Cass. Sez. III n. 5733 del 10 febbraio 2023 (UP 24 gen 2023)
Pres. Ramacci Est. Semeraro Ric. Galuppini
Acque.Pratica illecita della fertirrigazione

Ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. v), d.lgs. n. 152 del 2006 per effluente di allevamento si intende «le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura».La pratica della «fertirrigazione», che sottrae il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo. Tenuto conto della disciplina, il rilascio di deiezioni animali integra una condotta di fertirrigazione penalmente rilevante ex art. 137, comma 14 d.lgs. n. 152 del 2006 e non l’illecito amministrativo ex art. 133, comma 2 d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce unicamente colui che effettui scarichi di acque reflue provenienti da allevamento di bestiame.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 21 aprile 2022 il Tribunale di Brescia ha condannato Giuseppe Galuppini alla pena di € 1.800 di ammenda per il reato ex art. 137, comma 14, d.lgs. n. 152 del 2006 per avere, in qualità di titolare firmatario dell’impresa individuale Aziende Agricole Galuppini Giuseppe, effettuato l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento al di fuori dei casi e delle procedure previste dalla legge, esercitando un’attività di allevamento suino (in Calvisano, in epoca anteriore e prossima al 13 agosto 2018 ed il 30 agosto 2018).
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione di legge, in relazione agli artt. 137, comma 14, e 74, lett. v), d.lgs. n. 152 del 2006, di insufficienza o di manifesta illogicità della motivazione.
In relazione alla condotta del 13 agosto 2020 la sentenza, dopo aver richiamato la testimonianza di Claudio Cavallari, nuovo proprietario del fondo su cui avvennero gli spargimenti, identificherebbe come unico elemento a carico dell’imputato la circostanza che il ricorrente, alla richiesta di spiegazioni sulla presenza di un trattore della propria azienda agricola che avrebbe effettuato lo sversamento dei liquami, non avesse manifestato particolare sorpresa.
Tuttavia, dalle dichiarazioni emergerebbe che il m.llo Andrea Mirona non sia riuscito a riscontrare né l’esistenza, né il posizionamento, né il funzionamento del trattore. Claudio Cavallari indicò di non aver notato chi ci fosse alla guida del trattore riconoscendo solo che il veicolo fosse tra quelli in uso all’imputato.
Con riferimento all’episodio del 30 agosto 2018, il Tribunale avrebbe fondato la condanna sulla testimonianza di Claudio Cavallari, sostenuta a sua volta dalle prove derivanti dall’attività della polizia giudiziaria, ma avrebbe omesso di effettuare accertamenti tecnici sulla natura delle sostanze scaricate.
La motivazione della sentenza, che si fonda sulla testimonianza di Claudio Cavallari, sarebbe contraddetta da un passaggio della sua testimonianza in cui il teste avrebbe riferito di non aver mai avuto modo di analizzare il liquido che veniva sversato. Claudio Cavallari avrebbe dedotto che si trattasse di liquami sulla base dell’eccessiva presenza di azoto nel terreno. Tuttavia, sul punto, il teste avrebbe dichiarato di non aver mai verificato la presenza di azoto eccessivo ed avrebbe fornito anche una ricostruzione alternativa per cui il grano avrebbe potuto essere allettato anche da agenti atmosferici.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe inidonea a fondare il giudizio di responsabilità, in assenza della prova che le sostanze sparse sul terreno di Claudio Cavallari fossero effluenti di allevamento.
2.2. Con il secondo motivo si deducono i vizi di violazione di legge, in relazione agli artt. 137, comma 14, e 74, lett. p), d.lgs. n. 152 del 2006, e di insufficienza e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza avrebbe erroneamente qualificato le condotte contestate quale fertirrigazione.
Tenuto conto della disciplina in materia, la sentenza avrebbe dovuto verificare se lo scarico di sostanze contestato potesse concretizzare l’illecito amministrativo dello «scarico di acque». Il teste Claudio Cavallari avrebbe, infatti, specificato che lo sversamento sarebbe avvenuto su un campo pronto per il raccolto. Ciò avrebbe dovuto indurre il Tribunale a qualificare la condotta non come fertirrigazione, ma come scarico di acque reflue, tenuto conto che la coltura risultava a fine ciclo e pronta per il raccolto.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen.
