TAR Lombardia (BS), Sez. I, n. 419, del 21 marzo 2015
Acque.Rinnovo autorizzazione scarico di acque reflue industriali nel canale a monte dei pozzi di captazione dell’acqua minerale

Anche se il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico, nonostante l’inidoneità del parere della ASL, sia basato su elementi adeguati, quali la protezione assicurata all’acquifero dall’ampio strato di argilla soprastante e la fissazione di limiti rigorosi agli inquinanti per i giorni di asciutta, l’elemento che appare invece insufficiente è la frequenza solo annuale delle analisi. Si tratta di una cautela del tutto insufficiente, se si considera che un livello di sicurezza equivalente allo spostamento dello scarico è ottenibile solo attraverso una gestione attiva delle criticità, di cui il monitoraggio, con veloce acquisizione degli risultati da parte dell’amministrazione, rappresenta il cardine. Qualora dai controlli sullo scarico, o da altre indagini sul fondo del canale o sulle aree vicine, emergesse un peggioramento della situazione, con segnali di propagazione dell’inquinamento verso l’acquifero, sarebbe necessario prendere in esame anche altre opzioni, quali lo spostamento dello scarico o l’impermeabilizzazione del fondo del canale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00419/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01024/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1024 del 2013, proposto da: 
FONTI PREALPI SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Francesca Bazoli e Pierpaolo Camadini, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, contrada Soncin Rotto 6; 

contro

PROVINCIA DI BERGAMO, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Vavassori, Bortolo Pasinelli e Katia Nava, con domicilio eletto presso l’avv. Enrico Codignola in Brescia, via Romanino 16; 

nei confronti di

LINIFICIO E CANAPIFICIO NAZIONALE SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Danilo Giovanni Daniel e Francesco Noschese, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via Spalto San Marco 1/A; 

per l'annullamento

- della determinazione del dirigente del Servizio Tutela delle Acque n. 1894 del 12 settembre 2013, che ha rinnovato l’autorizzazione alla ditta Linificio e Canapificio Nazionale srl a scaricare le acque reflue industriali nel canale “Legler”;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bergamo e di Linificio e Canapificio Nazionale srl;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il dott. Mauro Pedron;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1. La società ricorrente Fonti Prealpi srl, che svolge attività di sfruttamento di sorgenti di acque minerali con successivo imbottigliamento e vendita al dettaglio e all’ingrosso dell’acqua estratta, ha ottenuto dalla Provincia di Bergamo (con determinazione del Servizio Risorse Minerali e Termali n. 343 del 7 febbraio 2005) il rinnovo trentennale (dal 16 dicembre 2004) della concessione mineraria denominata “Monte dei Giubilini”.

2. L’area data in concessione si trova nel Comune di Villa d’Almè, e comprende le captazioni denominate “Fonte Prealpi” (pozzo Prealpi) e “Sorgente Orobica” (pozzo Orobica). Dalla scheda tecnica si possono ricavare i seguenti dati:

(i) il pozzo Prealpi ha una profondità di 115 metri, con colonna in acciaio inox, cementazione per i primi 60 metri, e filtri tra 90 e 108 metri dal piano di campagna. L’acquifero si sviluppa al contatto tra il substrato roccioso torbiditico e un livello ghiaioso-conglomeratico, tamponato a tetto da una successione di argille grigie attribuite a depositi marini neogenici;

(ii) il pozzo Orobica ha una profondità di 103 metri, con colonna in acciaio inox, cementazione per i primi 18,5 metri, tamponamento con argilla fino a 84 metri dal piano di campagna, e filtri tra 88 e 97 metri dal piano di campagna. L’acquifero si sviluppa al contatto tra il substrato roccioso torbiditico e un livello ghiaioso parzialmente cementato, tamponato a tetto da una successione di argille neogeniche piuttosto compresse;

(iii) per entrambi i pozzi l’area di protezione idrogeologica è stata fissata in un raggio di 200 metri attorno al pozzo, estendendo in via analogica la disciplina dei pozzi a uso potabile, in mancanza di una regolamentazione specifica (all’epoca) per le acque minerali e termali. L’area di protezione è stata recepita dal Comune di Villa d’Almè nello strumento urbanistico come zona di rispetto (per i criteri tecnici seguiti a livello locale v. DGR 27 giugno 1996 n. 6/15137, e DGR 10 aprile 2003 n. 7/12693).

3. In data 19 dicembre 2012 la ricorrente, mediante atto di fusione, ha incorporato Ghiaie Idroenergia srl, società che gestiva l’impianto idroelettrico originante il canale di scarico denominato “Legler”. Quest’ultimo passa a breve distanza (pochi metri) dai pozzi di captazione dell’acqua minerale e confluisce poi nel fiume Brembo.

