Cass. Sez. III n. 13754 del 4 aprile 2007 (Ud. 28 feb. 2007)
Pres. Vitalone Est. Sarno Ric. Giuseppe
Rifiuti. Sansa di oliva (esclusione della natura di sottoprodotto)

1. Attraverso l'art. 28 comma 7 D.Lv. 152-99 si è operata una scelta nell'ambito delle attività agricole distinguendo tra le attività propriamente riconducibili alla gestione fondo (impresa agricola) da quelle che assumono, invece, carattere per così dire "industriale". Questa chiave di lettura rimane confermata anche alla luce dell'art. 101 comma 7 del DLvo 152-2006 che, peraltro, significativamente alla lettera C) sostituisce la parola "fondi" con "terreno".
2. Se è vero che nella parte seconda, sezione quarta, allegato X del DLvo 152-2006 (Caratteristiche delle biomasse combustibili e relative condizioni di riutilizzo) alla lettera f) si fa effettivamente riferimento alla sansa di oliva disoleata, occorre tuttavia che la sansa in questione, per essere utilizzata come combustibile, abbia "caratteristiche riportate nella tabella seguente, ottenute dal trattamento delle sanse vergini con n-esano per l'estrazione dell’olio di sansa destinato all'alimentazione umana, e da successivo trattamento termico" e che "i predetti trattamenti siano effettuati all'interno del medesimo impianto". "Tali requisiti, nel caso di impiego del prodotto al di fuori dell'impianto stesso di produzione devono risultare da un sistema di identificazione conforme al punto 3'' E dunque, necessitando il riutilizzo della sansa una trasformazione preliminare si deve escludere che la stessa possa rientrare nel concetto di sottoprodotto sia. Alla luce della nozione individuata dalla Corte di Giustizia Europea nella vigenza della pregressa normativa, sia anche in relazione al DLvo 152-2006 che, oltre ad avere abrogato l'art. 14 1. 138-2002, nel fornire all'art. 183 lettera n) la nozione di sottoprodotto, ribadisce la necessità che per l'impiego non si rendano necessarie operazioni preliminari ed, inoltre, che l'utilizzazione del sottoprodotto debba essere certa e non eventuale.

Svolgimento del processo

Romano Giuseppe propone ricorso per cassazione avverso sentenza emessa dal tribunale di Messina in data 21 giugno 2005, con la quale veniva condannato alla pena di euro 12 mila di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento danni subiti dalla parte civile da liquidarsi in separata sede, per i reati di cui agli articoli 81 cpv cp. 59 comma 1 D.L.vo 152/99 (capi a) e b) della sentenza) per avere effettuato, nell’esercizio dell’attività industriale di oleificio, lo scarico di acque reflue provenienti dall’esercizio del frantoio - acque di vegetazione - in assenza di autorizzazione, riversandole all’interno di un ciclo di pozzetti destinati alla raccolta di acque meteoriche; 674 cp (capo c) essendosi riversate le acque oleose derivanti dal ciclo di lavorazione del frantoio nell’adiacente fondo di proprietà di La Fauci Francesco; e 51 D.L.vo 22/97 (capo d) per avere depositato senza l’osservanza dei requisiti richiesti dagli artt. 2, 4 e 5 della legge 564/96, in modo incontrollato rifiuti costituiti da materiale umido residuo - sansa - su terreni di sua proprietà adiacenti l’oleificio. Reati accertati in Rometta l’11 dicembre 2002.

Il ricorrente eccepisce:

1. Erronea valutazione della fondatezza costituzionale della disciplina di cui all’art. 28 D.l.vo 152/99;

2. Erronea e contraddittoria valutazione delle risultanze probatorie ed errata applicazione per articolo 192 cpp in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 674 cp;

3. Mancato riconoscimento del caso fortuito, sempre in relazione all’art. 674 cp, dipendendo lo sversarmento dall’intasamento del collettore provinciale;

4. Erronea applicazione dell’art. 59 del D.L.vo n. 152/99 non essendo mai stato contestato all’imputato che le acque reflue contenessero sostanze incluse nella tabella 5 allegata al D.L.vo né che avessero potere cancerogeno secondo le indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC);

5. Erronea applicazione della legge 574/96 non potendosi ritenere rifiuto la sansa rinvenuta in quanto destinata alla cessione a sansifici;

6. Esercizio della facoltà amministrativa da parte del giudice avendo il tribunale condannato il ricorrente per lo spandimento di acque di vegetazione, condotta questa sanzionata solo in via amministrativa dall’articolo 8 della legge 574/96;

7. Erronea quantificazione della pena base in relazione all’articolo 59 D.L.vo 152/99;

8. Erronea mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di cui, in via subordinata, viene chiesta l’applicazione in questa sede.