Il Tribunale avrebbe applicato una provvisionale immediatamente esecutiva di € 5.000. Dall’analisi della sentenza non risulterebbe raggiunta alcuna prova in relazione alla sussistenza del danno. Sul punto, il Tribunale si sarebbe limitato a riportare le dichiarazioni del teste Claudio Cavallari, da cui non emergerebbe alcun danno, ed avrebbe omesso di motivare in relazione sulle spontanee dichiarazioni rese in forma scritta dall’imputato, con cui si sarebbe lamentato da un lato per il mancato riconoscimento di una quota del mais da lui coltivato e raccolto completamente dai proprietari Cavallari e dall’altro per il mancato pagamento del corrispettivo per l’opera di irrigazione spontaneamente prestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I due motivi possono essere trattati congiuntamente, data la loro stretta connessione, e sono manifestamente infondati.
1.1. Il ricorso prospetta argomenti in fatto ed una alternativa lettura delle fonti di prova.
La condanna dell’imputato si fonda sulla testimonianza della parte civile Claudio Cavallari e sugli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria che hanno confermato tale testimonianza.
1.2. In relazione all’episodio del 13 agosto 2018, il Tribunale ha ritenuto che la prova sia costituita dalla testimonianza della parte civile, che ha fatto esplicito riferimento allo spargimento di acqua mista a letame, da lui direttamente osservato, sui campi di mais di cui era proprietario. Tale spargimento avvenne con un tubo, che, mediante un motore installato su un trattore in uso all’imputato, riversava l’acqua e le deiezioni animali.
1.3. Quanto all’episodio del 30 agosto 2018 la sentenza di merito valorizza, oltre al racconto della persona offesa, anche gli accertamenti compiuti dalla Polizia Giudiziaria, corroborati dai rilievi fotografici a cui fa riferimento la sentenza, che raffiguravano lo scarico di liquami misto ad acqua. Gli agenti di Polizia Giudiziaria avevano seguito a ritroso il tubo che scaricava le deiezioni, giungendo alla vasca di stoccaggio del letame suino presso l’azienda agricola dell’imputato.
1.4. Il mancato svolgimento di analisi del terreno o del materiale sversato - che secondo il ricorrente desterebbe incertezze sull’effettiva natura della sostanza riversata - è irrilevante, poiché la prova è costituita dalle testimonianze e dagli accertamenti della polizia giudiziaria, corredati da rilievi fotografi, che non sono stati contestati dal ricorrente.
1.5. Essendo stato accertato che la sostanza riversata nel campo coltivato a mais di proprietà del sig. Cavallari fosse acqua mista a letame, deve ritenersi corretta la decisione di merito di qualificare il fatto nel reato ex art. 137, comma 14 d.lgs. n. 152 del 2006. La norma punisce infatti «l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento…».
1.6. Ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. v), d.lgs. n. 152 del 2006 per effluente di allevamento si intende «le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura».
Secondo la giurisprudenza, la pratica della «fertirrigazione», che sottrae il deposito delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo (Cfr. Sez. 3, n. 5039 del 17 gennaio 2012, Rv. 251973; Sez. 3, n. 15043 del 22 gennaio 2013, Rv. 255248; Sez. 3, n. 40782 del 06/05/2015, Rv. 264991).
1.7. Tenuto conto della disciplina, il rilascio di deiezioni animali integra una condotta di fertirrigazione penalmente rilevante ex art. 137, comma 14 d.lgs. n. 152 del 2006 e non l’illecito amministrativo ex art. 133, comma 2 d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce unicamente colui che effettui scarichi di acque reflue provenienti da allevamento di bestiame.

2. Il terzo motivo, relativo alla concessione della provvisionale, è inammissibile perché tale punto della decisione non è impugnabile con il ricorso per cassazione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Cfr. da ultimo Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).

3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/01/2023.