4. La ditta controinteressata, Linificio e Canapificio Nazionale srl, ha chiesto in data 21 maggio 2013 il rinnovo dell’autorizzazione ex art. 125 del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152 per lo scarico di acque reflue industriali nel canale Legler a monte dei pozzi. La controinteressata svolge attività di produzione di filati di lino e canapa, e oltre alle acque reflue del proprio stabilimento depura e rilascia nel suddetto canale anche quelle provenienti dalla ditta Dyeberg spa, che si occupa di tintoria e fissaggio di filati naturali e sintetici per conto terzi.

5. Per lo scarico nel canale Legler la controinteressata aveva sottoscritto un accordo con il vecchio gestore Ghiaie Idroenergia srl mediante atto notarile del 21 dicembre 2010. In base a tale accordo, la controinteressata costituiva alcune servitù a carico della sua proprietà, e Ghiaie Idroenergia srl, in qualità di proprietaria degli immobili della centrale idroelettrica e di porzioni del canale Legler e delle aree adiacenti, si impegnava (i) a dare preavviso alla controinteressata delle eventuali interruzioni del flusso di acqua nel canale, (ii) a contenere i periodi di asciutta entro i due giorni, e (iii) a garantire comunque un deflusso minimo pari a 2 mc/secondo “al fine di consentire la regolare diluizione delle acque di scarico del depuratore del complesso industriale nel medesimo canale industriale”.

6. Essendo subentrata nella posizione di gestore dell’impianto idroelettrico (e avendo contestualmente acquisito parte della proprietà del canale Legler), la ricorrente ha partecipato al procedimento relativo al rinnovo dell’autorizzazione allo scarico.

7. Sulla domanda di rinnovo la ASL di Bergamo si è espressa favorevolmente con parere del responsabile dell’Ufficio Sanità Pubblica del 14 giugno 2013. Peraltro, il suddetto parere fa riferimento a un diverso canale, anche questo situato nelle vicinanze dei pozzi di captazione, nel quale sono posizionati gli sfioratori della fognatura comunale. Trattandosi di un canale in origine collegato all’impianto idroelettrico, ma ormai impaludato dopo che Ghiaie Idroenergia srl lo aveva separato nel 2011, la ASL prescrive che sia concordato il rilascio di una quota di acqua costante per evitare il ristagno e le conseguenti molestie.

8. Nonostante l’opposizione della ricorrente, che in una nota del 4 luglio 2013 aveva evidenziato come il principale punto di scarico della controinteressata si trovi all’interno dell’area di protezione idrogeologica dei pozzi di captazione (lo scarico di emergenza è invece all’esterno), la Provincia ha rinnovato l’autorizzazione con determinazione del dirigente del Servizio Tutela delle Acque n. 1894 del 12 settembre 2013. Il provvedimento autorizzatorio pone una serie di prescrizioni cautelative, tra cui le seguenti:

(i) lo scarico nel canale Legler deve rispettare i limiti previsti dalla tabella 3 dell’allegato 5 alla parte III del Dlgs. 152/2006 (Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura - Scarico in acque superficiali);

(ii) durante i due giorni di asciutta concordati con la proprietà del canale nell’accordo del 21 dicembre 2010 lo scarico non può essere attivato;

(iii) se l’asciutta si prolunga eccezionalmente oltre i due giorni, lo scarico deve rispettare i limiti previsti dalla tabella 4 dell’allegato 5 alla parte III del Dlgs. 152/2006 (Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo). È comunque vietata in modo assoluto la presenza di alcuni inquinanti (composti organoalogenati, composti organofosforici, composti organostannici, mercurio, cadmio, idrocarburi, cianuri);

(iv) una volta all’anno deve essere effettuata un’analisi dello scarico per la ricerca di alcuni parametri che danno la misura dell’inquinamento presente (COD, BOD5, PH, solidi sospesi totali, tensioattivi, rame, zinco, mercurio, piombo, cromo totale, nichel);

(v) le analisi delle acque in entrata e in uscita dal depuratore biologico devono essere comunicate alla Provincia ogni tre mesi;

(vi) deve essere data tempestiva comunicazione alla Provincia dell’eventuale attivazione dello scarico di emergenza.

