investita di una questione di legittimità costituzionalità sollevata, in via principale, dalla Provincia autonoma di Trento, avente ad oggetto, in particolare, i valori tabellari che i depuratori pubblici sono tenuti a rispettare "in relazione agli inquinamenti industriali previsti dal paragrafo 1.1. e dalle tabelle 3, 3/A e 5 dell'Allegato 5" - censura prospettata sul rilievo che "la legislazione statale farebbe carico al sistema di depurazione generale anche della depurazione delle sostanze di origine industriale, mentre il sistema di depurazione generale, per sua natura, non sarebbe idoneo a trattare tali sostanze -, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 412 del 2001, ha dichiarato non fondata l'impugnativa, pur implicitamente convalidando la premessa ermeneutica da cui essa muoveva. A tale riguardo, il Giudice delle leggi ha infatti escluso che possa ravvisarsi una manifesta irragionevolezza o una palese arbitrarietà o un contrasto con il principio di buon andamento dell'Amministrazione "nella circostanza che il legislatore nazionale, nell'ottica di un approccio globale al problema della tutela delle acque dall'inquinamento e di una esigenza primaria di migliorare l'ambiente acquatico, anche in conseguenza di scarichi di acque reflue di ogni genere e nell'intento di coinvolgere tutti i soggetti, anche istituzionali, che operano nel settore, abbia previsto una responsabilità correlata a specifici doveri di vigilanza, anche a carico del gestore di impianti di depurazione generale". Nè - contrariamente a quanto assumono le ricorrenti nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell'udienza - è possibile cogliere una disciplina differenziata, per quanto riguarda la Regione Lombardia, nel regolamento 24 marzo 2006, sugli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, emanato in attuazione della L. R. 12 dicembre 2003, n. 26 art. 52, comma 1, lettera a). Anch'esso, infatti, prevede l'obbligo di osservare, "per gli scarichi in acque superficiali di acque reflue urbane nei quali è ammessa la presenza di acque reflue industriali", i valori-limite di cui alla tabella 3.
3. - Il secondo mezzo è rubricato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 4, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in riferimento all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5).
Le ricorrenti invocano il principio di diritto espresso nella sentenza n. 3798 del 19 dicembre 2001 - 31 gennaio 2002 delle Sezioni Unite penali: la fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 12, è autonoma rispetto a quella prevista dalla normativa precedente, sicché l'aumento anche temporaneo dell'inquinamento non è sinonimo di scarico oltre i limiti di accettabilità. È necessario, dunque, rifarsi a precedenti misurazioni della portata quantitativa dello scarico oppure ai limiti indicati dall'interessato nella richiesta di autorizzazione, non avendo alcun senso il riferimento al superamento dei limiti tabellari stabiliti per legge, che caratterizzano la fattispecie prevista dalla L. 10 maggio 1976, n. 319 e quella prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 1, ben diversa da quella di cui all'art. 54, comma 4, in relazione all'art. 62, comma 12.
Pertanto - deducono le ricorrenti - l'unico prelievo effettuato dalla ASL nel caso in questione nulla può dire in merito ad un ipotetico aumento dell'inquinamento dello scarico del depuratore rispetto al periodo precedente, sicché, anche sotto tale profilo, l'ordinanza- ingiunzione opposta sarebbe illegittima, non essendo fondata su corretti presupposti.
4 - - La censura e fondata.
4.1. - Con riguardo all'illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 4, - che sanziona la condotta dei soggetti che, già titolari alla data di entrata in vigore della nuova normativa dell'autorizzazione allo scarico delle acque, non adottino, entro il periodo di tre anni, "le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento" - l'accertamento in ordine all'eventuale aumento dell'inquinamento va compiuto, in relazione al dato pregresso o di partenza, non già sulla base della presunzione di rispondenza dello scarico ai limiti tabellari previsti dalla legge previgente (L. 10 maggio 1976, n. 319, c.d. "legge Merli"), bensì in forza di una verifica in concreto, tesa ad appurare, sulla scorta di adeguati e significativi elementi, di fatto o documentali, non necessariamente costituiti da un precedente prelievo, la presenza di sostanze inquinanti in concentrazioni inferiori a quelle riscontrate nel prelievo eseguito dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e costituente il secondo termine di paragone (v., in fattispecie identica, Cass. civ., Sez. 2^, 22 marzo 2006, n. 6356, nonché Cass. civ., Sez. 2^, 23 marzo 2006, n. 6566, sulla scia di quanto statuito da Cass. pen., Sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798).
