Il potere pianificatorio dei gestori degli impianti di telefonia mobile.
di Fulvio Albanese

Il titolo volutamente provocatorio, vuole evidenziare uno squilibrio nella disciplina che regola le installazione degli impianti radioelettrici a favore dei gestori della telefonia mobile, i quali hanno goduto dall’entrata in vigore del Decreto legislativo 198 del 2002 (primo decreto Gasparri) all’attuale D.Lgs. 259/2003 (secondo decreto Gasparri), di una sorta di potere pianificatorio, che spesso riesce ancora oggi, ad imporsi sulla pianificazione degli enti locali. Ricordiamo che il decreto legislativo 198 del 2002 dettava una procedura specifica e vincolante per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. In più, tali infrastrutture erano assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria ai sensi dell'articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 quindi pur restando di proprieta' dei rispettivi operatori, in sostanza erano realizzabili in ogni parte del territorio comunale. Naturalmente questa norma scatenò forti contestazioni da parte delle regioni (Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, e Lombardia invocarono l’articolo 127 della Costituzione sollevando questione di legittimità costituzionale) e degli enti locali perché ritenute lesive delle loro competenze in tema di governo del territorio e di programmazione e pianificazione urbanistica. Il 25 settembre 2003 la Corte Costituzionale deposita la Sentenza n. 303: il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, è costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega, con effetti ex art. 136 della Costituzione.
Ma la situazione non cambia molto, infatti prima della dichiarazione di incostituzionalità del Decreto Legislativo 4 settembre 2002, n. 198, entra in vigore il Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n.259 Codice delle comunicazioni elettroniche (noto come Gasparri bis), e visto che non c’è soluzione di continuità tra il primo e il secondo decreto, vediamo allora quale differenze si riscontrano, e in particolare se l’ampio potere pianificatorio dei gestori è stato ridimensionato.
Notiamo subito che il Decreto Legislativo 259 del 2003 al contrario del 198 del 2002, non prevede deroghe a leggi e regolamenti comunali, riprendono pertanto, piena efficacia sia le leggi regionali in vigore “congelate” dal Decreto legislativo 198/2002 (alcune delle quali, passate al vaglio della Corte Costituzionale, vedi sentenze: 307, 308, 324, e 331, del 2003), che il comma 6 dell’articolo 8 della 36/2001 in base al quale i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
I gestori in base al nuovo decreto, nella scelta dei siti dove localizzare i loro impianti, devono tenere conto sia dei criteri urbanistico-localizzativi stabiliti dalle leggi regionali come obiettivi di qualità ex art. 3 comma 1, lettera d numero 1 Legge 36/2001, che delle disposizioni previste nei regolamenti comunali.
Comunque la rinnovata facoltà regolamentare e pianificatoria dei comuni (ex comma 6 art. 8 della 36/2001) che in teoria dovrebbe consentire agli stessi di adottare provvedimenti mirati al corretto inserimento degli impianti radioelettrici nel tessuto urbano e contestualmente minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, non riesce a decollare perché puntualmente si scontra con la possibilità dei gestori di installare gli impianti in siti da loro scelti anche non compresi nella pianificazione complessiva territoriale degli impianti elaborata con i regolamenti comunali (essi infatti chiedono semplicemente l’applicazione della disciplina nazionale contenuta nel D.Lgs. 259/2003, ed in particolare invocano l’assimilazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle opere di urbanizzazione primaria ai sensi dell’art. 86, comma 3°).
Questa modalità operativa di individuare i siti d’installazione singolarmente quasi sempre al di fuori della pianificazione comunale, spesso utilizzata dai gestori, è palesemente in contrasto con il concetto di “rete unitaria nazionale” più volte invocato dai gestori stessi, e richiamato ripetutamente anche dalla Corte Costituzionale da ultimo con la Sentenza n. 336 del 27 luglio 2005 (sentenza che legittima il D.Lgs. 259/2003, n.d.r.)