9. In seguito alle reiterate osservazioni critiche della ricorrente, la Provincia ha replicato con una nota del dirigente del Settore Tutela Risorse Naturali del 13 novembre 2013, nella quale vengono esposti quattro argomenti:

(i) la recente disciplina di maggiore tutela per le acque minerali (v. Dlgs. 8 ottobre 2011 n. 176) non potrebbe essere applicata al caso in esame, in quanto la concessione a favore della ricorrente è anteriore alla modifica normativa;

(ii) ai pozzi di captazione di acque minerali non sarebbero comunque applicabili le disposizioni dell’art. 94 comma 1 del Dlgs. 152/2006, riguardanti le acque destinate al consumo umano erogate mediante acquedotti pubblici, ma quelle del comma 2, riguardanti gli approvvigionamenti diversi, le quali attribuiscono all’amministrazione il potere di individuare caso per caso forme adeguate di tutela;

(iii) in concreto, come evidenziato nella relazione tecnica acquisita dalla Provincia ai fini del rilascio della concessione mineraria, gli acquiferi dei pozzi della ricorrente non sono esposti a rischi immediati, in quanto protetti da uno strato argilloso consolidato spesso 70 metri, che è in grado di impedire il passaggio dell’acqua di infiltrazione per tempi lunghi, nell’ordine di decine di anni;

(iv) il divieto di dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati, all’interno della zona di rispetto, previsto dall’art. 94 comma 4-a del Dlgs. 152/2006, dovrebbe essere riferito all’impiego diretto delle acque reflue disciplinato dal DM 12 giugno 2003 n. 185 per usi irrigui, civili o industriali.

10. Nel frattempo la Provincia, con determinazione del dirigente del Servizio Tutela delle Acque n. 2323 del 25 ottobre 2013, ha rinnovato nei confronti della ditta Dyeberg spa l’autorizzazione allo scarico nel canale Legler delle acque reflue meteoriche. Tale provvedimento rimane peraltro estraneo al presente giudizio, essendo stato impugnato con il ricorso n. 78/2014.

11. Contro l’autorizzazione rilasciata alla controinteressata la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 15 novembre 2013 e depositato il 25 novembre 2013. Le censure possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione dell’art. 7 comma 1-a del Dlgs. 176/2011 e dell’art. 94 comma 4-a del Dlgs. 152/2006, in quanto lo scarico nel canale Legler dovrebbe essere equiparato alla dispersione di acque reflue industriali in zona di rispetto; (ii) travisamento e insufficiente motivazione, come dimostrato dal parere della ASL del 14 giugno 2013, che parla di un altro canale, e dallo squilibrio tra i rischi di inquinamento descritti nell’autorizzazione e le prescrizioni cautelative, che non prendono neppure in considerazione l’ipotesi di trasferire lo scarico a valle dei pozzi di captazione o direttamente nel fiume Brembo.

12. La Provincia e la controinteressata si sono costituite in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

13. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) l’accordo del 21 dicembre 2010 (v. art. 4) tra la dante causa della ricorrente e la controinteressata, pur non essendo qualificato dalle parti come servitù di scarico dei reflui industriali nel canale, ha sostanzialmente il medesimo contenuto di una servitù, in quanto il gestore dell’impianto idroelettrico, proprietario di una porzione del canale che costituisce il fondo servente, accetta che lo scarico sia effettuato e si riserva alcuni diritti potestativi a tutela del buon funzionamento della propria attività;

(b) la presenza della servitù contrattuale non ha però carattere dirimente. I due interessi che trovano composizione nell’accordo sono infatti quello industriale della controinteressata e quello idroelettrico, ora passato alla ricorrente;

(c) il contenuto della servitù non si estende ad altri profili, e tantomeno coinvolge interessi che non erano all’epoca nella disponibilità della dante causa della ricorrente, come quello relativo alla captazione dai pozzi situati nella medesima zona. La concentrazione dell’interesse idroelettrico nel patrimonio della ricorrente è del tutto estrinseca e casuale rispetto allo schema della servitù concordato dalle parti originarie, e non determina alcuna restrizione alla tutela dei diritti derivanti dalla concessione mineraria;

(d) le pretese del proprietario del fondo dominante trovano poi un limite di natura pubblica: la servitù di scarico di reflui non può ottenere alcuna protezione dall’ordinamento se implica una soggezione a subire effetti inquinanti superiori alla soglia di ammissibilità fissata ex lege. La tutela della salute e dell’ambiente prevale anche rispetto agli atti di disposizione dei privati, essendo finalizzata a salvaguardare interessi collettivi di livello sovraordinato;

(e) correttamente, quindi, la Provincia ha precisato che la servitù di scarico non può essere esercitata nei primi due giorni di asciutta, e che se l’asciutta si prolunga devono essere rispettati non i limiti per lo scarico in acque superficiali (v. tabella 3 dell’allegato 5 alla parte III del Dlgs. 152/2006) ma quelli più severi previsti per le acque reflue urbane e industriali recapitate nel suolo (v. tabella 4 dell’allegato 5 alla parte III del Dlgs. 152/2006);