Nella specie risulta omesso il concreto raffronto tra la situazione attuale dello scarico, quale accertata dai tecnici che hanno effettuato il campionamento da cui è sorta la contestazione, e quella preesistente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, che il Tribunale ha ritenuto presuntivamente coincidente con i limiti normativi della "legge Merli", senza alcun riferimento ad elementi, di fatto o documentali, di supporto.
5.- Con il terzo motivo (violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, All. 5 e del D.Lgs. n. 258 del 2000, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3 e 5), le ricorrenti rilevano che il campionamento in questione è stato effettuato prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 258 del 2000, laddove, in precedenza, il D.Lgs. n. 152 del 1999, non consentiva alcuna deroga ai tempi di prelievo. In ogni caso, lo scarico in questione non Potrebbe ritenersi uno scarico industriale, essendo uno scarico di acque reflue urbane: per esso il campionamento in tempi ridotti non sarebbe dunque e comunque previsto, dovendo svolgersi nell'arco di ventiquattro ore. Un prelievo come quello di cui alla presente vicenda, riferentesi ad un arco temporale di pochi minuti (senza che nei verbali ci sia alcuna motivazione sul perché si sia reso necessario un campionamento immediato) sarebbe privo di rappresentatività rispetto allo scarico, ed inutilizzabile, da solo, come mezzo probatorio. Affinché siano integrati gli estremi della fattispecie prevista come illecito amministrativo, non sarebbe sufficiente il superamento dei limiti previsti dalle tabelle, ma sarebbe necessario che il superamento degli stessi sia avvenuto in riferimento ad un campione medio prelevato in modo conforme a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999.
6. - Il motivo, con il quale si contesta la regolarità del metodo di prelievo del campione delle acque, è infondato.
6.1. - La materia è disciplinata dall'Allegato 5, il quale - nel testo vigente al momento del fatto - stabiliva che "per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell'arco di 24 ore" e che "i limiti indicati in tabella 3, per le acque reflue industriali, sono riferiti ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore", salva la possibilità per l'autorità preposta al controllo, "al fine di verificare le fasi più significative del ciclo produttivo", di "effettuare il campionamento su tempi più lunghi".
In seguito, il D.Lgs. n. 258 del 2000 ha riformulato la previsione normativa con riferimento alle acque reflue industriali, stabilendo che le determinazioni analitiche ai fini del controllo degli scarichi sono "di norma" riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore, me. prevedendo in aggiunta che l'autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze.
6.2. - La giurisprudenza penale di questa Corte ha più volte stabilito che l'inosservanza del metodo di campionamento non è assoggettata ad alcuna sanzione, sicché è lasciata all'autorità amministrativa procedente, ed in ultima istanza al giudice del merito, la valutazione sia della razionalità del metodo adottato, in relazione alle caratteristiche e alle modalità temporali dello scarico, sia della attendibilità delle analisi. Questo perché la norma sul metodo di campionamento ha carattere procedimentale, non sostanziale, sicché non può configurarsi come norma integratrice della fattispecie penale: essa indica il criterio ordinario per il prelevamento, ma non esclude che il giudice possa motivatamente escludere la rappresentatività di un campione che, per qualsiasi causa, non e stato prelevato secondo il criterio ordinario (cfr. Cass. pen., Sez. 3^, 11 dicembre 2002, n. 41487, Cass. pen., Sez.III, 5 agosto 2003, n.32996, nonché Cass. pen.,Sez. 3^, 24 marzo 2004, n. 14425, che hanno superato l'isolato precedente, al quale si richiamano le ricorrenti, rappresentato da Cass. pen., Sez. 3^, 22 agosto 2000, n. 9140).
In questo senso è indirizzata anche la giurisprudenza civile di questa Corte. La citata sentenza n. 11479 del 2006 ha osservato: che il D.Lgs. n. 152 del 1999, non prevede alcuna sanzione di inutilizzabilità per l'effettuazione di prelievi in difformità dalle regole sopra enunciate, con ciò implicitamente confermando il principio che l'attività relativa al prelevamento di campioni ha natura amministrativa e che la scelta del metodo più appropriato al caso specifico è rimessa alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione; e che il campionamento ha una funzione meramente strumentale, sicché esso deve non tanto rispondere alle esigenze formali del rispetto delle procedure, quanto provare, sotto il profilo sostanziale, la rappresentatività dello scarico, occorrendo fornire al giudice tutti gli elementi necessari perché egli, nel suo libero convincimento, possa valutare se, a seguito dell'attività amministrativa di controllo e di prelievo, risultino violati i limiti di emissione previsti dalle tabelle allegate al citato decreto legislativo.