Motivi della decisione

I motivi dedotti, fatto salvo quanto si dirà oltre in relazione alla determinazione della pena (punto 7), sono infondati.

Ed invero:

1. E’ da ritenere anzitutto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta in relazione all’art. 28 D.L.vo 152199.

Il ricorrente ha eccepito il contrasto con gli articoli 2, 3, 4, e 35 della Costituzione, dell’articolo 28 del D.L.vo n. 152/99, nella pena in cui restringe l’assimilabilità delle acque domestiche alle sole ipotesi ivi contemplate, prevedendo che ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, “sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti da: a) imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura;... e c) imprese dedite alle attività di cui ai punti 1 e 2 che esercitano anche attività di trasformazione o valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere dì normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall’attività di coltivazione dei fondi di cui si abbia qualunque titolo la disponibilità.”

Sostiene infatti il ricorrente che la norma presenta profili di manifesta irragionevolezza essendo oggetto di tutela l’inquinamento delle acque e facendo invece il legislatore discendere l’applicabilità di una norma a tutela da un mero dato di fatto - del tutto ininfluente ai fini della tutela ambientale -, della disponibilità dei fondi da cui debba provenire la materia prima.

La questione appare manifestamente infondata.

Occorre anzitutto ricordare in questa sede che l’art. 28 citato rappresenta il punto di arrivo rispetto ad una questione insorta già con l’entrata in vigore della L. 319/76 che ripartiva gli scarichi come provenienti da insediamenti produttivi o civili.

Poiché la sanzionabilità penale degli scarichi abusivi era - ed è - riservata ai soli insediamenti produttivi si è posta, infatti, ab origine la necessità di definire il regime di riferimento per le attività agricole, tenendo in considerazione anche il possibile riutilizzo nel ciclo lavorativo dei liquami prodotti.

Senza voler indugiare sull’articolato iter normativo che ha contraddistinto l’evoluzione della materia occorre in questa sede ricordare che attraverso l’art. 28 comma 7 si è operata una scelta nell’ambito delle attività agricole stesse distinguendo tra le attività propriamente riconducibili alla gestione fondo (impresa agricola) da quelle che assumono, invece, carattere per così dire “industriale”.

Questa chiave di lettura rimane confermata anche alla luce dell’art. 101 comma 7 del D.L.vo 152/2006 che, peraltro, significativamente alla lettera c) sostituisce la parola “fondi” con “terreno”.

E, naturalmente, solo per le prime si può ragionevolmente giustificare l’assimilazione delle acque reflue a quelle domestiche tenuto conto e della portata generalmente limitata degli scarichi provenienti da un impianto asservito in via esclusiva o prevalente al fondo agricolo, e della limitata capacità inquinante in relazione ai prodotti utilizzati ed alle tecnologie impiegate.

Quanto allo scarico dei liquami derivanti dalla molitura delle olive, nessuna violazione ai principi costituzionali deriva dalla contestazione del reato previsto dall’art. 59 D.L.vo n. 152 del 1999, qualora esso venga effettuato senza la prevista autorizzazione, salvo che, come più volte affermato da questa Corte, ricorrano le particolari condizioni di cui all’art. 28, comma settimo, lettera c) del citato D.L.vo, ossia si tratti di imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura (Sez. 3, n. 34141 del 5 luglio 2005 Rv. 232470).

2. Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso nessun elemento di contraddizione è ravvisabile nella motivazione avendo il giudice di merito affermato la compatibilità del campione prelevato con quello proveniente dal terreno del La Fauci nonostante fossero stati riscontrati valori diversi per alcuni parametri apparendo assolutamente logico ritenere che il residuo oleario si sia concentrato a valle per effetto della sedimentazione.

Né in questa sede è ammissibile la diversa valutazione nel merito degli elementi di prova ed, in particolare del contenuto delle deposizioni di alcuni testi che non avrebbero assistito allo sversamento sul terreno di La Fauci stesso, avendo il giudice di merito offerto adeguata motivazione sulla questione dedotta evidenziando la chiazza oleosa riscontrata all’esito del sopralluogo.

Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (Sez. U, n. 6402 del 30 aprile 1997 Rv. 207944).

3. In ordine al terzo motivo dedotto sussistenza dell’ipotesi del caso fortuito per l’ostruzione del tombino sulla strada provinciale che avrebbe causato lo sversamento dei liquami sul terreno di La Fauci, trattasi ancora una volta di questione di merito insindacabile, per le ragioni esposte, in sede di legittimità. Va peraltro ricordato che il giudice di merito ha ritenuto che lo sversamento fosse dipeso dalla condotta del ricorrente e che la prova dell’esimente deve essere rigorosa e fa carico a colui che la invoca (in questo senso Sez. 4, n. 16840 del 30 ottobre 1990 Rv. 186075).

4. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso.

Erroneamente il ricorrente, a proposito dell’art. 59 D.L.vo 152/99, ritiene necessaria la prova del potere cancerogeno dei residui di lavorazione delle olive avendo il tribunale chiarito che la condanna è intervenuta solo in relazione al comma 1 dell’art. 59 citato, laddove, invece, il potere cancerogeno stesso rileva solo in relazione alla più grave ipotesi del comma 5.

5 - 6. I motivi 5 e 6 possono essere congiuntamente esaminati facendo riferimento alla medesima questione. Si afferma, infatti, in sostanza che la sansa non è rifiuto e che le eventuali sanzioni vanno applicate unicamente in sede amministrativa in base alla legge 574/96.

Va al riguardo premesso che in motivazione si evidenzia che sul fondo in questione è stato rinvenuto un deposito di diversi metri cubi di sansa secca, compatta e rassodata in parte coperto da gramigna e vegetazione.

Aggiunge inoltre il giudicante che gli accumuli di sansa giacevano in stato di abbandono escludendo anche che gli stessi potessero essere destinati alla pratica del compostaggio.

A parte veniva rinvenuta altra sansa.

Sostiene il ricorrente che la sansa non poteva essere considerata rifiuto ai sensi dell’art. 14 l. 138/2002 emergendo dagli atti che essa veniva ceduta a terzi titolari di sansifici e che, in ogni caso, la sansa secca può essere usata come combustibile. Partendo da quest’ultimo aspetto, ritiene anzitutto il Collegio di dover puntualizzare che, se è vero che nella parte seconda, sezione quarta, allegato X del D.L.vo 152/2006 (Caratteristiche delle biomasse combustibili e relative condizioni di riutilizzo) alla lettera f) si fa effettivamente riferimento alla sansa di oliva disoleata, occorre tuttavia che la sansa in questione, per essere utilizzata come combustibile, abbia “caratteristiche riportate nella tabella seguente, ottenute dal trattamento delle sanse vergini con n-esano per l’estrazione dell’olio di sansa destinato all’alimentazione umana, e da successivo trattamento termico” e che “i predetti trattamenti siano effettuati all’interno del medesimo impianto”. “Tali requisiti, nel caso di impiego del prodotto al di fiori dell’impianto stesso di produzione devono risultare da un sistema di identificazione conforme al punto 3.” E dunque, necessitando il riutilizzo della sansa una trasformazione preliminare si deve escludere che la stessa possa rientrare nel concetto di sottoprodotto sia alla luce della nozione individuata dalla Corte di Giustizia Europea nella vigenza della pregressa normativa, sia anche in relazione al D.L.vo 152/2006 che, oltre ad avere abrogato l’art. 14 l. 138/2002, nel fornire all’art. 183 lettera n) la nozione di sottoprodotto, ribadisce la necessità che per l’impiego non si rendano necessarie operazioni preliminari ed, inoltre, che l’utilizzazione del sottoprodotto debba essere certa e non eventuale.

Venendo ora alla restante parte dei rilievi dedotti dal ricorrente, ritiene il Collegio che correttamente il giudice dì merito al fine di determinare la disciplina da applicare alla gestione delle sanse umide residuate dalla lavorazione delle olive, si sia posto il problema di verificare la possibile destinazione di esse e che, avendo escluso l’utilizzazione agronomica; (Legge 574/96 e D.M. Politiche Agricole e Forestali 6 luglio 2005); il recupero energetico o la creazione di compost, abbia ritenuto sussistente la violazione alla disciplina sui rifiuti.

Peraltro occorre aggiungere che i rilievi del ricorrente in ordine alla assenta attività di cessione della sansa si appalesano del tutto generici laddove è invece evidente che, per consentire il necessario controllo sulla corretta percezione degli elementi probatori da parte del giudice di merito, il ricorrente aveva l’onere di indicare specificamente alla Corte gli atti il cui contenuto si asseriva essere in insuperabile contrasto con le affermazioni del giudicante.

7 - 8) Venendo ora all’esame dei motivi attinenti alla pena, appare effettivamente fondato il rilievo relativo alla erronea quantificazione della pena base ai sensi dell’art. 59 D.L.vo 152/99 in quanto, come afferma il ricorrente, la pena indicata è quella dell’ammenda da euro 1032 ad euro 7746 mentre il tribunale ha indicato come pena base quella di euro 15000.

In assenza di una specifica richiesta dell’imputato il tribunale, invece, correttamente non ha ritenuto di dover motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

In conclusione la sentenza del tribunale va annullata con rinvio limitatamente alla determinazione della pena.