Gli obblighi dell'operatore ed i poteri ministeriali in tema di danno ambientale
di Daniele ESIBINI
Il titolo II della parte sesta del T.U., detta norme in tema di misure di prevenzione e ripristino ambientale. In tale ambito è da precisare il rapporto tra le misure preventive e di ripristino con il risarcimento del danno ambientale in forma specifica di cui al titolo III. Infatti, secondo il disposto dell’art. 311 T.U. al risarcimento del danno ambientale è tenuto “chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo, o distruggendolo in tutto o in parte…”; le attività di prevenzione e ripristino prevedono quale unico soggetto obbligato il cosiddetto “operatore” e cioè “…qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività , compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere tale attività…” . L’art. 302, comma V, interviene definendo la “attività professionale” come “qualsiasi azione, mediante la quale si perseguono o meno fini di lucro, svolta nel corso di un’attività economica, industriale, commerciale, artigianale, agricola, e di prestazione di servizi, pubblica o privata”.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2402/1998, aveva stabilito che, mentre il risarcimento in forma generica si estrinseca nella valutazione della differenza tra il valore del bene nello stato in cui si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito e il valore del bene leso, il risarcimento in forma specifica consiste sia nella pretesa che il danneggiante provveda al ripristino della situazione materiale, sia nella domanda di una somma di denaro corrispondente alle spese necessarie per tale ripristino. In tal senso, nonostante che le definizioni di ripristino e risarcimento in forma specifica possono coincidere, il T.U. presenta delle differenze tra queste due modalità di intervento. Innanzitutto, solo l’operatore è tenuto a dare avvio all’azione di prevenzione, mentre nessun obbligo è previsto a carico del soggetto che, seppur responsabile di un danno ambientale, non possa essere qualificato come tale.
Inoltre, solo l’operatore è tenuto immediatamente al ripristino allorché si sia verificata una lesione al bene ambiente, mentre nel caso di danno cagionato da un soggetto diverso dall’operatore, l’obbligo di attivarsi deriva solo dall’emissione dell’ordinanza ministeriale. Da ciò consegue che, per il soggetto non qualificabile come operatore, l’obbligo sorge solo a seguito dell’emissione dell’ordinanza ministeriale che dovrà avvenire nel rispetto delle norme procedimentali . La differenza più rilevante risiede nel fatto che l’imposizione al ripristino posto a carico dell’operatore, non soggiace al limite della eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 c.c., previsto invece dall’art. 313, comma II per il risarcimento in forma specifica. Pertanto tale soggetto deve sopportare integralmente il costo del ripristino, salva la materiale impossibilità di effettuare lo stesso .
L’aspetto principalmente caratterizzante il T.U., rispetto al sistema delineatosi con la Legge 349/86, è la particolare attenzione rivolta all’attività di prevenzione. Se, infatti, l’art. 18 non menziona strumenti di tutela giurisdizionale preventiva dell’ambiente, essendo la sua disciplina incentrata sui rimedi risarcitori e ripristinatori del danno già avvenuto, con il nuovo Codice viene percepita dal legislatore la necessità di andare a limitare alla fonte la probabilità che si verifichino danni all’ambiente. Inoltre, non va dimenticato che il T.U. è adottato in attuazione della normativa comunitaria, tanto affezionata ai principi di prevenzione e precauzione. A dimostrazione di ciò, lo stesso Decreto dedica due articoli ai principi summenzionati .
Il concetto di prevenzione del danno ambientale assume rilievo di prim’ordine, poiché stabilisce delle misure specifiche anche in caso di pericolo imminente di danno ambientale, obbligando l’operatore ad adottare tutte le misure del caso. Le misure di prevenzione sono quelle prese per reagire ad un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno. Ai sensi dell’art. 304, comma I, l’operatore è tenuto a valutare anche la minaccia imminente al fine di attuare, entro le prime ventiquattro ore, a spese proprie, tutte le misure di prevenzione necessarie volte a prevenire il verificarsi dell’evento. Tale termine così esiguo, è un ulteriore indicatore della volontà del legislatore di cercare di prevenire determinati eventi dannosi, considerando sicuramente la prevenzione una misura meno onerosa da sopportare.