6.3. - Ai principi che si sono andati esponendo si è puntualmente adeguato il Tribunale di Brescia, il quale ha osservato che in concreto era stato effettuato un campionamento "a metà strada" tra l'istantaneo ed il medio, essendosi prelevate otto aliquote di un litro ciascuna, poi versate in unico recipiente e mescolate tra loro, nell'arco di venti minuti; e - considerata la legittimità di una diversa metodica di campionamento, purché finalizzata ad ottenere un campione adeguatamente rappresentativo della scarico - ha ritenuto che la tipologia di scarico in questione (da impianto di depurazione) giustificasse pianamente il ricorso ad una forma di prelievo quale quella attuata, rendendo al tempo stesso superfluo la specificazione nel verbale delle ragioni che avevano condotto ad una tale scelta. L'apprezzamento del giudice del merito non solo nulla esistenza di una giustificazione circa la metodica di campionamento attuata in termini derogatori rispetto a quelli normativamente previsti, ma anche sulla rappresentatività del prelievo in considerazione degli elementi di fatto evidenziati dall'organo accertatore, sfugge, in quanto logicamente e congruamente motivato, al sindacato riservato a questa Corte dall'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numero 5), (cfr., in fattispecie analoga, Cass. civ., Sez. 2^, 22 marzo 2006, n. 6356, cit.).
7. - Il quarto ed ultimo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, All. 5 e del D.Lgs. n. 258 del 2000, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5). Premesso che il D.Lgs. n. 152 del 1999, al punto. 1.1. dell'Allegato 5, ammette almeno un campione annuo non conforme, e poiché per lo scarico in questione non risulterebbe esservi analogo precedente per l'anno 2000, il campione prelevato, essendo riferito ad uno scarico di acque reflue urbane, non potrebbe portare alla configurazione della fattispecie contestata. 8. - Il motivo è infondato, giacché la tolleranza del campione annuo non conforme è prevista in relazione ai soli valori-limite indicati nella tabella 1 (e a condizione che detti parametri non superino comunque determinate soglie ritenute particolarmente elevate). Per l'inverso, nel caso di specie la tabella applicabile è la 3 (in termini, sentenza n. 11479 del 2006, cit.).
9. - Il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono rigettati. Il secondo motivo è accolto.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa va rinviata al Tribunale di Brescia, che la deciderà, in persona di diverso magistrato, adeguandosi al principio di diritto sub 4.1.
Il Giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso, accoglie il secondo; cassa, in relazione alla censura accolta, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Brescia, in persona di diverso magistrato. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2006. Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2006.

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VITRONE Ugo - Presidente - Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Consigliere - Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere - Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere - Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: ASM Brescia S.p.A, in persona del Presidente pro-tempore, e ingegner CARBONE Silvia, rappresentate e difese, in forza di procura a margine del ricorso, dall'Avv. SALVADORI Vito, elettivamente domiciliate presso lo studio dell'Avv. Gabriele Pafundi (studio Romanelli - Pafundi) in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14, scala A, interno 4; - ricorrenti - contro PROVINCIA di BRESCIA, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del controricorso, dall'Avv. STORACE Francesco, elettivamente domiciliata presso quest'ultimo in Roma, via Crescenzio, n. 20); - controricorrente - avverso la sentenza del Tribunale di Brescia n. 2868 depositata in data 23 settembre 2002. udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23 maggio 2006 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti; udito, per le ricorrenti, l'Avv. Cesare Ioppoli, per delega, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente, l'Avv. Francesca Paulucci, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generala Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. - Con ricorso ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, la Società per azioni ASM Brescia, in persona del Presidente pro- tempore, ente gestore della fognatura e del depuratore del Comune di Capriano del Colle, località Fenili Belasi, e l'ing. Carbone Sivia, quest'ultima nella qualità di responsabile dell'impianto di depurazione, proponevano opposizione avverso l'ordinanza di data 24 gennaio 2002 con cui la Provincia di Brescia aveva ad esse ingiunto il pagamento, in via solidale, della somma di Euro 2.065,00 a titolo di sanzione amministrativa per violazione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 54, comma 4, del essendo stata contestata la mancata adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento (art. 63, comma 12, del D.Lgs. cit.), con specifico riferimento all'accertata inosservanza dei limiti di accettabilità