Cass. Sez. III n. 19714 del 22 maggio 2007 (Ud. 4 apr. 2007)
Pres. Papa Est. Franco Ric. Ruberto
Beni culturali. Impossessamento

Poiché gli oggetti di interesse artistico, storico o archeologico sono di proprietà dello Stato sin dalla loro scoperta, il loro impossessamento, sia che provenga da scavo sia da rinvenimento fortuito è previsto dalla legge come reato e dunque il loro possesso si deve ritenere illegittimo a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 04/04/2007
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere - N. 1048
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 28869/2006
ha pronunciato la seguente:

 

 

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RUBERTO A.
avverso la sentenza emessa il 10 aprile 2006 dalla corte d\'appello di Lecce;
udita nella pubblica udienza del 4 aprile 2007 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCO Amedeo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIAMPOLI Luigi che ha concluso per l\'annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste in quanto manca la prova dell\'interesse archeologico della cosa;
udito il difensore Avv. CAMASSA Giancarlo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17 maggio 2004 il giudice del tribunale di Brindisi dichiarò RUBERTO A. colpevole dei reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, artt. 88 e 125, per essersi impossessato ed aver detenuto senza farne denunzia di un bene di interesse archeologico dello Stato, ed in particolare di un\'anfora romana e di quattro frammenti di colli anforati di epoca romana, e lo condannò alla pena di mesi tre di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, mentre, poiché era stato accertato che si trattava di beni rinvenuti dall\'imputato, dei quali egli si era impossessato, lo assolse perché il fatto non sussiste dal contestato reato di ricettazione.
La corte d\'appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado.
L\'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha respinto la tesi difensiva secondo cui i beni in questione non erano stati rinvenuti dall\'imputato, ma si trattava di beni già appartenenti alla nonna della moglie del RUBERTO, che li aveva ricevuti in eredità;
2) erronea applicazione della legge penale perché con l\'entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, è stato eliminato il reato di omessa denuncia, da parte del detentore, di beni di interesse archeologico, la quale ora costituisce un mero illecito amministrativo. Il D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 126, infatti, continua a sanzionare penalmente l\'omessa denuncia solo a carico dello scopritore della res e non anche del mero detentore.

MOTIVI DELLA DECISIONE


In ordine alla eccezione sollevata in udienza dal Procuratore generale, si osserva che l\'accertamento da parte del giudice di primo grado della natura di beni di interesse storico ed archeologico dei beni sequestrati, costituisce questione di fatto ormai passata in giudicato, non essendo stata sul punto sollevata alcuna eccezione dall\'imputato con i motivi di appello. In ogni modo, l\'accertamento compiuto in proposito dal primo giudice è ineccepibile, in quanto la detta natura è stata accertata sulla base della valutazione compiuta dalla direttrice del museo archeologico di Brindisi. E, ai fini della configurabilità del reato di impossessamento di beni archeologici o artistici, sanzionato dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 125, l\'interesse culturale del bene può risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai competenti organi della pubblica amministrazione, senza necessità di apposita indagine tecnico- peritale (Sez. 3, 6.11.2001, n. 42291, Licciardello). Il primo motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità. I giudici del merito, invero, hanno fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali hanno ritenuto non attendibili le dichiarazioni dei testi DE LUCA e SVANISCI (cognato e suocero dell\'imputato), in considerazione non solo delle incertezze dimostrate nella descrizione dei reperti, ma soprattutto del momento della loro acquisizione da parte dell\'imputato, ed hanno invece accertato che i beni erano stati rinvenuti dall\'imputato, il quale poi se ne era impossessato, e tale accertamento di fatto, scevro da vizi logici, non può essere sostituito in questa fase processuale da una diversa ricostruzione dei fatti più conforme alle aspettative della difesa.
Il secondo motivo - con il quale si insiste sulla tesi che il reato di omessa denuncia della detenzione della res da parte del mero detentore, che non ne sia anche lo scopritore, già previsto dalla L. n. 1089 del 1939, art. 48 e 68, è stato abrogato dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - è in realtà generico, perché riproduce la medesima censura contenuta nell\'atto di appello senza tenere alcun conto delle argomentazioni svolte dalla corte d\'appello, ed è comunque inconferente.
Ed infatti, è vero che, a seguito dell\'entrata in vigore del T.U. delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali approvato con D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, non sussiste più l\'obbligo di denuncia penalmente sanzionato a carico del mero detentore di un bene culturale protetto, già oggetto di scoperta fortuita, in quanto il D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 87, circoscrive l\'ambito soggettivo del reato di omessa denuncia allo scopritore (Sez. 3, 11.6.2001, n. 27677, Fusaro, m. 219628).
Senonché il ricorrente non considera che egli è stato accusato e condannato non già per il reato di cui agli ormai abrogati della L. n. 1089 del 1939, art. 48 e 68, ossia per il fatto di avere omesso di denunziare le cose in questione, bensì per il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 88 e 125, (ora trasfusi nel D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 91 e 176, Codice dei beni culturali e del paesaggio), ossia per il diverso fatto di essersi illecitamente impossessato di beni di interesse archeologico, e quindi appartenenti allo Stato, che il giudice di primo grado ha motivatamente ritenuto essere stati da lui rinvenuti (tanto che, per questo motivo, lo ha assolto dal reato di ricettazione).
Ed anche a non voler considerare quest\'ultimo accertamento di fatto, ineccepibilmente la corte d\'appello ha osservato che, poiché gli oggetti di interesse artistico, storico o archeologico sono di proprietà dello Stato sin dalla loro scoperta, il loro impossessamento, sia che provenga da scavo sia da rinvenimento fortuito è previsto dalla legge come reato e dunque il loro possesso si deve ritenere illegittimo a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati (cfr. Sez. 4, 1.2.2005, n. 12618, Mirabella, m. 231255).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Sede della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2007