L’operatore però, prima di intraprendere qualsiasi azione, ha l’obbligo di informare le competenti autorità indicate dal II comma dell’art. 304, circa tutti gli aspetti pertinenti la situazione, ed in particolare le sue generalità, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte, la descrizione degli interventi da eseguire. Tale comunicazione costituisce titolo per eseguire i lavori. Inoltre, la Pubblica Amministrazione potrà ordinare all’operatore di adottare specifiche misure tramite ordinanza contingibile ed urgente, quale provvedimento di natura cautelare. Dalla lettura dell’art. 304 si desume che, in caso di inerzia dell’obbligato il Ministro ha la facoltà, e non l’obbligo, di attuare le misure di prevenzione. Analoga previsione è contenuta con riferimento all’ipotesi delle misure di ripristino . La norma, però, si differenzia dalla disciplina prevista in tema bonifica dei siti inquinati , secondo cui se il responsabile non sia individuabile o non provveda, e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari sono adottati dall’amministrazione competente.
Probabilmente questo differente regime legislativo è dovuto al fatto che mentre il procedimento di ripristino è collegato al verificarsi del danno ambientale, non altrettanto può essere detto per il presupposto dell’azione di prevenzione, individuato nella minaccia imminente di danno ambientale, intendendo con ciò il rischio sufficientemente probabile che stia per verificarsi uno specifico danno ambientale . Sulla base di regole interpretative, fornite dalla Commissione CE, e dalla Corte di Giustizia sull’applicazione del principio di precauzione, è emerso come i presupposti dell’azione di prevenzione ricorrano intorno ad una rigorosa applicazione del concetto di minaccia imminente, nel senso che il rischio sufficientemente probabile del verificarsi di uno specifico danno ambientale comporta una puntuale valutazione dei rischi fondati sulle conoscenze scientifiche a disposizione e non su mere supposizioni .
Nell’adozione delle misure di prevenzione deve essere rispettato un altro principio di provenienza comunitaria, quello della proporzionalità, che comporta l’adeguato bilanciamento tra la protezione della salute e dell’ambiente con le esigenze della produzione. Le misure, secondo il principio di coerenza, devono poi essere di portata e natura comparabili a quelle già adottate in aree equivalenti, nelle quali tutti i dati scientifici sono disponibili.
L’operatore è il primo responsabile oltre che per le misure preventive anche per il ripristino stato dei luoghi; a lui, il T.U. fa costante riferimento per l’esecuzione del risarcimento in forma specifica. L’art. 302, comma 9, enuncia la nozione di ripristino disponendo che con tale termine, anche in senso naturale, s’intende:
a. nel caso delle acque, delle specie e degli habitat protetti, il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie;
b. nel caso di danno al terreno, l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per la integrità ambientale.
Comunque il ripristino deve consistere nella riqualificazione del sito e del suo ecosistema, mediante qualsiasi azione o combinazione di azioni, comprese le misure di attenuazione provvisorie, dirette a riparare, risanare o, qualora sia ritenuto ammissibile dall’autorità competente, sostituire le risorse naturali danneggiate.
Scopo del ripristino ambientale è l’attuazione delle misure previste dall’allegato 3 alla parte sesta del Codice, mediante una procedura incentrata sulla collaborazione tra operatore e Ministro e, in difetto, sulla facoltà del secondo di adottare le misure stesse, con successiva rivalsa.
L’art. 305 detta la procedura per il ripristino, imponendo all’operatore, come prima cosa, un obbligo di informazione verso le autorità competenti (Comune, Provincia, Regione, o Provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, Prefetto della provincia ed eventualmente altre autorità dello Stato comunque interessate) in merito a tutti gli aspetti pertinenti alla situazione con gli effetti previsti.
L’operatore ha poi l’obbligo di adottare immediatamente:
a. tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana, anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare;
b. le necessarie misure di ripristino previste dall’allegato 3 alla parte sesta del T.U.
Il Ministro dell’ambiente, dal canto suo, in qualsiasi momento, ha facoltà di:
a. chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi danno verificatosi e sulle misure da lui adottate immediatamente;
b. adottare, o ordinare all’operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana;
c. ordinare all’operatore di prendere le necessarie misure di ripristino;
d. adottare egli stesso le suddette misure, con diritto di rivalsa esercitatile verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse, se individuato entro cinque anni dall’effettuato pagamento.