di cui alla tabella A della "legge Merli" da parte dello scarico dell'impianto di depurazione del Comune di Capriano del Colle - località Fenili Belasi (in gestione all'ASM) con recapito in corpo idrico superficiale. A sostegno dell'opposizione, le ricorrenti, oltre alla mancata comunicazione dell'esito delle analisi (ciò che non aveva consentito ad essi di attivare l'eventuale procedura di revisione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 15), deducevano: (a) che - premessa l'insussistenza di alcun limite nella tabella 1 dell'Allegato 5 per quanto concerne l'azoto nitroso - il superamento dei limiti tabellari con riferimento, a tale parametro non potesse ritenersi più sanzionabile, e ciò in forza della riserva finale contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 12, che fa salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli introdotte dal medesimo decreto; (b) che il campione prelevato non poteva ritenersi rappresentativo dello scarico, non essendo state osservate le modalità all'uopo previste dalla legge per il prelevamento, e che in ogni caso il prelievo effettuato non dimostrava, di per sè, alcun ipotetico aumento dell'inquinamento del depuratore rispetto al periodo precedente all'entrata in vigore del decreto legislativo; (c) che nessuna colpa poteva essere ascritta all'ing. Carbone, essendosi costei sempre attenuta alle direttive impartite dall'azienda. 2. - Nella resistenza dell'amministrazione provinciale convenuta, il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 2868 depositata in data 23 settembre 2002, rigettava l'opposizione. 2.1. - Per quanto qui ancora rileva, in relazione al motivo di opposizione concernente l'applicazione della tabella 3 dell'Allegato 5, avanzata sul presupposto dell'applicabilità, versandosi in fattispecie di acque urbane, della sola tabella 1, ove non compare l'azoto nitroso, il Tribunale riteneva la censura infondata, perché nella specie si trattava di un caso non di acque urbane, ma di fognature in cui sono convogliati anche scarichi di acque reflue industriali, con la conseguenza che i limiti di emissione da prendere in considerazione erano quelli di cui alla tabella 3, non già quelli di cui alla tabella 1. In ogni caso, osservava il Giudice di Brescia, i valori-limite di cui alla tabella 3, riferiti precipuamente alla acque industriali, devono pur sempre essere rispettati in presenza di quella peculiare tipologia di acque urbane costituite dal miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento, a condizione che, in questo secondo caso, si tratti di acque convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato (D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 2, lettera 1,). Inoltre, il Tribunale rilevava che, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo - e, quindi, dello scarico - occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque scaricate: se in esso sono convogliate anche acque industriali, come nel caso di specie, tale deve essere ritenuta anche la natura del refluo. Ed osservava che, per quanto riguarda l'azoto nitroso, vi era perfetta coincidenza tra le previsioni della "legge Merli" e quelle della nuova disciplina: il che rendeva evidente l'obiettiva sussistenza, nella fattispecie concreta, di un fenomeno di aumento dell'inquinamento, atteso che, attraverso il pur unico prelievo effettuato, era stato constatato il superamento dei valori-limite di emissione di sostanze inquinanti, con riferimento al parametro azoto, secondo la disciplina in vigore al tempo della "legge Merli". Anche la nuova disciplina - precisava il primo Giudice - contempla, nella tabella 3 dell'Allegato 5, l'azoto nitroso, sicché risultava soddisfatta la disposizione di salvezza delle disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999, contenuta nell'art. 62, comma 12, ultimo inciso, del medesimo decreto. 2.2. - Quanto alla censura concernente la metodica di campionamento prescelta dagli accertatori, avanzata dalle ricorrenti per sostenere l'inutilizzabilità dei risultati delle analisi ai fini della dimostrazione della sussistenza della violazione, il primo Giudice rilevava che, a seguito del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, l'adozione del campione medio e tornata ad essere, per gli scarichi industriali in acque superficiali e per quelli sul suolo, solamente tendenziale e non tassativa, potendo l'autorità, dandone adeguata motivazione nel verbale di prelievo, effettuare il campionamento su tempi diversi, al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico, qualora lo giusti ficchino particolari esigenze legate alla specificità del singolo accertamento. Nel caso, premesso che in concreto era stato effettuato un campionamento "a metà strada" tra l'istantaneo ed il medio, essendosi prelevate otto aliquote di un litro ciascuna, poi versate in unico recipiente e mescolate tra loro, nell'arco di venti minuti, il Tribunale - considerata la legittimità di una diversa metodica di campionamento, purché finalizzata ad ottenere un campione adeguatamente rappresentativo della scarico - riteneva che la tipologia di scarico in questione (da impianto di depurazione) giustificasse pienamente il ricorso ad una forma di prelievo quale quella attuata, rendendo al tempo stesso superfluo la specificazione, nel verbale, delle ragioni che avevano condotto ad una tale scelta. 