TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 2960, del 5 dicembre 2014
Acque.Legittimità diffida per superamento livelli massimi di concentrazione di azoto totale e di BOD5

L’inequivocabile contenuto dell’autorizzazione rende del tutto adeguato l’apparato motivazionale della diffida, poiché dà atto del superamento dei valori indicati, esponendo i presupposti di fatto e di diritto della determinazione gravata, la cui adozione, del resto, si imponeva in modo del tutto consequenziale. L’art. 130 del d.l.vo 2006, n. 152, individua nella diffida ad eliminare le violazioni riscontrate la conseguenza minima dell’accertato superamento dei livelli massimi di concentrazione di sostanze inquinanti, sicché nel caso concreto la misura adottata è quella meno invasiva per l’autore della violazione e tale dato non lascia spazio ad ipotetiche diverse misure meno pregiudizievoli per la ricorrente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02960/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01228/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1228 del 2012, proposto da: 
Sal Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Ravizzoli, Bruno Dell'Acqua, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, piazza Cadorna, 10;

contro

Provincia di Lodi, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, presso lo studio del quale ha eletto domicilio in Milano, via Larga, 23;

nei confronti di

Arpa – Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Lombardia;

per l'annullamento

- della determinazione dirigenziale n. REGDE/301/2012 datata 09.03.2012 con la quale la provincia di Lodi ha diffidato la ricorrente a rispettare la prescrizione contenuta nella determinazione dirigenziale n. REGTA/54/2008 del 25.01.2008 per lo scarico del depuratore di Cavacurta quanto ai parametri “azoto totale” e “BOD5”;

- di ogni atto connesso ed in particolare della presupposta relazione ARPA Lombardia – Dipartimento di Lodi recante l’analisi di prova n. 1335 del 07.06.2011.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Lodi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2014 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La ricorrente impugna gli atti indicati in epigrafe, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

Si costituisce in giudizio la Provincia di Lodi, eccependo l’infondatezza del ricorso avversario, di cui chiede il rigetto.

All’udienza del 15 ottobre 2014 la causa viene trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Sul piano fattuale va osservato che: a) con determinazione dirigenziale n. REGTA/54/2008 del 25.01.2008 la Provincia di Lodi rilasciava a CAP Gestione spa l’autorizzazione allo scarico in corpo idrico superficiale denominato Valentino di Roggia Vecchia delle acque provenienti dall’impianto di trattamento dei reflui a servizio del Comune di Cavacurta; b) in data 31.03.2011, la Provincia di Lodi trasferiva l’autorizzazione allo scarico alla società SAL srl, subentrata nella gestione del depuratore, confermando le prescrizioni già impartite in sede di rilascio; c) in data 07.06.2011, ARPA effettuava il campionamento delle acque reflue conferite da SAL srl e le successive prove di laboratorio conducevano l’amministrazione a ritenere superati i valori limite previsti dall’autorizzazione per il parametro azoto totale e BOD5, sicché le risultanze venivano trasmesse alla Provincia di Lodi; d) con determinazione dirigenziale n. REGDE/301/2012, datata 09.03.2012, la Provincia di Lodi diffidava SAL srl, ai sensi dell’art. 130, comma 1, del d.l.vo 2006 n. 152 a rispettare il limite di 30 milligrammi /litro per il parametro azoto totale e il limite di 25 milligrammi /litro per il parametro BOD5.

Avverso la diffida, l’autorizzazione del 2008 e le risultanze delle indagini tecniche condotte da ARPA, la ricorrente ha proposto l’impugnazione in esame.

2) Sal Srl articola più censure, che possono essere trattate congiuntamente, perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, dirette a contestare la violazione delle garanzie partecipative, anche in termini di mancanza di contraddittorio nello svolgimento degli esami tecnici, nonché il difetto di motivazione e la mancanza dei presupposti di adozione della misura prevista dall’art. 130 del d.l.vo 2006 n. 152 ed, infine, il difetto di proporzionalità e ragionevolezza della misura disposta

Le censure sono infondate e devono essere respinte.

2.1) Palesemente infondata è la censura relativa alla violazione delle garanzie partecipative, proposta a causa dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento, nonché della mancata acquisizione in contraddittorio delle analisi poste a fondamento della diffida gravata.

La ricorrente lamenta che l’avvio del procedimento di contestazione dei parametri previsti per determinati agenti inquinanti non è stato preceduto dalla comunicazione ex art. 7 della legge 1990, n. 241 e tale omissione non è giustificata da ragioni di urgenza.

Al di là del fatto che la diffida rappresenta il primo atto del procedimento di contestazione della violazione, sicché la sua trasmissione integra anche la comunicazione di avvio del procedimento, resta fermo che, a fronte dell’accertata violazione dei livelli massimi di sostanze inquinanti, l’adozione della diffida costituisce la misura minima adottabile, sicché rappresenta una determinazione vincolata e, pertanto, la circostanza che essa non sia stata preceduta da alcun preavviso non può, in ogni caso, determinare l’annullamento dell’atto, ai sensi dell’art. 21 octies della legge 1990 n. 241.

In tal senso l’art. 130 del d.l.vo 2006 n. 152 dispone che ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie, di cui al titolo V della parte terza del decreto stesso, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente.

La semplice lettura della norma conferma che la diffida è il primo atto della procedura di contestazione della violazione dei parametri massimi di sostanze inquinanti, che cumula in sé anche la funzione di portare il destinatario a conoscenza dell’apertura del procedimento; essa, inoltre, è un atto vincolato, in quanto costituisce la misura minima adottabile nelle situazioni di accertata violazione dei livelli di sostanze inquinanti.