Dall’articolo si comprende come il Ministro possa adottare sia le iniziative d’emergenza, che le misure di ripristino necessarie, anche in assenza della comunicazione dell’interessato, ovvero nel caso di ritardi od omissioni da parte di questi dopo l’iniziale comunicazione .
Anche qui, come espresso dall’art. 306 comma I, ultimo inciso , questo potere in capo al Ministro, al pari di quanto avveniva per l’adozione di misure preventive, ha natura cautelare, e si ritiene che il relativo provvedimento ministeriale debba essere adottata con le forme procedimentali di urgenza tipiche delle ordinanze contingibili e urgenti. Comunque, in linea generale, la determinazione delle misure di ripristino deve avvenire a seguito di presentazione, da parte dell’operatore interessato, del piano dei possibili interventi, naturalmente approvati dal Ministro.
In tale contesto, forte è il legame con la Legge 241/1990, infatti secondo il dettato dell’art. 307 D.Lgs. 152/2006, tutte le decisioni che stabiliscono misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino, devono essere adeguatamente motivate e comunicate all’operatore interessato con indicazione dei mezzi di ricorso di cui dispone e dei relativi termini. Inoltre, altro punto di somiglianza, l’art. 306 comma II, stabilisce la competenza del Ministro a decidere le misure da adottare, nulla prevede circa il termine entro cui tale decisione deve essere fatta. Nel silenzio della norma si può ritenere valida l’applicazione della legge 241/1990 .
Per quanto concerne i costi delle attività intraprese, l’art. 308 T.U. fissa il principio generale, per cui i costi delle iniziative statali di prevenzione e di ripristino sono a carico dell’operatore. I costi comprendono gli oneri economici per la valutazione del danno o della sua minaccia imminente, per la progettazione di interventi alternativi, per sostenere le spese amministrative, legali e di realizzazione delle opere, per raccolta dei dati, per le attività di sorveglianza e controllo e per ogni altra attività necessaria al fine di assicurare un’attuazione corretta ed efficace delle disposizioni della parte sesta del Codice.
Anche quando le stesse misure sono adottate dal Ministro, questi recupera dall’operatore, anche attraverso garanzie reali o fideiussioni bancarie, le spese sostenute dallo Stato per le misure di precauzione, prevenzione e ripristino. È fatta salva la facoltà del Ministro di non recuperare la totalità dei costi, qualora la spesa necessaria sia maggiore dell’importo recuperabile o qualora l’operatore non possa essere individuato.
L’art. 308, poi, al IV comma, prevede i casi in cui i costi non sono a carico dell’operatore. Qualora il fatto materiale sia riferibile a terzi, l’esclusione della responsabilità non è automatica, ma dipende dal verificarsi del danno ambientale o della minaccia imminente nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza astrattamente idonee. Quindi, il soggetto cui, a causa della sua relazione con la cosa, venga richiesto dalla Pubblica Amministrazione il recupero delle spese anticipate per eliminare il danno stesso, ha l’onere di provare, per non dare corso alla richiesta, che l’autore materiale del fatto è il terzo e che la condotta di questi si è svolta al di fuori della sfera di prevedibilità secondo i parametri dell’ordinaria diligenza.
Quando, invece, il fatto materiale scatenante il danno è riferibile all’operatore, egli non è tenuto a sostenere i costi delle azioni se:
- può provare che il danno ambientale, o la relativa minaccia imminente, è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatoria, impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli dettati a seguito di un’emissione o di un incidente imputabili all’operatore; in questo caso si fa riferimento ad attività svolte intenzionalmente, ma dovute perché svolte in osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica;
- dimostra che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo, e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente è stato causato da:
a. un’emissione, o un evento, espressamente consentiti da un’autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari, adottate in attuazione delle misure comunitarie;
b. un’emissione, un’attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto, nel corso di un’attività che l’operatore dimostri non essere stata considerata probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecuzione dell’attività.
Qui è richiesto all’operatore di provare l’assenza di dolo o colpa nonché la sussistenza delle condizioni di cui alle lettere a. e b.