3. - Avverso la sentenza del Tribunale di Brescia, con atto notificato il 18 novembre 2002 la Società per azioni ASM Brescia e l'ing. Silvia Carbone hanno interposto ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi di censura, ai quali ha resistito, con controricorso, la Provincia di Brescia. In prossimità dell'udienza le ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo motivo, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 54, comma 4, e dell'Allegato 5, tabelle 1 e 3, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5). Osservano che lo scarico in questione rientra nel regime transitorio di tre anni durante i quali devono essere rispettati, non i limiti di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, bensì quelli individuabili sulla base delle precedenti normative, salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999. Orbene, il Decreto n. 152 del 1999 prevede che gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane, come quello del Comune di Capriano del Colle - località Fenili Belasi, siano tenuti ad osservare valori-limite che riguardano esclusivamente i parametri relativi a COD, BOD5 ed ai solidi sospesi. Nessun valore sarebbe previsto per l'azoto nitroso. Lo si ricaverebbe - assumono le ricorrenti - dalla nota 2 alla stessa tabella 3, la quale prevede che, per quanto riguarda gli scarichi delle acque reflue urbane, valgono i limiti indicati nella tabella 1. I valori-limite che gli scarichi di acque reflue urbane sono tenuti a rispettare riguardano esclusivamente i parametri BOD, COD e solidi sospesi, mentre nessun valore-limite sarebbe previsto per l'azoto nitroso. Poiché tale disposizione, rimasta immutata con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, sarebbe evidentemente più favorevole per il gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane in riferimento all'azoto nitroso, rispetto alla previgente normativa, essa sarebbe applicabile già nel periodo transitorio, rendendo così in radice inconfigurabile l'illecito contestato. Del tutto illogica e contraddittoria sarebbe la motivazione della sentenza impugnata, la dove ritiene applicabile al capo de quo la tabella 3, relativa agli scarichi industriali. Nel caso di specie ci si troverebbe di fronte ad uno scarico di acque reflue urbane, e la presenza di acque industriali non cambierebbe la natura del refluo, D.Lgs. n. 152 del 1999, ex art. 2, lettera i). Quest'ultima disposizione definisce reflue urbane le "acque domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento". Essendo nel caso i valori-limite da rispettare quelli di cui alla tabella 1, la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 152 del 1999, non contenendo valori-limite per l'azoto nitroso negli scarichi di acque reflue urbane, sarebbe più favorevole rispetto a quella prevista dalla "legge Merli". 2. - Il motivo - che pone una questione da scrutinare (in una fattispecie, come l'attuale, di scarico già esistente, in cui è stato contestato l'illecito amministrativo di inosservanza dell'obbligo di adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento) nella prospettiva della clausola di salvezza delle disposizioni più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 152 del 1999, contenuta nell'ultimo periodo dell'art. 62, comma 12, del citato D.Lgs. - è infondato. 2.1. - Al riguardo, occorre rilevare che, con accertamento in fatto assistito da congrua e logica motivazione, e quindi insindacabile in questa sede, il Tribunale ha accertato che nella specie si è al cospetto di fognatura in cui sono convogliate anche acque reflue industriali, essendosi in presenza di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove le acque immesse nella rete provengono da un agglomerato. Muovendo da questa premessa, il Tribunale è giunto alla conclusione che i valori-limite di cui alla tabella 3, riferiti precipuamente alle acque industriali, devono pur sempre essere rispettati allorché ci si trovi di fronte a quella particolare tipologia di acque reflue urbane definite dall'art. 2, comma 1, lettera i), quali "miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento". Il Giudice a quo ha altresì osservato che, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo - e, quindi, dello scarico - occorra fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque di fatto scaricate: se in esso sono convogliate anche "acque industriali", come è sicuramente nel caso di specie, tale dovrà essere anche la natura del refluo. 