Né è ipotizzabile la comunicazione al momento dell’effettuazione del campionamento, sia perché si tratta di un’operazione solo materiale, che non determina necessariamente l’apertura di un procedimento ex art. 130 cit., sia perché si tratta di un atto che l’autorità preposta al controllo può compiere in piena autonomia, nelle circostanze di tempo che ritiene più opportune, salvo poi verificarne la coerenza con il tipo di indagine da compiere e fermo restando che quest’ultimo aspetto non è oggetto di contestazione.

Del resto, la documentazione acquisita in sede processuale evidenzia che il prelievo dei campioni è stato effettuato alla presenza di un addetto al depuratore comunale di Cavacurta, sicché non è dubitabile che questa fase dell’attività tecnica demandata ad ARPA si sia svolta rispettando il contraddittorio tra le parti.

Analoghe considerazioni devono essere svolte rispetto alla fase successiva di analisi dei campioni prelevati, atteso che i verbali di campionamento contengono l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo di effettuazione delle analisi chimiche e tossicologiche, sicché la società ricorrente è stata posta in condizione di partecipare a dette attività.

Ne deriva che anche per il profilo in esame risultano rispettate le garanzie partecipative.

2.2) Del tutto infondata è la censura diretta a contestare, anche in termini di carenza motivazionale, l’insussistenza dei presupposti di adozione della diffida.

Il ricorrente sostiene che l’amministrazione avrebbe accertato il superamento dei livelli massimi di concentrazione di azoto totale e di BOD5 applicando tabelle di calcolo diverse da quelle utilizzabili nel caso concreto.

In particolare, si afferma che l’amministrazione ha impiegato come parametro di riferimento dell’inquinamento ammesso i più rigorosi limiti di accettabilità previsti dalla tabella 3 dell’allegato B del regolamento regionale n. 3 del 24 marzo 2006, anziché quelli stabiliti dalla tabella 2 del medesimo allegato B.

Si tratta di una contestazione smentita per tabulas dalla mera lettura delle prescrizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione allo scarico delle acque provenienti dall’impianto di trattamento dei reflui sito nel Comune di Cavacurta.

Invero, tale provvedimento, al punto 2 delle prescrizioni, impone al gestore dell’impianto di rispettare i “limiti di accettabilità previsti dalla tabella 2 dell’allegato B” del regolamento regionale n. 3/2006, “ed entro il 24.03.2009 il rispetto dei limiti di accettabilità previsti dalla tabella 3 dell’allegato B” del medesimo regolamento.

Siccome le analisi sono state effettuate il 7 giugno 2011, è evidente che l’amministrazione ha legittimamente preso in considerazione i più rigorosi limiti previsti dalla tabella 3, poiché tale tabella rappresenta dal 24 marzo 2009 il parametro di riferimento per la determinazione dei livelli massimi di inquinamento accettati per le acque provenienti dall’impianto di Cavacurta.

Sotto altro profilo, l’inequivocabile contenuto dell’autorizzazione rende del tutto adeguato l’apparato motivazionale della diffida, poiché dà atto del superamento dei valori indicati nella tabella 3 (e il dato non è in contestazione), esponendo i presupposti di fatto e di diritto della determinazione gravata, la cui adozione, del resto, si imponeva in modo del tutto consequenziale.

Parte ricorrente adombra, anche in termini di eccesso di potere – peraltro non configurabile a fronte di attività vincolata e da riqualificare in termini di travisamento del fatto presupposto della consequenziale diffida – che il campionamento sarebbe stato eseguito in circostanze ambientali anomale, perché durante le operazioni “scendeva un copioso acquazzone”.

Si tratta di un’allegazione meramente suggestiva, perché è di comune esperienza che il verificarsi di un acquazzone costituisce un evento meteorologico tutt’altro che eccezionale; del resto, i ricorrenti non hanno provato, neppure a livello indiziario, che tale accadimento abbia, in qualche modo, influito sulle risultanze dell’accertamento chimico e tossicologico.

Del pari, non è causa di illegittimità il fatto che tra l’acquisizione della verifica ARPA e l’adozione della diffida sia decorso un termine maggiore di quello procedimentale.

Il ricorrente sviluppa la censura in termini di difetto di interesse pubblico alla adozione della diffida medesima.

Ora, fermo restando che il superamento del termine procedimentale, pure lamentato dalla ricorrente, non integra un profilo di illegittimità dell’atto impugnato, perché non si tratta di un termine perentorio, va evidenziato che il decorso di circa sei mesi tra l’acquisizione degli esiti dell’accertamento e l’adozione dell’atto impugnato non incide su alcuna posizione di affidamento tutelabile, atteso che, a fronte del dato oggettivo dell’inquinamento, non superato dalle deduzioni difensive, è evidente la permanenza e la prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’equilibrio ambientale.

Del tutto infondata è anche la doglianza di difetto di proporzionalità.

Si è già evidenziato che l’art. 130 del d.l.vo 2006, n. 152, individua nella diffida ad eliminare le violazioni riscontrate la conseguenza minima dell’accertato superamento dei livelli massimi di concentrazione di sostanze inquinanti, sicché nel caso concreto la misura adottata è quella meno invasiva per l’autore della violazione e tale dato non lascia spazio ad ipotetiche diverse misure meno pregiudizievoli per la ricorrente.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure proposte.

3) In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese della lite in favore della Provincia di Lodi, liquidandole in Euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Mauro Gatti, Primo Referendario

Fabrizio Fornataro, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/12/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)