(f) quando gli atti amministrativi autorizzano attività prolungate nel tempo, il rinvio ai limiti di inquinamento è sempre dinamico. Devono quindi essere applicate le norme sopravvenute, anche se più restrittive, salva la possibilità di ottenere un ragionevole termine per l’adeguamento degli impianti;

(g) questo vale certamente per le attività inquinanti, ma anche per le attività che producono beni esposti all’inquinamento. Queste ultime devono quindi fare in modo che i beni immessi sul mercato soddisfino il più elevato livello di tutela previsto dalle nuove norme, anche in questo caso con un ragionevole termine di adeguamento. Se le attività inquinanti sono esercitate da soggetti terzi, i produttori di beni esposti all’inquinamento possono chiedere che tali soggetti adeguino la loro attività alle nuove norme;

(h) in questa prospettiva, il richiamo fatto dalla ricorrente alla disciplina sopravvenuta dell’art. 7 comma 1-a del Dlgs. 176/2011 appare corretto. Tale norma equipara formalmente la protezione delle acque minerali contro l’inquinamento a quella del resto delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano. Questo implica la facoltà per la ricorrente di chiedere l’applicazione dell’art. 94 del Dlgs. 152/2006 nei confronti della controinteressata. Non rileva che quest’ultima quando utilizza il canale della ricorrente sia già tenuta a rispettare la disciplina ex art. 105 del Dlgs. 152/2006 sugli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, in quanto la tutela delle acque destinate al consumo umano è aggiuntiva e non alternativa. Del resto, se lo scarico nel canale può avvenire anche nei giorni di asciutta, non vi è differenza sostanziale tra questa operazione e le attività vietate nella zona di rispetto ex art. 94 comma 4 del Dlgs. 152/2006;

(i) tuttavia, proprio perché normalmente lo scarico avviene nel corpo idrico, che è in grado di diluire e trasportare rapidamente gli inquinanti verso il fiume, non è possibile stabilire una piena corrispondenza con la dispersione delle acque reflue vietata dalla predetta norma. Il punto di equilibrio non è definito dal legislatore e deve quindi essere individuato caso per caso dall’amministrazione ai sensi dell’art. 94 comma 2 del Dlgs. 152/2006. In proposito occorre fare una precisazione. Il rinvio contenuto nell’art. 7 comma 1-a del Dlgs. 176/2011 è rivolto evidentemente all’intera disciplina dell’art. 94 del Dlgs. 152/2006 (zona di tutela assoluta, zona di rispetto, divieti), mentre la possibilità di deroga contenuta nel comma 2 di quest’ultima norma si riferisce ad approvvigionamenti diversi da quelli ottenuti con gli acquedotti pubblici. Coordinando tutte queste disposizioni, si può ritenere che i pozzi di captazione dell’acqua minerale vadano tutelati come gli acquedotti pubblici, salva la possibilità per l’amministrazione di individuare altre soluzioni, meno penalizzanti per gli interessati, quando si possa raggiungere e mantenere un livello di sicurezza equivalente;

(j) nello specifico, sembra che il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico, nonostante l’inidoneità del parere della ASL, sia basato su elementi adeguati, quali la protezione assicurata all’acquifero dall’ampio strato di argilla soprastante e la fissazione di limiti rigorosi agli inquinanti per i giorni di asciutta;

(k) l’elemento che appare invece insufficiente è la frequenza solo annuale delle analisi. Si tratta di una cautela del tutto insufficiente, se si considera che un livello di sicurezza equivalente allo spostamento dello scarico è ottenibile solo attraverso una gestione attiva delle criticità, di cui il monitoraggio (con veloce acquisizione degli risultati da parte dell’amministrazione) rappresenta il cardine. In effetti, qualora dai controlli sullo scarico, o da altre indagini sul fondo del canale o sulle aree vicine, emergesse un peggioramento della situazione, con segnali di propagazione dell’inquinamento verso l’acquifero, sarebbe necessario prendere in esame anche altre opzioni, quali lo spostamento dello scarico o l’impermeabilizzazione del fondo del canale.

14. In conclusione, il ricorso deve essere parzialmente accolto, nel senso che viene annullata la sola prescrizione che prevede una frequenza annuale per le analisi. L’effetto conformativo derivante da tale pronuncia vincola l’amministrazione a rimodulare questa parte dell’autorizzazione fissando intervalli di verifica meno ampi (non superiori a tre mesi) e modalità rapide di acquisizione dei risultati delle analisi.

15. La complessità di alcune questioni consente la compensazione integrale delle spese di giudizio.

16. Il contributo unificato è a carico della Provincia ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando:

(a) accoglie parzialmente il ricorso, come precisato in motivazione;

(b) compensa integralmente le spese di giudizio;

(c) pone il contributo unificato a carico della Provincia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)