2.2. - L'interpretazione e l'applicazione delle norme sulla tutela delle acque dall'inquinamento operata dalla sentenza impugnata sfugge alla censura delle ricorrenti. Vero è che, in un caso analogo venuto all'attenzione della il Sezione civile di questa Corte, la sentenza 23 marzo 2006, n. 6566 ha osservato (pagina 7) che quando i reflui siano costituiti da un miscuglio di acque domestiche, di dilavamento e industriali, i valori a cui fare riferimento sono, non quelli della tabella 3, relativa agli scarichi industriali, ma quelli della tabella 1, relativa agli scarichi urbani. Ritiene il Collegio che quest'ultimo indirizzo non sia condivisibile, e debba essere preferita - per le ragioni che si andranno ad esporre - la soluzione alla quale è pervenuta, in un caso similare, la sentenza di questa Sezione 16 maggio 2006, n. 11479, vale a dire che nel caso di scarichi in corpo idrico superficiale di reflui urbani misti - in cui, cioè, siano presenti reflui di natura industriale - è obbligatorio anche il rispetto dei parametri della tabella 3. Infatti, per espressa previsione normativa (D.Lgs. n. 152 del 1999, punto 1.1. dell'Allegato 5, dettata con specifico riferimento alle acque reflue urbane, "nel caso di fognature miste che raccolgono scarichi di insediamenti industriali", "devono essere rispettati (...) i limiti di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni ai sensi dell'art. 28, comma 2", e "l'autorità competente per il controllo deve altresì verificare", con la frequenza minima stabilita, "il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3", precisandosi che "i parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura". In questo contesto, il significato della nota 2) della tabella 3 - là dove si prevede che "per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili, anche quelli di tabella 2", e che "per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L" - è quello, non di esonerare gli scarichi delle fognature miste che raccolgono anche acque reflue industriali dal rispetto dei valori-limite di cui alla tabella 3, ma di dettare una disciplina specificativa, a seconda del parametro interessato del campionamento e del tipo di scarico considerato. Di talché quando tale nota ha riguardo al parametro fosforo e azoto, essa si riferisce esclusivamente alle acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili (per le quali, appunto, dal secondo periodo della nota 2 viene prescritto il rispetto, non dei limiti di tabella 3, ma di quelli, più restrittivi, fissati nella nota stessa), fermo restando che, qualora il campionamento relativo al parametro azoto riguardi, come nel caso di specie, acque reflue urbane contenenti reflui di natura industriale, i limiti di concentrazione di tale parametro rimangono quelli della tabella 3. Viceversa, il riferimento agli scarichi di acque reflue urbane è rivolto ai parametri di BOD, COD e solidi sospesi di cui alla tabella 3: per essi si applicano i valori di concentrazione previsti dalla tabella 1 (o della tabella 2 nel caso di recapito in aree sensibili). Questa interpretazione è confermata dalla giurisprudenza costituzionale. Investita di una questione di legittimità costituzionalità sollevata, in via principale, dalla Provincia autonoma di Trento, avente ad oggetto, in particolare, i valori tabellari che i depuratori pubblici sono tenuti a rispettare "in relazione agli inquinamenti industriali previsti dal paragrafo 1.1. e dalle tabelle 3, 3/A e 5 dell'Allegato 5" - censura prospettata sul rilievo che "la legislazione statale farebbe carico al sistema di depurazione generale anche della depurazione delle sostanze di origine industriale, mentre il sistema di depurazione generale, per sua natura, non sarebbe idoneo a trattare tali sostanze -, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 412 del 2001, ha dichiarato non fondata l'impugnativa, pur implicitamente convalidando la premessa ermeneutica da cui essa muoveva. A tale riguardo, il Giudice delle leggi ha infatti escluso che possa ravvisarsi una manifesta irragionevolezza o una palese arbitrarietà o un contrasto con il principio di buon andamento dell'Amministrazione "nella circostanza che il legislatore nazionale, nell'ottica di un approccio globale al problema della tutela delle acque dall'inquinamento e di una esigenza primaria di migliorare l'ambiente acquatico, anche in conseguenza di scarichi di acque reflue di ogni genere e nell'intento di coinvolgere tutti i soggetti, anche istituzionali, che operano nel settore, abbia previsto una responsabilità correlata a specifici doveri di vigilanza, anche a carico del gestore di impianti di depurazione generale". Nè - contrariamente a quanto assumono le ricorrenti nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell'udienza - è possibile cogliere una disciplina differenziata, per quanto riguarda la Regione Lombardia, nel regolamento 24 marzo 2006, sugli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, emanato in attuazione della L. R. 12 dicembre 2003, n. 26 art. 52, comma 1, lettera a). Anch'esso, infatti, prevede l'obbligo di osservare, "per gli scarichi in acque superficiali di acque reflue urbane nei quali è ammessa la presenza di acque reflue industriali", i valori-limite di cui alla tabella 3. 