(...) “È, dunque, evidente che, nell'individuare i principî fondamentali relativi al settore delle infrastrutture di comunicazione elettronica, non si può prescindere dalla considerazione che ciascun impianto di telecomunicazione costituisce parte integrante di una complessa ed unitaria rete nazionale, sicché non è neanche immaginabile una parcellizzazione di interventi nella fase di realizzazione di una tale rete (cfr. sentenza n. 307 del 2003). Nella relazione illustrativa al Codice, si legge, inoltre, a tal proposito, che «la rete è unica a livello globale» e che la stessa «non ha senso se le singole frazioni non sono connesse tra di loro, quale che ne sia la proprietà e la disponibilità». Ciò comporta che i relativi procedimenti autorizzatori devono essere necessariamente disciplinati con carattere di unitarietà e uniformità per tutto il territorio nazionale, dovendosi evitare ogni frammentazione degli interventi. Ed è, dunque, alla luce di tali esigenze e finalità che devono essere valutate ampiezza ed operatività dei principî fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.” (...)
Se la “rete unitaria nazionale” della telefonia mobile ha così bisogno di procedimenti autorizzativi uniformi e unitari per essere realizzata, non si comprende come possa invece prescindere da una programmazione e pianificazione complessiva degli insediamenti da attuare e gestire almeno a livello comunale, attraverso la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (sicuramente da modificare l’art. 7 comma 8 lettera c) del D.Lgs. 152 del 2006 “Norme in materia ambientale” che invece esclude dalla Valutazione Ambientale Strategica i piani e i programmi relativi agli interventi che riguardano la telefonia mobile).
Ripensandoci oggi (soprattutto dopo aver letto la sentenza n. 336 del 2005 con la quale la Corte Costituzionale “salva” il Codice delle Comunicazioni dalla dichiarazione d’incostituzionalità richiesta dalle regioni Toscana e Marche) la bocciatura del Decreto legislativo 198 sembra frutto della contestuale entrata in vigore del Decreto Legislativo 259 del 2003.
Con questa situazione d’incertezza normativa determinata dall’assimilazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle opere di urbanizzazione primaria, le pubbliche amministrazioni e i gestori del servizio di radiocomunicazione si sono ritrovati sempre più spesso nelle aule dei tribunali, a cercare di far valere ciascuno i propri diritti, e la giurisprudenza che ne è scaturita non ha chiarito definitivamente il rapporto fra gestione delle infrastrutture di comunicazione elettronica come opere di urbanizzazione primaria e potere di pianificazione comunale degli impianti di telefonia mobile. Infatti basta leggere a titolo di esempio due fra le tante contrastati e opposte sentenze dei vari tribunali amministrativi, la prima del TAR Veneto n. 644 del 2005 che riconosce esplicitamente al gestore addirittura la facoltà di scelta del sito dove installare l’impianto:
(...) “il ricorso in epigrafe va accolto, nell’assorbente fondatezza delle censure con le quali la ricorrente Società deduce l’illegittimità dell’art. 27.9 delle vigenti N.T.A. del P.R.G. comunale che, all’evidenza, limitando l’installazione degli impianti destinati al servizio di telefonia mobile soltanto in specifici siti del territorio comunale, confligge con l’art. 86 del D.L.vo 1 agosto 2003 n. 259, laddove dispone – tra l’altro – l’assimilazione de iure degli impianti medesimi alle opere di urbanizzazione primaria, con la conseguenza che spetta al gestore del servizio la scelta se installare le infrastrutture in proprietà pubbliche o private comunque idonee alle esigenze di funzionamento della rete (cfr. in tal senso, ex multis, le sentenze n. 4044 e n. 4046 dd. 19 novembre 2004, rese da questa stessa Sezione).”. Nonostante l’Ordinanza del Consiglio di Stato 6 aprile 2004, n. 1612 (chiara nella sostanza ma forse troppo generica) riconosca al Comune il potere di pianificare sul proprio territorio i siti dove installare le stazioni radio base: (...) “Ritenuto che l’intervenuta assimilazione delle opere per stazioni radio base alle opere di urbanizzazione primaria (ad opera del comma 3 dell’art. 86 del D. Lgs. n. 259/2003) non preclude al Comune, nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, la localizzabilità di dette opere in determinati ambiti del territorio, sempre che sia in tal modo assicurato l’interesse di rilievo nazionale ad una capillare distribuzione del servizio (interesse che non risulta fattispecie posto in discussione o in pericolo)”.