3. - Il secondo mezzo è rubricato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 4, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in riferimento all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5). Le ricorrenti invocano il principio di diritto espresso nella sentenza n. 3798 del 19 dicembre 2001 - 31 gennaio 2002 delle Sezioni Unite penali: la fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 12, è autonoma rispetto a quella prevista dalla normativa precedente, sicché l'aumento anche temporaneo dell'inquinamento non è sinonimo di scarico oltre i limiti di accettabilità. È necessario, dunque, rifarsi a precedenti misurazioni della portata quantitativa dello scarico oppure ai limiti indicati dall'interessato nella richiesta di autorizzazione, non avendo alcun senso il riferimento al superamento dei limiti tabellari stabiliti per legge, che caratterizzano la fattispecie prevista dalla L. 10 maggio 1976, n. 319 e quella prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 1, ben diversa da quella di cui all'art. 54, comma 4, in relazione all'art. 62, comma 12. Pertanto - deducono le ricorrenti - l'unico prelievo effettuato dalla ASL nel caso in questione nulla può dire in merito ad un ipotetico aumento dell'inquinamento dello scarico del depuratore rispetto al periodo precedente, sicché, anche sotto tale profilo, l'ordinanza- ingiunzione opposta sarebbe illegittima, non essendo fondata su corretti presupposti. 4 - - La censura e fondata. 4.1. - Con riguardo all'illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 4, - che sanziona la condotta dei soggetti che, già titolari alla data di entrata in vigore della nuova normativa dell'autorizzazione allo scarico delle acque, non adottino, entro il periodo di tre anni, "le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento" - l'accertamento in ordine all'eventuale aumento dell'inquinamento va compiuto, in relazione al dato pregresso o di partenza, non già sulla base della presunzione di rispondenza dello scarico ai limiti tabellari previsti dalla legge previgente (L. 10 maggio 1976, n. 319, c.d. "legge Merli"), bensì in forza di una verifica in concreto, tesa ad appurare, sulla scorta di adeguati e significativi elementi, di fatto o documentali, non necessariamente costituiti da un precedente prelievo, la presenza di sostanze inquinanti in concentrazioni inferiori a quelle riscontrate nel prelievo eseguito dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e costituente il secondo termine di paragone (v., in fattispecie identica, Cass. civ., Sez. 2^, 22 marzo 2006, n. 6356, nonché Cass. civ., Sez. 2^, 23 marzo 2006, n. 6566, sulla scia di quanto statuito da Cass. pen., Sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798). Nella specie risulta omesso il concreto raffronto tra la situazione attuale dello scarico, quale accertata dai tecnici che hanno effettuato il campionamento da cui è sorta la contestazione, e quella preesistente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, che il Tribunale ha ritenuto presuntivamente coincidente con i limiti normativi della "legge Merli", senza alcun riferimento ad elementi, di fatto o documentali, di supporto. 5.- Con il terzo motivo (violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, All. 5 e del D.Lgs. n. 258 del 2000, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3 e 5), le ricorrenti rilevano che il campionamento in questione è stato effettuato prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 258 del 2000, laddove, in precedenza, il D.Lgs. n. 152 del 1999, non consentiva alcuna deroga ai tempi di prelievo. In ogni caso, lo scarico in questione non Potrebbe ritenersi uno scarico industriale, essendo uno scarico di acque reflue urbane: per esso il campionamento in tempi ridotti non sarebbe dunque e comunque previsto, dovendo svolgersi nell'arco di ventiquattro ore. Un prelievo come quello di cui alla presente vicenda, riferentesi ad un arco temporale di pochi minuti (senza che nei verbali ci sia alcuna motivazione sul perché si sia reso necessario un campionamento immediato) sarebbe privo di rappresentatività rispetto allo scarico, ed inutilizzabile, da solo, come mezzo probatorio. Affinché siano integrati gli estremi della fattispecie prevista come illecito amministrativo, non sarebbe sufficiente il superamento dei limiti previsti dalle tabelle, ma sarebbe necessario che il superamento degli stessi sia avvenuto in riferimento ad un campione medio prelevato in modo conforme a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999. 6. - Il motivo, con il quale si contesta la regolarità del metodo di prelievo del campione delle acque, è infondato. 6.1. - La materia è disciplinata dall'Allegato 5, il quale - nel testo vigente al momento del fatto - stabiliva che "per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell'arco di 24 ore" e che "i limiti indicati in tabella 3, per le acque reflue industriali, sono riferiti ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore", salva la possibilità per l'autorità preposta al controllo, "al fine di verificare le fasi più significative del ciclo produttivo", di "effettuare il campionamento su tempi più lunghi". In seguito, il D.Lgs. n. 258 del 2000 ha riformulato la previsione normativa con riferimento alle acque reflue industriali, stabilendo che le determinazioni analitiche ai fini del controllo degli scarichi sono "di norma" riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore, me. prevedendo in aggiunta che l'autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze. 6.2. - La giurisprudenza penale di questa Corte ha più volte stabilito che l'inosservanza del metodo di campionamento non è assoggettata ad alcuna sanzione, sicché è lasciata all'autorità amministrativa procedente, ed in ultima istanza al giudice del merito, la valutazione sia della razionalità del metodo adottato, in relazione alle caratteristiche e alle modalità temporali dello scarico, sia della attendibilità delle analisi. Questo perché la norma sul metodo di campionamento ha carattere procedimentale, non sostanziale, sicché non può configurarsi come norma integratrice della fattispecie penale: essa indica il criterio ordinario per il prelevamento, ma non esclude che il giudice possa motivatamente escludere la rappresentatività di un campione che, per qualsiasi causa, non e stato prelevato secondo il criterio ordinario (cfr. Cass. pen., Sez. 3^, 11 dicembre 2002, n. 41487, Cass. pen., Sez.III, 5 agosto 2003, n.32996, nonché Cass. pen.,Sez. 3^, 24 marzo 2004, n. 14425, che hanno superato l'isolato precedente, al quale si richiamano le ricorrenti, rappresentato da Cass. pen., Sez. 3^, 22 agosto 2000, n. 9140). In questo senso è indirizzata anche la giurisprudenza civile di questa Corte. La citata sentenza n. 11479 del 2006 ha osservato: che il D.Lgs. n. 152 del 1999, non prevede alcuna sanzione di inutilizzabilità per l'effettuazione di prelievi in difformità dalle regole sopra enunciate, con ciò implicitamente confermando il principio che l'attività relativa al prelevamento di campioni ha natura amministrativa e che la scelta del metodo più appropriato al caso specifico è rimessa alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione; e che il campionamento ha una funzione meramente strumentale, sicché esso deve non tanto rispondere alle esigenze formali del rispetto delle procedure, quanto provare, sotto il profilo sostanziale, la rappresentatività dello scarico, occorrendo fornire al giudice tutti gli elementi necessari perché egli, nel suo libero convincimento, possa valutare se, a seguito dell'attività amministrativa di controllo e di prelievo, risultino violati i limiti di emissione previsti dalle tabelle allegate al citato decreto legislativo. 6.3. - Ai principi che si sono andati esponendo si è puntualmente adeguato il Tribunale di Brescia, il quale ha osservato che in concreto era stato effettuato un campionamento "a metà strada" tra l'istantaneo ed il medio, essendosi prelevate otto aliquote di un litro ciascuna, poi versate in unico recipiente e mescolate tra loro, nell'arco di venti minuti; e - considerata la legittimità di una diversa metodica di campionamento, purché finalizzata ad ottenere un campione adeguatamente rappresentativo della scarico - ha ritenuto che la tipologia di scarico in questione (da impianto di depurazione) giustificasse pianamente il ricorso ad una forma di prelievo quale quella attuata, rendendo al tempo stesso superfluo la specificazione nel verbale delle ragioni che avevano condotto ad una tale scelta. L'apprezzamento del giudice del merito non solo nulla esistenza di una giustificazione circa la metodica di campionamento attuata in termini derogatori rispetto a quelli normativamente previsti, ma anche sulla rappresentatività del prelievo in considerazione degli elementi di fatto evidenziati dall'organo accertatore, sfugge, in quanto logicamente e congruamente motivato, al sindacato riservato a questa Corte dall'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numero 5), (cfr., in fattispecie analoga, Cass. civ., Sez. 2^, 22 marzo 2006, n. 6356, cit.). 7. - Il quarto ed ultimo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, All. 5 e del D.Lgs. n. 258 del 2000, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, numeri 3) e 5). Premesso che il D.Lgs. n. 152 del 1999, al punto. 1.1. dell'Allegato 5, ammette almeno un campione annuo non conforme, e poiché per lo scarico in questione non risulterebbe esservi analogo precedente per l'anno 2000, il campione prelevato, essendo riferito ad uno scarico di acque reflue urbane, non potrebbe portare alla configurazione della fattispecie contestata. 8. - Il motivo è infondato, giacché la tolleranza del campione annuo non conforme è prevista in relazione ai soli valori-limite indicati nella tabella 1 (e a condizione che detti parametri non superino comunque determinate soglie ritenute particolarmente elevate). Per l'inverso, nel caso di specie la tabella applicabile è la 3 (in termini, sentenza n. 11479 del 2006, cit.). 9. - Il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono rigettati. Il secondo motivo è accolto. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa va rinviata al Tribunale di Brescia, che la deciderà, in persona di diverso magistrato, adeguandosi al principio di diritto sub 4.1. Il Giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso, accoglie il secondo; cassa, in relazione alla censura accolta, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Brescia, in persona di diverso magistrato. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2006. Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2006.