La seconda, con conclusioni totalmente opposte del T.A.R. Emilia Romagna del 12 gennaio 2006 n. 10, che invece riconosce ai Comuni un potere di pianificazione degli impianti anche classificati opere di urbanizzazione primaria:
(...) “La circostanza, poi, che gli impianti di telefonia mobile siano oramai classificati come opere di urbanizzazione primaria (v. art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003), lungi dal liberalizzare in toto l’insediamento di simili impianti e dal sacrificare le attribuzioni comunali in tema di disciplina dell’uso del territorio, rivela esclusivamente la volontà normativa di qualificare sotto il profilo urbanistico le relative strutture, e dunque, pur orientando le scelte localizzative rimesse al vaglio delle Autorità locali, non impedisce loro l’esercizio delle ordinarie competenze a tutela del corretto assetto urbanistico-edilizio delle aree interessate.”
Finalmente il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1312 del 20 marzo 2007 ha chiarito quali sono i limiti dei gestori nella scelta dei siti dove localizzare gli impianti di telefonia, nel caso in cui non coincidano con la pianificazione comunale. I giudici di palazzo Spada nella decisione suddetta fissano due concetti molto importanti (da tenere sempre presenti in futuro), che ridimensionano molto il presunto potere pianificatore dei gestori, riportando in primo piano, anche rispetto alle disposizioni del D.Lgs. 259/03 la facoltà dei Comuni di pianificare il loro territorio:
1. Il gestore ritiene erroneamente che la normativa in vigore (si riferisce chiaramente al D.Lgs. 259/03) garantisca allo stesso, in qualità di gestore del servizio di telefonia mobile, la possibilità di installare un impianto nel sito prescelto.
2. l’interesse protetto dalla legislazione nazionale alla realizzazione delle reti di telecomunicazione, non è stato affidato alla esclusiva disponibilità del gestore, il quale, di norma, opera secondo la logica sua propria, che è quella di opportunità economica.


La sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 1312/07
Reg.Dec.
N. 5050 Reg.Ric.
ANNO 2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dal Comune di Villafranca Padovana, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Umberto Costa e dall’avv. Ezio Spaziani Testa, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale Mazzini, n. 146,
contro
Vodafone Omnitel N. V., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Mantovan e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via F. Confalonieri, n. 5,
per l'annullamento
della sentenza n. 1772 del 2005 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. II, resa inter partes..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’atto di costituzione con appello incidentale della Vodafone Omnitel N. V.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Alla pubblica udienza del 30 gennaio 2007, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, udito l’avv. Franzin per delega dell’avv. Costa e l’avv. Andrea Manzi per delega dell’avv. Luigi Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Il TAR Veneto, con la sentenza semplificata della quale viene chiesta la riforma, ha accolto il ricorso della Vodafone Omnitel N. V. per l’annullamento dell’atto di diniego (e di altri atti) alla installazione di una stazione radio base in una zona che il p.r.g. classifica come “produttiva di completamento”. La reiezione era giustificata dal Comune “in quanto la stazione radio base risulta esterna dalle zone destinate dalla D.C.C. 55/01”, di esame delle osservazioni e di approvazione della “variante parziale al p.r.g., ai sensi dell’art. 50, comma 4, lett. l) della legge regionale 61/85, avente ad oggetto: Integrazione art. 3 N.T.A. concernente impianti di teleradiocomunicazione”.
La sentenza impugnata così argomenta: “deve ritenersi fondata ed assorbente la censura di cui al 2° motivo e ciò perché nella specie la variante impugnata, imponendo il divieto generalizzato di installazione delle stazioni radio base nelle zone omogenee A, B, C1, C2, D1, D2, D3 eccettuata la zona industriale di Ronche di Campanile ed imponendo altresì puntuali obblighi di distanza da aree sensibili, edifici e impianti preesistenti, in sostanza si pone come esercizio di potere statale in materia ambientale e sanitaria con ciò esorbitando dal potere riconosciutogli dalla legge (art. 8, ultimo comma L. n. 36 del 2001).
2.- Appella il Comune, il quale ribadisce l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse e di irricevibilità delle censure nei confronti della variante di p.r.g., e chiede la riforma della sentenza impugnata.
3. Resiste la appellata, sostenendo l’infondatezza del ricorso anche alla luce dei motivi, non esaminati dal TAR, che vengono riproposti con l’appello incidentale.
4.- Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 30 gennaio 2007.
Il Collegio è prioritariamente chiamato a verificare se, nella fattispecie, sussista o meno l’interesse della Vodafone Omnitel N. V. a contestare il provvedimento di diniego alla installazione di una stazione radio base nel territorio del Comune di Villafranca Padovana.
Solo se si risponde affermativamente all’interrogativo, è possibile procedere all’esame della legittimità della variante di p.r.g., che secondo il TAR ha imposto illegittimamente un divieto generalizzato di installazione delle stazioni radio base nelle zone omogenee A, B, C1, C2, D1, D2, D3, ad eccezione della zona industriale, con ciò esorbitando dal potere assegnato ai comuni in materia dall’art. 8, ultimo comma, della legge n. 36/2001.
Bisogna convenire con il Comune appellante che l’originario ricorso della odierna appellata doveva essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, e ciò non solo perché questa avrebbe potuto “alloggiare le apparecchiature su un traliccio di T.I.M.”, dichiaratasi disponibile su interessamento del Comune stesso, ma perché i siti individuati dalla variante caducata dal TAR non impediscono la copertura del territorio comunale, come dichiarato (senza alcuna smentita) dalla perizia tecnica comunale, depositata in giudizio.
Queste due circostanze dimostrano la debolezza della posizione della originaria ricorrente, la quale sostiene che l’interesse a ricorrere deve essere verificato alla stregua della lesione della sfera individuale che l’atto impugnato ha provocato, e del vantaggio che l’eventuale annullamento di questo atto è in grado di arrecare al destinatario.
Non esiste dubbio alcuno che, sotto questo profilo, la Vodafone Omnitel sia interessata all’annullamento del contestato diniego, essendo sua precisa intenzione quella di realizzare la stazione radio base in una zona che il p.r.g. classifica come “produttiva di completamento”, escludendo i siti individuati dalla variante, caducata dal TAR.
L’interesse all’impugnativa deve però essere verificato in relazione alla tutela che la normativa di riferimento garantisce al singolo operatore, al quale non può essere impedita la realizzazione di una rete che assicuri la copertura del servizio pubblico nell’intero territorio comunale.
È ben nota in materia la elaborazione giurisprudenziale sia della Corte Costituzionale sia del Consiglio di Stato, e non si tratta di pervenire alla definizione di ulteriori principi, essendo il mosaico delle decisioni ricco di riferimenti.
Va però osservato che il richiamo alla “sommatoria” dei principi elaborati dalla giurisprudenza, oppure il riferimento ad una precisa “regola” giurisprudenziale (nella specie si richiama l’illegittimo esercizio del potere statale da parte del Comune), non può prescindere dalla peculiarità della fattispecie che il giudice è chiamato a valutare.
In concreto, la Vodafone Omnitel non lamenta l’impossibilità (o anche la difficoltà) di assicurare la copertura del servizio pubblico nell’intero territorio comunale, ma ritiene erroneamente che la normativa in vigore garantisca alla stessa, in qualità di gestore del servizio di telefonia mobile, “la possibilità di installare un impianto nel sito prescelto”.
Così non è, perché l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione, non è stato affidato alla esclusiva disponibilità del gestore, il quale, di norma, opera secondo la logica sua propria, che è quella di opportunità economica.
Ora, dal momento che alla originaria ricorrente non è stata impedita la realizzazione di un impianto di telefonia mobile in grado di assicurare la copertura del servizio nell’intero comunale, ma è stata solo “negata la possibilità di installare un impianto nel sito prescelto”, la stessa non è legittimata a contestare la determinazione comunale, alla luce delle due circostanze avanti indicate: i siti individuati sono in grado di garantire la copertura in tutto il territorio comunale (si veda perizia tecnica, depositata dal Comune), e “l’ospitalità della TIM a favore di altro gestore”.
L’appello va, pertanto, accolto, e, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di interesse.
Sussistono motivi per disporre la compensazione delle spese di ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in epigrafe, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado. Compensa le spese di ambedue i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere est.
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Lanfranco Balucani Consigliere
Presidente
f.to Claudio Varrone
Consigliere Segretario
f.to Giuseppe Romeo f.to Vittorio Zoffoli


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................20/03/2007...................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva


CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)